Federigo Tozzi
Ricordi di un impiegato

6 marzo

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6 marzo

Attilia si è ammalata; e mi ha fatto scrivere da una sua amica; ma non ho notizie molto esatte.

Sparagio, un facchino che non se la dice con Drago, mi avverte che nella mia camera, ogni mercoledì, ci sta un dentista a cavare i denti. Io lo faccio sapere al capostazione, che mi accorda il permesso di andare a sorprenderlo.

Infatti, l’uscio è aperto; e c’è sopra un cartello con questa scritta:

Giulio Boschetti, dentista di Empoli, estrae e cura i denti dalle dieci alle dodici.

Io entro; quegli mi crede un cliente e mi fa un inchino, dicendo giulivamente:

— Si accomodi.

Vedo che i miei libri e le mie camicie sono state messe in terra; e sul tavolino è aperta una cassetta piena di strumenti lucenti, con qualche goccia di sangue.

Io gli grido:

— Ma questa è la mia camera!

Il dentista si turba.

— È la mia camera, le dico. Esca di qui.

— Io non ne so niente. Vada dal padrone di casa.

Io vado, ma c’è soltanto la moglie. Sono incollerito da vero.

 

— Perché si permette... È una cosa vergognosa. Mi renderà i denari, e me ne anderò subito.

La moglie, aggiustandosi in fretta il vestito, si scusa:

— Che cosa c’è di male? Abbiamo fatto sempre così.

Doveva avvertirmi. E io non avrei preso la camera.

 

— I denari glieli renderà il mio marito.

Io grido anche più forte:

— Dov’è?

— Non lo so.

Ritorno dal dentista e gli dico:

— In tanto, se ne vada.

I miei colleghi, quando lo sanno, si divertono; e mi trovano, li per li, un’altra camera.

Quando torno a prendere la mia roba, e il padrone mi rende i denari, ci manca poco che non chieda scusa io a lui. Questo incidente mi fa pentire d’essere venuto via da casa senza che mio padre abbia approvato il mio desiderio d’ammogliarmi. E mi dico che non devo fare di testa mia le cose più importanti.

Devo sempre evitare che mi accadano cose spiacevoli; perché io, poi, non le so reggere.

Nello stesso tempo, ho quasi il desiderio di trovarmi a cose

simili; per avvezzarmi a tutto. Perché, magari, non sono stato derubato? Andrei dai carabinieri, mi farei restituire la roba; e lo scriverei a casa. Ne sono esaltato, e farei amicizia volentieri con il cavadenti. Come mi sono divertito a gridare a quel modo con la moglie del padrone! Ormai, non temo più di nulla; e spero che io mi trovi nella camera nuova a qualche avventura; che m’invidierà tutto il paese. Non potrebbe darsi che qui mi dovessi difendere da qualcuno che tenterà di entrarmi in camera di notte? Non può darsi che io faccia ammirare il mio coraggio dalla padrona? E mi ripeto il suo nome, che m’hanno detto proprio ora:

Dina Calamai. Anche Sparagio vedrà chi sono io. Dovranno dire tutti: come siamo contenti che Leopoldo Gradi è venuto a Pontedera! Se, poi, porterò la moglie qua, le faranno tutti festa. E, per poco, non mi par di vedere la stazione infiorata.

Pontedera è il miglior paese che ci sia; e Drago ha ragione che io gli paghi bere.


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