Federigo Tozzi
Novale

Parte seconda

7 aprile 1907.

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7 aprile 1907.

Ho deciso di tradurre La Cathédrale, ed ho già ricopiato il frontespizio e la dedica. Metterò anche una inserzione nella Tribuna offrente lezioni d’italiano. Ma sono ancora inquieto, oscillante. Non ti posso descrivere il mio stato.

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Queste belle giornate mi ricordano la Piazza del Carmine, quando io venivo a passare sotto la tua finestra, inquieto come ora, come una tavola nell’acqua mossa.

Capisci bene ch’io non ho ancora dimenticato Siena: vi è di lei in me uno sfondo di sensazioni.

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Adesso sono i ricordi i quali io vedo. La Torre del Mangia, quasi bianca nel cielo azzurro; e sotto, quasi annebbiate, le case di Siena. Non altro. Distruggi tu con un colpo della tua anima queste cose informi. Che confusione tutto il mio passato! Vedi che tavole si presentano nella mia anima, ed io non so ridirtele!

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Imagina che io ho qui dinanzi, come pitture, tutte le figure della novella di Candia.

Questa forza, che, forse, è anima, tutta libera dalla felicità, è il tuo amore. Io non ho niente, potresti ritogliere tutto ciò che mi hai dato. E perché questa forza non diverrà il mio lavoro? Ti parlo come se tu fossi qui realmente. Prendo proprio da te questo ideale che fa fremere la mia anima. Ma ho paura, domani, di non aver più questo slancio spirituale.

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Togliamo questi mucchi di sassi che aggravano la mia anima. Togliamoli.

Lavorerò, guadagnerò, t’amerò. Sono tre cose in una sola: uno stesso pensiero delizioso.

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Non t’umiliare più con le parole dinanzi a me, però che i fatti sono l’origine non sproporzionata del mio sogno. Direi che tu fossi questo sogno.

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Avevo pensato durante la malattia de’ miei occhi, che non avrei più amato nessuna persona, ma solamente le sensazioni che mi avrebbero date le pitture dei miei preferiti. Scacciavo la realtà, e adoravo una faccia femminea di Leonardo... Così si perdeva la mia vita, senza sentimenti, nella freddezza della conoscenza. Ciò che pensavo, il quale era pochissimo e tenue, era tolto dalle superfici delle tavole guardate. Credevo che in esse fosse tutta la vita per il mio spirito. Non avrei voluto altro.

Ma nella guarigione, i miei nervi (credo tutto ciò un effetto di essi) ...

Sono sempre stato tuo nella grande astrazione in cui vivevo. Ma tu, prima, e a Roma, hai ricondotto me a vivere.

Guariscimi ancora. Togli tutta la secchezza del mio egoismo, del quale anche il ricordo mi ha agghiacciata ora l’anima, come una colonna di marmo .

Togli, togli! Fammi guarire.


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