Federigo Tozzi
Ricordi di un impiegato

29 marzo

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29 marzo

Sono due notti che non dormo, per terminare un lavoro affidato a me. Bevo il terzo caffè; ma gli occhi non mi stanno più aperti. Quantunque abbia presa la migliore lampadina, non riesco a vederci bene. L’applicato è andato a casa; il telegrafista dorme nella sua stanza.

Io sbaglio, perché i facchini si sono riuniti facendo un gran baccano insieme, con la sorella di uno di loro.

Potrei farli tacere e mi arrabbio invece. Pare che si travolgano tra le casse; poi ridono tutti insieme. Anche la ragazza bestemmia.

Certe notti, dopo aver guardato il cielo stellato, credevo di perdermi; e i pochi passi dalla mia casa mi parevano chilometri e chilometri. -

Uno sbigottimento angoscioso mi spingeva tra quelli spazii; senza lasciarne né meno uno; e le nuvole ventavano sopra la mia testa. Io avevo paura di non essere più come gli altri, e mi convincevo di non tornare mai più. Ma allora mi vidi steso morto, sopra un letto di campagna, con un prete che leggeva in un libro; e da quella volta mi son creduto sempre un altro.

Perché bisogna credere a quel che si pensa.

Nell’oliveta ci si vede anche soltanto con le stelle.

Dentro le siepi, qualche insetto si move; facendo frusciare la terra e le foglie.

Un uomo, che zappa tutto il giorno, torna a casa. Ma io non gli ho mai visto bene il viso. Io capisco che è stracco, e trascina una gamba. Le sere che non passa, guardo la terra del campo; perché mi fa pensare a lui; come se egli fosse piuttosto di terra che di carne come me.


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