Federico De Roberto: Raccolta di opere
Federico De Roberto
Il colore del tempo

CRITICA E CREAZIONE

II.

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II.

 

Nel romanzo del Nordau non il solo amore è lo scopo della lotta; ma anche, e principalmente, il denaro. Parassiti non sono soltanto i fuchi, gli amanti, ma anche gli speculatori, i giocatori in Borsa, gli adoratori della faccia di Mammone. Henneberg e Agostini hanno intorno una folla avida, cupida, rapace. Anche le brave persone sono invase dalla febbre dell'oro. Koppel, ottimo insegnante, integerrimo padre di famiglia, smentisce tutta una tranquilla vita di lavoro, tradisce i principî socialisti un tempo professati, per buttarsi a capo fitto nella speculazione. Ed all'amico Henneberg che gli rimprovera il voltafaccia, che lo accusa di essersi messo dalla parte di quelli che prima giudicava parassiti, risponde: «Valersi ai propri fini della folla senza nome non mi pare una definizione molto calzante del parassitismoGioca pertanto sui titoli russi, sulle azioni del Mercurio: una grande impresa nella quale è mescolata un'infinità di gente: il generale Zagal, il conte di Beira, il Kohn, avventurieri scaltri, poveri illusi che sognano e quasi raggiungono la fortuna, ma che un triste giorno, alla catastrofe della Società, si trovano con un pugno di mosche in mano, pieni di debiti, con l'usciere e i gendarmi alle costole.

Ora chiunque legge queste pagine ricorda necessariamente un altro gran romanzo straniero: l'Argent di Emilio Zola. Certo non si può dire che la favola messa insieme dal Nordau o i personaggi da lui presentati somiglino alla favola ed ai personaggi del romanzo francese - quantunque un'attenta analisi potrebbe scoprire certe affinità. Per esempio: tanto nella Battaglia di Parassiti come nell'Argent assistiamo al rapido crescere ed al precipitare di una grande impresa bancaria; come si uccide Agostini nella Battaglia, si uccide il povero Mazaud nell'Argent; lo Zola ha contrapposto ai loschi affaristi la figura di Sigismondo, il sognatore di una nuova êra liberata dalla nefanda guerra per il lucro, e Max Nordau contrappone ai proprî imbroglioni la figura di Klein, una specie di filosofo, di stoico, che muore, come Sigismondo, architettando certe sue teorie incomprensibili ai più. Ma, ripeto, nonostante questi punti di confronto, favola e personaggi sono, nei due romanzi, diversi. L'argomento, invece, la tesi, il fenomeno sociale studiato è lo stesso. Ora il paragone tra le due è inevitabile. Se pure il Nordau non si fosse mai occupato dello Zola, si potrebbe anche giudicare il suo libro senza far paragoni, senza dar peso alla identità dei due argomenti. Noi potremmo credere che lo scrittore tedesco ignorasse il romanzo parigino; potremmo ammettere che, conoscendolo, abbia voluto riprenderne il soggetto, per quella libertà che ha lo scrittore di scegliere i soggetti che più gli piacciono, non importa se trattati bene o male da altri. Ma non ha il Nordau espresso un giudizio intorno allo Zola? Non ha egli dato a questo scrittore del degenerato e del mentecatto? Non ha detto che l'arte sua è la negazione della verità, della verisimiglianza, della naturalezza? Non ne ha enumerati ad uno ad uno tutti i difetti? Non ne ha disconosciuti tutti i pregi? Allora è naturale, è necessario che la critica e il pubblico domandino: - O vediamo un poco che cosa ha saputo fare il Nordau, sano ed accorto, equilibrato e prudente, abile ed oculato, al posto di quel povero Zola, matto, incosciente e mediocrissimo!...

 

 


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