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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Per lo più i nomi di quelli che fanno parte d'una famiglia
acquistano un'armonia che li riunisce, sembrano fatti d'una stessa materia,
come i chicchi di un rosario. Già i nomi, che si tramandano da avo a nipote,
completano questa fisionomia.
Delle persone che amiamo, dei nostri parenti, non rimane nel tempo che il loro
nome; quand'essi non sono né meno doventati fotografie sbiadite negli angoli
meno visibili del nostro salotto.
Siccome la mia zia era morta povera, non avevo mai più aperto l'armadio dove
stavano ancora i suoi abiti. Soltanto dopo cinque anni, dovendo ripulire la
casa per prendere moglie, untai con la penna e con l'olio la serratura prima di
ficcarci la chiave piena di ruggine.
Dunque dicevo che la mia zia aveva una voce che ricordava le pasticche
biascicate senza che nessuno se ne avveda. Tutte le volte che veniva a
cercarmi, ch'io l'avessi chiamata o no, teneva le mai, una dietro l'altra, nel
grembo. Quando se ne andava, era certo che le moveva perché aveva intenzione di
mettersi a qualche faccenda.
Si chiamava Betta, ed aveva cinquant'anni quando morì di male nervoso.
La sua vita ch'ella non mi confidava, il suo modo di parlare per nascondersi di
più che fosse possibile; per me non era che una vecchia vestita male, con molte
grinze, senza denti, senza sentimenti, affezionata, paziente, modesta.
Accendeva i fiammiferi soltanto sull'impiantito, a mangiare ci metteva tre
volte più di noi e mangiava meno, voleva essere l'ultima ad andare a letto, la
prima ad alzarsi; quando non faceva niente, s'appoggiava sempre a qualche cosa,
in cucina, alla madia; si confessava ogni mese; era di stomaco debole, non le
piaceva l'agnello; non sapeva né leggere né scrivere; canticchiava quand'era
sola. Tutte le cose che diceva riguardavano solo quelli della famiglia. Per
solito cominciava così: "Il mio povero marito...". Aveva tre figliole
tutte sposate, che andava a trovare per le feste solenni.
Era invecchiata tra cinque casupole, che chiamano Ferraiola, a ridosso d'una
scorciatoia scavata sul galestro e le macchie di ginepro. Questa scorciatoia è
l'ultima svoltata, dinanzi al lavatoio, che si trova per salire a Pari; e
porta, passando da casale, fino a Paganico e poi a Grosseto.
La prima figliola stava a Pari, ossia distante meno di mezzo chilometro da
Ferraiola; ma la zia non si sarebbe mossa da casa senza mettersi il miglior
vestito, e parlava di Pari come di un territorio straniero, a cui non
s'appartiene e con il quale non c'è niente da vedere, dove non si va che di
rado e il meno possibile e per qualche ragione speciale. Non importava che
dalla sua finestra vedesse tutto il cocuzzolo del caseggiato!
L'ultima volta che la mia zia venne da me, mi portò, dentro un fazzoletto, due
conigli da razza che le graffiarono le mani.
Bisognò disinfettargliele; ed ella non voleva e ci pianse.
Nei grandi prati, che mi piacevano anche prima di leggere il Petrarca, torno
per vedere i fiori che avrei offerto, molti anni fa, a qualche ragazza che me
l'immaginavo come ora la vedo disegnata in qualche libro. Doveva esser
soprattutto buona e sentimentale; e mi doveva amare sempre lo stesso quantunque
l'avessi sposata. E, qualche volta, rileggendo le nostre lettere, dovevamo
sospirare insieme.
Ma i fiori ci sono anche quest'anno e forse di più, perché il tempo è stato
meno secco; e allora mi vien voglia di correre verso l'orizzonte per vedere se
mi riesce d'abbracciare questa donna che mi pare più viva di prima.
Ma c'è soltanto una rondine che stride.
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