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Nelle lettere voglio essere breve, per parlarti nelle novelle. Se no quel buono che può darmi l’intelligenza anderebbe in una forma da cui non se ne trarrebbe più. Ti paio un avaro? No; perché tutto è nostro.
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E più di ogni altra cosa mi piace che questo amore nostro ci empia della sua forza.
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Sono stato sciocco a dirti che volevo essere breve per l’importante ragione detta. Io dissimulavo il mio affetto. Che è senza limiti nella mia anima dilatata da te fino a Dio. Io t’amo non come se tu fossi una creatura, ma come se tu rappresentassi quel mistero ignoto della mia esistenza, quel bisogno di toccare l’infinito e di sentirmi prendere, meravigliosamente, in tutto il mio spirito; ed ho avuto abbandoni, in cui anche la mia carne sembrava attaccata alla mia anima. In cui io percepivo la mia carne animata dalla violenza pura dello spirito.
Preferirei che la bambina della padrona non piangesse! Devo smettere, perché mi fa male ai nervi.
E la critica dorme in te? Sai bene che per scrivere è necessario che tu me ne parli come me ne sai parlare.
Dimmi, dunque, di quel che avesti mercoledì. Bada ch’esse ti diano soltanto un interesse estetico, e per ciò, in tale tempo, fai conto che non si parli di una ispirazione datami da te.