Federico De Roberto: Raccolta di opere
Federico De Roberto
L'Imperio

III

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III

 

Quel sabato v'era, in casa Mazzarini, molta gente. La vittoria del governo dopo l'aspra battaglia procurava al ministro dei lavori pubblici, passato incolume dal primo al secondo gabinetto Milesio, nuovo favore: tutti i suoi amici, tutte le sue conoscenze venivano a rallegrarsi con lui della meritata fortuna. E l'on. di Francalanza, passando per le sale affollate, sorrideva tra sé al ricordo del vuoto, del freddo, dell'imbarazzo che aveva visto regnarvi le settimane passate, quando il credito di Sua Eccellenza pericolava.

Al posto del ministro, avrebbe egli accettato come moneta di buona lega quelle proteste di amicizia e quelle dimostrazioni di compiacimento?

Mazzarini, invece, era raggiante, la gioia gli si leggeva negli occhi come a un bambino. Oltre che ingenuo, quel contegno non era anche di cattivo gusto?... Consalvo cominciava a criticare, a ridire su molte cose. La società raccolta dentro parevagli poco scelta: accanto a qualche pezzo grosso della Camera, v'erano dei colleghi sconosciuti, timidi e umili del ministro come a Montecitorio; una quantità di magistrati e di impiegati più o meno alti, tutta la colonia calabro-sicula barbuta e taciturna. Dispiaceva particolarmente a Consalvo la padrona di casa, una buona signora, in fondo, che teneva un po' troppo però ad avere un salone politico, a ragionar di politica, a fare il giuoco di suo marito. Piccola, bruna, miope in grado estremo, chiacchierina, inelegante, dispiaceva a Consalvo per l'aria di protezione che un po' scherzando un po' sul serio prendeva con lui. Sulle prime, ignaro di tante cose egli aveva creduto all'efficacia dell'amicizia di lei e di suo marito, all'importanza del loro salotto; a poco a poco, specialmente dopo la crisi, e al contrario della folla che dava maggior credito al ministro, egli s'era venuto ricredendo. I Mazzarini, marito e moglie, atteggiandosi a suoi protettori, non sapevano viceversa nascondere il prezzo che attribuivano all'amicizia del "principe": solamente dal modo col quale la padrona di casa gli dava quel titolo e lo chiamava: "principe!..." egli comprendeva il segreto struggimento di quei borghesucci per la nobiltà; l'invidia che, arrivati alla supremazia politica provavano per un'altra supremazia, meno pratica, più vana, ma impossibile ad ottenere se non si possedeva dalla nascita; la vanità di dimostrarsi intimi con un gran signore genuino, simile a quella di un collezionista che tra molti quadri grandi e belli di moderni autori il posto d'onore a un disegnino antico o ad una stampa rara. In quella Roma dove i principi godevano d'un prestigio quasi regale, alcuni anzi più grande del regale, perché disconoscevano la nuova regalità; dove il ritiro di tanta parte dell'autentica nobiltà cittadina, era stato compensato dall'invasione d'una nobiltà più o meno dubbia, presentare un principe, non romano, è vero, ma un principe che si chiamava Consalvo Uzeda di Francalanza, i cui nomi lo dispensavano dall'esibire i diplomi, era un gran vanto per l'avvocato democratico a parole, per la provincialina ubbriacata dalla fortuna.

In casa loro, Consalvo vedeva una quantità di contesse i cui mariti non erano conti, ma colonnelli, contabili o magistrati, o capidivisione: nondimeno, la Mazzarini insisteva molto nel dar loro quel titolo. Di signore autentiche, egli ne aveva incontrate poche e nelle visite pomeridiane, piuttosto che di sera; ma, la marchesa Ersilia Clarenzi da lui riveduta al Quirinale, a un ballo di corte, s'era rammentata di suo zio il duca d'Oragua e gli aveva detto d'andarla a trovare. Al Quirinale, in casa Clarenzi, Consalvo andava per farsi vedere, per farsi conoscere, non già perché ci si divertisse. Un tempo, la società femminile lo attirava; dopo la metamorfosi, con la fermezza cocciuta degli Uzeda, aveva radicalmente soppresso la donna dalla sua vita.

