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Le vacanze se ne vanno. Il giorno dopo l’Epifania mi rimetto a studiare. Ma questa volta la fatica è meno, perché si tratta di ripassare quel che so discretamente.
Ora non scrivo per mancanza di una vera ispirazione, della quale non sono privo affatto. Ma alle idee che mi vengono sono mescolati sentimenti interamente estranei. Ne vuoi un esempio? Dalla fortezza ho guardato l’Appennino coperto di neve rosea, ed ho pensato: «Ecco i veli delle fate». E dopo: «È carducciano». E poi: «Parmi di esser fatto di questa luce, e di questi alberi, e dei monti: sono un uomo informe composto di tali elementi». E dopo: «Mi ricorda un passo delle Odi del d’Annunzio».
La strada di Pescaia, che scende giù tra gli alberi, quasi tagliando, mi ricordava un’idea mistica dell’Hujsman. E poi ho pensato al Maeterlink. «Gli alberi parlavano». «Ieri sera, un angelo nero volò dall’una parte all’altra della strada, sparendo tra gli olivi». È il Passavanti. Sono pensieri che ho avuti dallo studiare quell’epoca.
E a te non so quel che rispondere. Perché le idee e le imagini spariscono e appaiono nel mio pensiero, come tagliate, sminuzzate da se stesse o trascinate via da un fiume che precipita sempre dentro la mia mente.
Ho scorse le poesie del Panzacchi. Mi pare impossibile che siano prese per poesie. Le sciocchezze dette belle e rimate, purtroppo piacciono. E chissà quante signorine esse commuovono. Oh, gloria!
Non sapevo come impostare questa lettera, ma riprendendo il cappello che avevo messo sul marmo del canterano, ho scorto due ventini sopra un diecino. È poco. Mi farò mandare altrettanto domani.