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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Qualche mattina, anzi giorno, sono entrato nella Basilica
di San Francesco, a Siena. I colori delle vetrate erano lividi, come pezzi di
diaccio, con i santi e le sante intirizziti, dentro e attraverso.
Cercavo di camminare in punta di piedi per non udire il mio passo, e m'avanzavo
fin sotto l'altare maggiore; poi, tanto a destra che a sinistra, andavo da una
cappella all'altra, cercando con superstizione di fermarmi, dentro ciascuna,
più nel mezzo che mi fosse possibile ma senza troppo tempo a mesurare lo spazio
con gli occhi e restandoci finché non avessi contato fino a cinquanta. Dopo
ogni cappella la mia esaltazione mistica si faceva sempre più completa, e mi
veniva in mente di non escire più dalla Basilica. Tutto il mondo, attorno alle
sue alte mura, diveniva sempre più dolce e più religioso. Qualcuno faceva segni
di croce che rimandavano indietro le folgori e arrestavano il vento. Gli organi
cantavano insieme con la mia anima, che fruttificava come un miracolo fatto
sopra una vigna. (Certo il ricordo di qualche leggenda manoscritta, letta alla
Biblioteca Comunale).
Le campane suonavano, le ore battevano; e tutto era musica. L'azzurro del
soffitto di una cappella si moveva e si apriva; gli angioli venivano fuori come
se fossero stati sospinti dall'infinito. Gli affreschi del Lorenzetti si
animavano; tutto il medio evo era dinanzi a me; io mi sentivo una spada in
mano, e dovevo per primo cominciare battaglie che duravano secoli.
Io sorridevo guardando il sagrestano che zoppicando portava la scala da un
punto all'altro delle lunghe pareti.
I sacerdoti mi benedicevano, il papa m'invitava a trovarlo.
Scricchiolò in una cappella, da un lato, una cassapanca antica: corse
attraverso tutto l'impiantito, sparì, come il brivido dalla testa ai piedi, un
topo.
* * *