Federigo Tozzi
Novale

Parte seconda

18 ottobre 1907.

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18 ottobre 1907.

Ho bisogno, la mattina, di avere subito le tue parole. Ma tu sei sempre dentro di me, e mi parli come vuole la mia anima. Le tue lettere, forse, non basterebbero; ma tu sei qui in me sempre, come un desiderio.

Io non ho mai più avuto un’amicizia da tre anni ormai, né mai ho amato una donna in tutta la mia vita.

M’è piaciuta qualcuna ed ho desiderato carnalmente, ma la mia anima è sempre stata disdegnosa e ne ho conservata l’infanzia. Della quale io irroro l’affetto per te.

Ne’ lunghi mesi che non ci siamo scritti io ho desiderato e voluto che il mio io discendesse come nella propria profondità oscura, opponendo alla vita ogni mezzo di sviamento. Così, non ho desiderato carnalmente più alcuna. Così ero giunto a desiderare una completa castità limpida per la quale mi piacevano le letture mistiche del Trecento e per la quale io ho camminato più che una volta intorno al recinto di un convento, pensando di trovar quell’indicibile contatto con una divinità.

Ma hanno prevalso, senza che io le volessi, le conseguenze pratiche del mio passato.

Ed ho avuto bisogno di te. Non ti potrò mai dire la mia sofferenza a Roma. Tu comprendesti subito la mia adorazione. Ma mi mancavi. Non trovavo in te quel che trovo ora. E m’imposi, non senza sforzo, la mia adorazione passiva, finché io fossi giunto a provare il tuo affetto. M’imposi, a traverso a siepi di riluttanze morali, di ritrovarti. E sentivo, come di da un ostacolo opaco, la tua anima inquieta come la mia, che passava dinanzi a me come dinanzi al bel pascolo dalla mia anima e non la mangiava.

Non ti so dire in quali profondità umide io discendessi.

Giunsi perfino a scrivere che non mi amavi, e fui come pentito e respinto. Allora camminai su le rocce di uno smarrimento.

Ma inesauribilmente quel che m’ero imposto ti chiamava sempre. Ti chiamava, ti chiamava...

E tutta la mia adorazione a Roma fu come un’espiazione.


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