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27 marzo
È quasi mezzanotte, e accompagno, fino a casa sua, una donna che ha il marito in prigione da quindici anni. Ha paura che il vetturino della posta le si avventi addosso come ieri sera.
O devo smettere di parlare a Némora o sono deciso a sposarla. Me l’ha detto la signora Marianna. E io stesso riconosco che ha ragione; ma non so quel che decidere, benché proprio ora abbia impostato una lettera ad Attilia. Anzi, le ho scritto con. passione; perché sta sempre peggio.
Marcello Capri, tra qualche giorno, sarà traslocato a Firenze; e, perciò, non lavora quasi più. Il suo lavoro lo debbo fare io, ed egli non fa altro che occhieggiare la figlia dell’ingegnere. Si guardano per mezz’ore intere, senza più ritegno.
I facchini e i barrocciai, accoccolati dove batte il sole, ci si divertono e ridono a crepapelle. Qualcuno carica la pipa e va a fumarla lì; per godersi ambedue gli innamorati. Tutto il paese lo sa, e noi ci aspettiamo che capiti l’ingegnere in stazione.
Ad un tratto, un donnone robusto e muscoloso piglia per le spalle la ragazza, la tira verso la tenda e le dà due schiaffi.
I facchini e i barrocciai si alzano; e, andando fin sotto la finestra, bestemmiano e gridano giocondamente. Il Capri resta male; ma, per il meglio, si deve rassegnare. E, accesa una sigaretta, va sul piazzale.
Ogni domenica, una figlia del capostazione viene a passeggiare sotto la tettoia; e un suo fratello, molto più giovane di lei, la tiene per la vita.
Tutti me la indicano; e mi spronano a guardarla almeno un poco. E come ho fatto il viso rosso, quando, uscendo su la porta, ho incontrato Némora che attraversava i binari per andare a una casa fuori del paese!
La figlia del capostazione ha smesso subito di passeggiare.