Divenuto incapace di dire una galanteria, di accendersi dinanzi alle bellezze più procaci, per il lungo esercizio della castità, egli stava dinanzi alle signore come dinanzi agli uomini; parlava loro delle più serie cose con la serietà più grande. Sapeva di non esser antipatico di viso, e alle naturali doti della sua persona andava debitore d'una accoglienza quasi sempre affabile, nonostante quell'affettazione di serietà; inoltre, egli faceva alla frivolezza mondana una concessione che gli giovava molto presso le donne: l'eleganza degli abiti. Il conte Guelfo Alghieri-Randolfi gli aveva dato l'indirizzo del suo sarto di Londra, e da Londra egli faceva venire ogni cosa: prima d'andar fuori, quando si guardava allo specchio, rideva alla bella figura che lo specchio gli rivelava. Poi, in società, non provava grandi sodisfazioni: la casa dove andava più volentieri era quella di Clarenzi, come la più signorile e la meglio frequentata; tuttavia v'era troppa gente allegra e futile con la quale egli stava a disagio: vi si eseguiva troppa musica che egli non comprendeva.

La marchesa, giocatrice appassionata, lasciava gli ospiti alla figliuola e alla vecchia sorella, per fare il suo ecarté, in un salottino remoto, dove spesso Consalvo veniva a seguire le vicende delle partite. Studiò anche il giuoco che non conosceva, per poter sedere a tavolino con la padrona di casa, e guadagnarsi meglio la sua simpatia. Oltre che di domenica ella riceveva anche il sabato, e tra i due giorni v'era un gran differenza, perché il sabato veniva pochissima gente, soltanto gli intimi e i privilegiati: quantunque sicuro di annoiarsi peggio, Consalvo voleva esser di questi. Ora, giusto nella mattina, egli aveva incontrato sul corso la marchesa con la figliuola: dopo un breve scambio di chiacchiere, ella gli aveva chiesto se sarebbe andato alla serata della Patti, all'Argentina, ed alla risposta dubbia di lui: «Venga allora a trovarci, se non avrà di meglio a fare...». Era una cosa molto rara ottener quell'invito, passare dalla folla domenicale all'intimo circolo del sabato: per esservi riuscito egli si sentiva da più, giudicava più severamente la mescolata società dei Mazzarini. Non potendosi esimere dal farsi vedere un momento da loro si compiaceva tuttavia nell'idea di passare da una casa all'altra, di essere dappertutto aspettato, desiderato, trattato con speciali riguardi... «Avete letto, principe, l'articolo dell'Italiano?... Che ne dite? Bisogna essere di mala fede, nevvero, onorevole Pastrini

La signora Emanuella dimenticava di pensare ai suoi invitati per esprimere la propria indignazione, contro gli sfoghi d'una certa stampa che, a proposito dell'ultimo voto, del nuovo atteggiamento della Camera, prediceva il finimondo: il voto del 12 maggio segnava la morte dei partiti, l'instaurazione d'un opportunismo che era indizio sicuro dell'agonia delle istituzioni parlamentari. I fogli radicali, da canto loro, calcavano la mano: quel tentativo di fusione tra le varie parti politiche era l'ultimo espediente cui si potesse ricorrere: finito quello, la liquidazione sarebbe stata immancabile.

«Bisogna essere di mala fede? Opportunismo! Fusione! Quando invece nessuno ha insistito con maggiore calore nel dichiararsi fedele alle proprie idee! Avete sentito la Destra? Il governo ha parlato chiaro?...» Ella invocava la testimonianza dell'on. Pastrini, uno dei giovani del centro sinistro che nel loro organo, la Cronaca, si compiacevano dell'avvenimento. Consalvo, prima che il collega rispondesse, e mentre altre persone s'avvicinavano al gruppo, esclamò:

«Quelli che ora denunziano l'accordo sono gli stessi che prima imprecavano al bizantinismo delle divisioni

«Bravo, principe! Ben detto!... I partiti, allora, non avevano séguito nel Paese...»

«Discutevano di cose vane...»

«Si dilaniavano a vicenda...»

«Invece di unirsi per badare agli interessi reali, di sodisfare ai veri bisogni...»

«Del resto» rispose Consalvo «chi ha abdicato

«Nessuno!»

