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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Le notti d'estate non dormivo: e, s'ero andato a letto
piuttosto presto, mi rialzavo e uscivo.È strano come la notte mi sia
impossibile pensare a quel che ho fatto il giorno! È per me un altro mattino
che comincia. I miei sogni, allora, sapevano d'aceto od erano voluttuosi.
E le strade solitarie dove i lampioni parevano acchiapparsi al muro per non
cadere dalla stanchezza, svegliavano tutti i miei brividi, e cercavo per
l'indomani gli amici e la donna da amare, che non avevo mai. Quando tirava
vento, qualche manifesto staccato, sotto un arco, sbatteva al muro, e anche il
mio cuore sbatteva.
Quando amavo sempre la medesima, mi piacevano i tetti rossi e i geranei. Di
primavera m'ostinavo a doventar cattolico e d'inverno sognavo di doventar
ricco.
Ah, non dimenticherò che ella si faceva togliere le calze da me perché le
baciassi i piedi, si faceva sbucciare le frutta, mi bruciava il viso con la sua
sigaretta! E perché, quand'ella mi teneva abbracciato, io guardavo noi due
nello specchio e non sapevo se fossimo di qua o di là da esso? E perché
dimenticavo perfino il mio nome? Ella mi aveva ingannato sempre, ma ero così
abituato a lei che l'amavo egualmente. E per la stessa ragione che l'orsa la notte
splendeva, così doveva esserci il mio amore; e mi pareva che la mia bocca fosse
nata soltanto per baciare lei. Ah, sì!
Mi piacevano i tetti rossi, i platani pieni di foglie, le acacie quando avevano
messo i loro fiori, i muri delle strade e le finestre chiuse! Ma più di tutto,
lo ripeto un'altra volta, mi piacevano le distese dei tetti rossi ch'erano una
festa per la pioggia e per il chiaro di luna che mi faceva stare con la testa
ai vetri.
Pensavo, in vece a cose che avrebbero dovuto nascere l'indomani e che io stesso
dimenticavo. Non so di che mi vergognassi.
In campagna mi fermavo sotto un albero che aveva i rami troppo schiacciati, e
gli offrivo di sorreggerli con la mia anima. E prima d'entrare in una strada io
mi ci affidavo tutto. La stessa città mi pareva forse più di cento città;
quella di quando avevo vent'anni non somigliava a quella di venticinque; la
molta gente, che conoscevo, mi faceva lo stesso effetto di un pianoforte se si
pigiassero insieme tutti i suoi tasti.
Rientrato in casa, deliberavo di star con la finestra aperta e allora la notte
aveva una dolcezza piena di estasi sovrapposte, come accordi, dal silenzio.
Palpavo, con le braccia scosse da brividi, il mio letto dove m'aspettava il
sonno come un compagno. Ma io ero certo di non aver mai dormito; e mentre la
musica della notte entrava, quasi di corsa, dalla finestra, io ascoltavo in
piedi nel mezzo della stanza: la mia giovinezza era una cosa sola con il tempo,
che mi trasportava con sé. E respingevo da me l'ultima donna, la cui nullità mi
faceva un poco ribrezzo.
Ma perché, dunque, quando due briachi cantarono io non chiusi la finestra?
Perché la loro voce mi dava una gioia irrefrenabile, una contentezza che non mi
faceva star fermo? Sapevo forse spiegarmi quel che fosse avvenuto? Non potevo
io aver ucciso molta gente? Di che cosa temei, all'improvviso? Perché non morii
in quel momento di dolore?
La voce dei due briachi divenne come un disperato singhiozzo lungo, una
tristezza che mi faceva raccapriccio. E, quando, affievolita, fu per sparire,
io mi sporsi dalla finestra: le stelle mi parvero più belle, e lì ad
aspettarmi.
E capii perché un gatto, accovacciato su la porta di casa mia, fosse scappato
quando gli fui vicino.
* * *