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Da Siena, a Siena
6 luglio 1907.
Ho parlato stamani, con il C. che non vide mio padre. E mi ha detto che oggi gli scriverà un bigliettino per invitarlo da lui. Senza i denari, non posso fare i molti fogli che sono chiesti nel concorso.
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Quando ci sono motivi per andare in ira, io non ho niente da dirti.
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Non mi scriverai tutto quello che fai e quel che pensi all’infuori di me? Non t’avrò mai fatta quale t’ho sognata o sentita? Dimmi che è così. Ci sono le sensazioni di alcuni istanti che mi danno questa gioia profonda, ma poi... Vincerai, dunque? Io ti chiamo. Sai che i miei occhi non possono mentire, perche hanno chiesto da’ tuoi la loro amicizia. E la mia anima ha chiesto la tua.
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Ed è strano che tu non capisca il mio animo, o che tu non faccia nulla allora per farmi piangere ai tuoi piedi. Era così. Io t’annullavo o ti calpestavo come una pianta che si vuol distruggere. E tu eri sempre più ferma nelle cose che ti hanno modificata. Perché a volte, penso questo. E più lo credo, quando ti vedo reagire. No, Emma: è possibile che tu mi strazi così? Bada: assicurami che non sei stata mai un’infermiera. Che non hai sentito mai come un’infermiera.
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Che se mi assicuro essere così come angosciosamente penso, io ti lascio.
È impossibile ch’io mi possa togliere queste cose, e bisognerebbe che non ti scrivessi per tacertele e per allontanarmi da te.