Federigo Tozzi
Il podere

XXVI.

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XXVI.

 

Giulia era stata due giorni a letto, e il Crestai quando non era in tipografia non si muoveva mai dalla sua camera.

Soltanto allora cominciavano ad amarsi da vero; e sapevano indovinare i loro pensieri. La sera, sentivano cantare da dentro le osterie; e pareva che tutte quelle casupole di Via dei Pispini, con i muri sottili, tremassero alle voci di briachi; come se anch'esse avessero bevuto con tutti i loro pigionali.

A pena ella poté stare in piedi, andò con lui dall'avvocato Boschini, e riescirono a farsi promettere che si sarebbe occupato della causa con più impegno.

"Anche perché" egli disse "il mio conto lo dovrà pagare il Selmi; e da lui mi farò pagare molto meglio! Si crede di essere un signore, ma io gli farò provare le prime durezze della vita. Non è giusto che egli si goda quello che non doveva essere suo! Avrebbe dovuto darle le ottomila lire senza che ce lo costringessimo noi; ma si pentirà di averla fatta aspettare! Le farò avere anche tutti i frutti, fin dalla morte del signor Giacomo. Ed è giusto!"

Egli, perciò, fermò il Neretti in strada, e gli disse:

"Mi meraviglio che tu non abbia capito che qui si tratta di un dovere, quasi morale, del tuo cliente!"

Il Neretti gli rispose, sorpreso di sentirgli fare quei discorsi:

"Mi pare che tu sia già più che a mezzo del tuo intento! Io voglio, però, che la causa continui perché avete chiesto troppo."

"I testimoni, mio caro, hanno detto le cose come stanno."

Il Neretti si mise a ridere:

"Bisognerebbe vedere se i tuoi testimoni..."

Ma il Boschini non ne volle parlare e gli rispose:

"Noi non possiamo discutere dei testimoni; dal momento che il Selmi non ha potuto dimostrare niente in contrario. Io volevo dirti che tu lasciassi, ormai, dare la sentenza; anche per risparmiargli altre spese; perché tu sai come me che non può essere dubbio l'esito della causa."

"Come tu difendi la Cappuccini, io difendo il Selmi!"

"Verrò a trovarti, per riparlarne."

E si salutarono.

Quando il tribunale ebbe condannato Remigio, Giulia lo seppe subito; perché il Crestai andava tutti i giorni ad informarsi dall'avvocato. Salì in casa di lei, a due per volta. Giulia fu presa da una gioia convulsa, e non sapeva fare altro che stringergli con le unghie le braccia. Si riebbe, subito, di salute; e pareva perfino più giovane.

Ma l'odio di Berto s'era fatto sempre più forte; e, quando vedeva Remigio nel campo, gli veniva voglia di avventarglisi.

Il lunedì mattina, Remigio gli disse di prendere l'accetta e di andare con lui a buttare giù una cascia, con la quale voleva rifare il timone del carro. Berto aveva il cuore grosso e gli tremava: il respiro pareva che glielo spezzasse. Cecchina gli disse:

 

"Non andare tu: digli che vada con Tordo."

"Ci vado io, invece!"

La donna non osò guardarlo in faccia, e non gli disse altro. Si mise a sedere, perché le girava la testa; e non poteva stare sola.

Remigio aspettava Berto in mezzo all'aia; e, quando lo vide, gli disse:

"Possiamo andare."

Si guardava attorno, come se qualcuno dovesse venire a chiamarlo; e gli venne in mente di dire a Luigia che egli andava giù con Berto alla proda del confine. Perciò si soffermò; ma cambiò subito pensiero.

Camminava avanti all'assalariato, e voleva voltarsi per sorridergli; ma non poteva, ed aveva paura. In certi momenti, non l'udiva né meno, benché gli si avvicinasse sempre di più.

Quando furono alla proda, pensò: "Quest'altre cascie, tra due anni, saranno cresciute!" Vide un pero giovane, che ancora non aveva il pedano forte, e pensò: "Farà presto le pere, e sono di qualità buona!".

Berto guardava il ferro dell'accetta e lo lisciava con una mano: il ferro, arrotato da poco, luccicava.

Intanto, non c'erano più le zolle dell'aratura, e su la proda i piedi ci spianavano bene.

Remigio seguitava a camminare avanti. Allora, infuriatosi, Berto gli dette l'accetta su la nuca.

 

Qualche ora dopo, venne una grandinata.

I pampini e l'uva acerba si sparpagliarono su la terra; insieme con le rame dei frutti schiantati.

Luigia, piangendo abbracciata ad Ilda, mandò Picciòlo e Lorenzo a coprire Remigio con l'incerato del carro.


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