Federigo Tozzi
Novale

Parte seconda

13 giugno 1907.

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13 giugno 1907.

Non ho più veduto mio padre. Il quale non vuole né meno ch’io vada in campagna. Ma ciò mi ha messo un desiderio di vivere da me. Se potessimo non chiedere il permesso a nessuno!

Sei contenta ch’io prendessi non più di tre lire al giorno? Ti basterebbe il mio amore, come a me il tuo? Che m’è datore di ogni soavità.

Suonano le nove. Voglio uscire per chiedere i soldi per le sigarette, cioè del francobollo.

Torno a casa a mezzanotte. Ho girato molte strade giù tra i Pispini e il Casato; e in S. Martino mi sono trovato dentro la bottega di un pizzicagnolo che conoscevo da prima; il quale m’ha domandato... informazioni sulle pizzicherie di Roma. Con grande meraviglia ha udito rispondersi che non... le avevo vedute.

È curiosa però che quando parlo, tutti i ricordi di Roma mi si fanno più netti e più vicini. Io ero con te, la notte fuori porta Pia o il giorno nelle nostre passeggiate. Risentivo proprio la realtà di tali cose. Desideravo di tornare a casa presto. Mi pareva che tu m’aspettassi. Non so se t’ho detto mai che io mi lascio guidare da tali superstizioni o impressioni. Mi pare d’avere il tuo desiderio, ed io sto male se non faccio come vuoi.

Per le strade che ho fatte, non c’è stata quasi una persona che non siasi voltata o che non m’abbia guardato. Con l’ignorante insistenza dei visi senesi.

No, di te non parlammo. Ti avevo scritto una lettera con la narrazione di tutto, ma temendo di aumentarti il dispiacere, non l’ho mandata, anzi l’ho strappata.

Io chiesi alla matrigna, il giorno, che mi comprasse una saponetta. La sera, alle undici, andai in bottega per prenderla. Perché ella m’aveva comprato un pezzo di sapone da panni, le dissi: – Con gli stessi denari poteva comprarmi una saponetta da teletta. Mio padre, che stava seduto, col capo appoggiato sul tavolino, si alzò e con i modi più ributtanti disse: – Che diritto hai tu del sapone e della saponetta? Io t’afferro per il collo e t’ammazzo!

Dato il gran cambiamento da poche ore innanzi, non ne meno quel che rispondere. Solo pensai a te. Allora egli con le mani sopra il mio viso continuò: – Vigliacco, mascalzone, voglio sapere che facevi a Roma. Tu non mangiavi, perché sei magro.

Ed io: – Non mangiavo? Mangiavo meglio che in casa tua.

– No, non mangiavi. Adesso con me non potresti fare ai pugni. Sei il più debole, ora.

– Io non voglio fare ai pugni. Se dici che non mangiavo o stavo male, sei un imbecille. Perché ho mangiato e bevuto alle spalle tue.

Allora egli mi prese e mi piegò in terra, facendomi un poco male a un fianco e pigiandomi uno zigomo. Poi mi tenne un ginocchio su lo stomaco, sempre ingiuriando e dicendo che mi voleva ammazzare.

Io mi difesi solamente. Gridavo a tutta la gente ch’era intorno a noi che non mi facessero percuotere e che andassero a chiamare le guardie. Allora egli mi lasciò. Io mi feci rendere il cappello, ch’era caduto sopra una tavola ed uscii, dicendo:

– Sei ammattito. In casa de’ matti non ci sto.

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Tra le altre ingiurie è questa: – Tu non sei il mio figliuolo. No, non sei. Tu sei un degenerato. Sei un vigliacco... Ma nessun accenno a te. Ora so che scriverà alla padrona di casa , alla quale io manderò una cartolina per prevenirla. Tu non te ne occupare.

Che cosa era? Tutto il fondaccio di odio e di passione contro di me. Mio padre non mi sente eguale a sé. E così mi tratta come un nemico . Il giorno dopo prese parte anche un mio cugino, del quale non m’ero mai rammentato. Lo trovai sull’uscio dalla X... dov’è cuoco, e prese le parti del babbo dicendo che se i suoi figli dicessero a lui imbecille, egli li sbatterebbe nel muro. Io non potei evitare le prime parole, perché m’ero fermato a salutarlo. Ma ti puoi imaginare quale vergogna sentii. Anche egli (beato lui) disse che ero un cretino e che non capivo niente.

Da queste parole, ora comprendiamo bene quali pensieri siano contro a me. Ma non so perché questa volta mi senta tanto più agile quanto più sono preso dalle mani di costoro.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ora vedo che dentro quest’anno mi devo impiegare.

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Sto un poco meglio. Ma mi sento sempre la febbre. Qualunque intelligente m’avvicini, capisce che sono agitato. Anche il Procuratore mi raccomandò che stessi calmo e mi divagassi.

Più che l’amore non c’è. L’inchiostro s’è appastato dentro i calamai. In media vanno tre lettori al giorno. E che lettori! .

Un’altra cosa mi piace di prometterti. È che quando io guadagnassi prenderemo in casa una delle tue sorelle piccole.


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