Federico De Roberto: Raccolta di opere
Federico De Roberto
Il colore del tempo

LA TIMIDEZZA

II.

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II.

 

Molto acute sono le osservazioni dell'autore intorno al sentimento di vergogna che accompagna la timidità: i timidi si guardano dalla gente dalla quale temono di essere scoperti; ma se la pigliano anche con loro stessi, per l'incapacità di fare come gli altri. «La timidezza», ha detto Benjamin Constant, «ricaccia nel nostro cuore le impressioni più profonde, snatura sulla nostra bocca tutto ciò che tentiamo di dire e ci consente di esprimerci soltanto con parole ambigue, o con un'ironia più o meno amara, come se noi volessimo vendicarci sui nostri sentimenti del dolore di non poterli manifestare». Ma se la timidezza è spesso una falsa vergogna, essa è anche una specie di pudore. Dinanzi a certi spettacoli che li commuovono sino alle intime fibre, i timidi restano muti; quantunque sappiano che i loro sentimenti, se li significassero, sarebbero approvati e lodati, essi tacciono per discrezione, per rispetto di stessi, per non scemare e disperdere i sentimenti loro, comunicandoli. Un poco d'egoismo non si trova in fondo a questo stato d'animo che il Dugas approva?

Un appunto che non si può tralasciare di fargli è il seguente: assegnando come causa della timidezza una sensibilità eccessiva, egli dimentica di notarne un'altra, che è la smodata immaginazione. Se i timidi sono impressionabilissimi, se non credono di essere indifferenti a nessuno, se dovunque vedono testimonî intenti a spiare e a giudicare i loro atti e i loro pensieri, questo effetto è in gran parte dovuto a un'immaginazione vivace e incapace di sottoporsi alla realtà. I maggiori timidi che il Dugas cita ad esempio nel suo libro si trovano fra i romantici, a cominciare dal Rousseau; ora i segni particolari dei romantici sono la sensibilità troppo acuta e l'immaginazione disordinata. Il Dugas si accosta anch'egli a questo giudizio, ma per altre vie, quando osserva che nei timidi, con l'esaltazione e la sottigliezza dei sentimenti, si produce la coscienza d'essere originali, la presunzione d'essere rari ed unici; coscienza e presunzione che sono comuni a tutti i romantici.

Da questa idea della propria singolarità, i timidi sono spinti ad isolarsi; e la solitudine, se da una parte genera egoismo, procura dall'altra aspirazioni nobili ed alte. la timidezza ha del buono e del cattivo: è una disposizione morbosa, ma anche una crisi normale, e pertanto può essere incoraggiata e combattuta, secondo i casi. Come difficoltà di adattamento, essa è un fatto ordinario. L'uomo non nasce con la scienza della vita; questa scienza dev'essere appresa a poco a poco: tutte le volte che noi abbiamo il sentimento della nostra imperizia siamo intimiditi, la qual cosa, naturalmente, ci accade molto più spesso nella fanciullezza che non nella maturità. E come stimolo a vincere le difficoltà che ci si presentano, a riflettere sui nostri atti, a saperli adattare al conseguimento dei fini, la timidezza è giovevole. Il timido non è sempre inventivo; ma chi non prova mai difficoltà di sorta è sempre un mediocre imitatore degli altri. Esser sicuri di stessi è senza fine preferibile ad esser timidi; ma la sicurezza vera e degna dell'uomo non è quella che dipende dalla cecità mentale o morale, o della presunzione; sibbene quella che proviene dalla timidezza superata e vinta. Ma quando la timidezza è tale che, invece di stimolarci a trionfarne, ci accascia e confonde, allora è di grave danno.

Anche in tali casi, tuttavia, essa può avere qualche vantaggio. L'incapacità di adattarsi alla vita pratica, che è dei timidi nati ed ostinati, spinge alla vita speculativa o immaginativa, alla scienza o all'arte. Il Wagner ha detto: «Se noi avessimo la vita, non avremmo l'arte. Se io potessi ritrovare la mia gioventù, la salute, la natura, una donna veramente amante, guarda: darei tutta l'arte mia.» E i difetti del timido nella vita, la sua smania di originalità, il suo scrupolo di perfezione, sono altrettante qualità del timido che si all'arte. Ciò è vero tuttavia sino a un certo segno. Lo sviluppo delle doti artistiche non è sempre agevole nel temperamento timido; alle volte anzi è del tutto impedito, come nell'Amiel, il quale diceva di stesso: «Tu hai lasciato, per timidità, l'intelligenza critica divorare dentro di te il genio creatore». E se il troppo ricercare la perfezione riduce all'impotenza, il troppo compiacersi nella singolarità conduce alla stravaganza, che è forse peggio.

 

 


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