Federigo Tozzi
Novale

Parte seconda

11 maggio 1908.

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11 maggio 1908.

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Da questa signora ho saputo che mio padre era in bottega l’altra settimana. (Ella vi andò a mangiare). E ciò mi rammenta che devo stare sempre in guardia verso di lui. Perché non me l’ha scritto nessuno? E bada che non c’è da dubitare di lei, perché sono molti anni che va a mangiare.

In ogni modo ho già riscritto al medico.

Io ho voluto amare soltanto colei che nella sua vita non trovava altro all’infuori di me.

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Se tu ti supponessi morta t’amerei ancora come un’apparizione divina. Se tu non mi amassi io ti ucciderei.

Io ho veduto di rado i tuoi occhi farsi lieti, irradiarsi, per guardare me (non so quando pensi al nostro amore). Ma quando ti rivedrò io voglio che il tuo sguardo sia così. Io lo sorpresi una volta, a Roma, ma non so se era per il nostro affetto. Fu un sorriso e una pace per la tua anima: era per me. Tu pensavi a noi. E ti apparve, in un sorriso spirituale, la realtà che ci è prossima. Tutto il tuo animo era quieto. Tu avevi dimenticato ogni cosa: tu possedevi il tuo amore. Dammi le tue mani; guardami come tu guardasti allora. Nei miei occhi tu devi leggere tutte le parole gioconde dell’anima. Sono tue: è un libro per te sola. Ma se io sono giunto a ciò, a non poter chieder e più oltre, io ho dovuto amarti anche quando... dubitavo (forse). Io ho dovuto sentirti posseditrice d’ogni mia fibra. E l’ideale posto in te m’ha salvato dalle contaminazioni.

Perdonami se non sempre ti ho fatta lieta. Ma più che così non ci possiamo amare. Noi abbiamo preparato a tutta la nostra vita il guanciale della felicità. Ora sento che posso riposarmi.

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Dio ha creato in me un mondo di cui tu sei la forza.

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Io sono così lieto intimamente che io vedo brillare la mia lettera, e il cielo sembra attendere.

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Sei lieta? Dobbiamo essere pieni di letizia. Non mai più dolcezza era stata in me.


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