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Dunque, oggi alle undici e mezzo sono andato a casa. Su l’uscio della camera c’era un cartello: Tale dei tali, dentista. Io entro. Il dentista mi fa un inchino...
Ho trattato male il padrone di casa, dicendogli che stasera riprendo le dieci lire e la roba mia. Ma, scese le scale, ho fatto una risata. Non ti pare? Ho visto il mio tavolino, su cui sono quei libretti firmati da te e quei pochi libri, tutto insanguinato e imbavato. Sopra una sedia un canavaccio sanguinoso...
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È tanto caldo... Ci sono soltanto poche nuvole in fondo alla pianura e una su la cima di un monte: credo sui monti lucchesi. Dianzi volevo scriverti da casa per avere quiete, ma come potevo fare? Son ritornato quaggiù e ti scrivo fra gli apparati telegrafici che scricchiolano.
(Mentre aspetto che sia cotta la minestra). – Io devo imparare la gestione delle merci, la gestione dei biglietti e mettermi nella possibilità di far servizio al telegrafo. Non basta saperlo come lo so io. Bisogna imparare a leggere delle zone orribili nella stazione.
Pare che prima delle due mi scappi il tempo (A29) di trovare la camera, per cui ho avuto un indirizzo.
Ho già imparicchiato (come m’è stato insegnato), la registrazione delle partenze e degli arrivi delle merci, che sono moltissime. Forse trecento al giorno. E qui basta per sempre su tale argomento.
Son convinto che quando mi sarò tolto queste preoccupazioni, mi sarà possibile di lavorare per noi. Sentomi aumentare il desiderio e lo slancio. Vorrei farti ricopiare una o due volte delle novelle che hai; ma non mi decido, perché vorrei riguardarle.
Ho trovato un’altra camera. Sembra di essere in campagna completamente. È di là dalla ferrovia tra case di contadini.