Federigo Tozzi
Novale

Parte seconda

16 marzo 1907.

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16 marzo 1907.

Sono otto pagine che voglio empirti. Penso dirti tante cose! Non ho nessuno amico, ma parlo sempre con te. Mi piace tanto quest’illusione!

Veniamo a cose serie. Tu mi hai scritto per incitarmi al lavoro, ed hai fatto bene. Maltrattami anche. Sentendo la tua volontà vicina alla mia, torno alla vita.

Stamani ho pianto quando un raggio di sole è entrato nella mia camera. Ritorno artista. Ma, vedi, potresti anche bastonarmi senza ch’io potessi scrivere una parola. amor proprio o altro può muovermi. Cioè, io mi consumo per l’ansia di studiare, ma la mia poesia non è nata ancora tutta. Ho qualche accenno, ogni giorno più insistente, che mi fa gonfiare il petto di tenerezza. Come mi sento buono allora. Penso che l’ingegno sia solamente bontà. Sapere amare tutte le cose. Si: io ho dentro di me questo sentimento.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Non farò nulla su Siena. Mi ricordo solamente che esiste una città di tal nome, ma essa è ben morta? Qui è la mia vita. Qui sento tornare le mie sensazioni. Qui anelo ad un sentimento legittimo.

Ma vedi come son fatto? Dianzi avevo la certezza di essere qualche cosa, adesso ho la certezza di essere un melanconico solamente.

Che mi vuoi fare? Conviene che tu aiuti tutto il mio io a risorgere.

alla signora Celli ch’io studierò il tedesco e che lo conosco già un poco, avendolo studiato un anno a scuola. Comprerò una grammatica e un vocabolario, poi che si tratterà solamente di farmi tornare a memoria cose note.

Ma ora mi sono dato tutto a Dante.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Vuoi sapere a chi penso quando lavoro? Mi par di vedere (o meglio: vedo) il tuo viso fisso nel mio. E ti parlo. Non so se tu puoi rievocare le imagini visive. Ma io ho quasi un’allucinazione. Non ho veduto ora la tua fronte? E odo la tua voce.

Se non temessi di turbare tanta tranquillità, ti direi le mie impressioni dell’altro giorno. Sono cose che anderanno via tosto che tu non sarai più infermiera. Ma, no: ho torto. Io non ti devo forzare a modellarti secondo il mio sogno. Voglio vederti lieta di te stessa, e capace di farmi piangere di . Perché non immagini come io sento te? Quando ti rivolgi a Dio, non hai il sentimento della divinità? Non senti una forza che non è tua, così pura che non vi è paragone? E ti senti presa da Dio, e ti pare di avere contatto con lui, non è vero? Io sento ciò per te. Vorrei avere quasi terrore del tuo affetto. Perciò tu mi chiami bambino. Io ti ammiro e t’amo. Ma bada, sai. Non turbare mai questa serenità. Una piccola menzogna o contraddizione, romperebbe tutto. – E non è vero che questo affetto sarà immutabile? Sì, perché io lo sento fuori dell’umano. Lo sento confuso con la mia intelligenza.

Ah, non t’ho detto mai una cosa. Compongo molta musica originalissima. Ma, ohimè, tutto nasce e muore nella mia mente. Mentre scrivevo il principio di questa pagina (ed è ciò che m’ha fatto ricordare di parlartene) ho pensato un motivo bellissimo. Qualche cosa di simile ad un pianto. Oh, come ora ritorna! È bello molto . Tutto ciò io lo chiamo il tuo amore. Poiché una minuzia di esso vale molto più di ogni altra cosa. Esso è tutta la dolcezza del mio ingegno.

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Ho letto due terzine di Dante, che ho dinanzi, ed ho provato scoraggiamento. Sento da vero qualcosa e lo capisco, o è un’illusione? M’è venuto a mente: Pianger di doglia, e sospirar d’angoscia...

Sono per piangere.


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