Egli sapeva che era l'opinione prevalente, , quasi la parola d'ordine; e ne rideva tra sé. Ciascuno dichiarava di restar fermo al proprio posto, di non rinunziare alla più insignificante parte del proprio programma: gli strenui campioni di opposti ideali si trovavano poi insieme, come? perché?...

Per ragioni molto semplici che egli aveva comprese, che Mazzarini gli aveva confermate, che tutti realmente sapevano ma che non bisognava riconoscere ad alta voce: perché l'indisciplinatezza della Sinistra rendeva impossibile la durata d'una maggioranza di governo, e necessario l'accordo con altre parti della Camera: perché i conservatori, disperando di riafferrare il potere per le vie dirette, erano i soli capaci di venire a quell'accordo, mediante compensi.

«Nessuno abbandona il proprio posto; nessuno vuole uccidersi moralmente!... Guai se fosse avvenuta una cosa simile! La ragion d'essere del sistema parlamentare sta tutta nella distinzione dei partiti, nel loro alternarsi al potere ed all'opposizione, nella reciproca vigilanza... Può ricredersi un uomo, ne abbiamo visto più d'un esempio, ma come è mai possibile che si ricreda un partito? Se non restassero intorno alla bandiera altro che dieci, altro che cinque fedeli, essi vedrebbero presto o tardi accorrere le reclute, ingrossarsi le loro file, ricomporsi la falange

«Se mancassero le ragioni di dissidio...»

«Se fossero cancellati i ricordi delle antiche lotte...»

«Ma dacché mondo è mondo» ripigliava ancora Consalvo «c'è stata una radicale distinzione tra chi vuol muoversi e chi vuol stare fermo; tra chi rimpiange il passato e chi spera nell'avvenire; conservatori e progressisti non mancheranno mai; muteranno i nomi e le persone, resteranno ferme le tendenze. Vedete quel che è accaduto in Francia: i repubblicani che sotto l'impero erano gli oppositori, adesso sono la maggioranza conservatrice; ma sono sorti i radicali a far loro una opposizione più vivace di quella che i repubblicani facevano ai bonapartisti!... E, oltre queste due grandi tendenze, quante altre non ve ne sono; o per meglio dire quante gradazioni esse non comportano! Il Paese non comprende le distinzioni politiche? Chiama bizantine le loro lotte? Ma tutt'al contrario! Chi è il Paese? Il Paese è un nome collettivo, un'astrazione. Non esiste il Paese, ente definito, il cui nome corre sulle bocche di tutti; esistono moltitudini di cittadini in mezzo ai quali, se cercherete bene, non troverete forse due soli che siano interamente, sinceramente d'accordo e che chiedano le stesse precisissime cose! Però, le diversità fra tante opinioni non sono tutte radicali e inconciliabili; vi sono divergenze leggiere, secondarie, che permettono la formazione di gruppi di opinioni, di famiglie di idee; questi gruppi, queste famiglie si danno anch'essi la mano, hanno anch'essi dei punti di contatto, si risolvono gli uni negli altri. Così, se noi cominciamo dall'estremo reazionario...»

E lanciato a tutto vapore, pieno di vanità per l'attenzione che gli prestavano, egli non s'arrestava più: enumerava, definiva, paragonava i mille partiti in cui si divideva il Paese: i reazionarii, i nemici dell'unità, i clericali, i fautori del ritorno al regime assoluto; poi i conservatori rigidi, e gli aristocratici liberali che, rispettando la costituzione, avevano l'ideale d'un governo forte e severo; poi i liberali progressisti, poi i democratici radicali; poi i repubblicani di governo...

Col bisogno di giustificare la sua tesi, egli frazionava sempre più questi partiti, ne inventava di nuovi coniandone per i nomi; accozzando e riaccozzando a suo modo gli aggettivi: "radicali moderati", "repubblicani conservatori", "socialisti aristocratici...". Tutte queste frazioni, dovevano essere rappresentate in Parlamento: non ne sarebbe nato il caos, perché essi avrebbero stretto alleanza secondo i loro interessi generali o del momento: i conservatori liberali avrebbero dato la mano ai progressisti temperati; i clericali agli assolutisti; e non era anche naturale un'intesa tra sovversivi e reazionarii? Gli accordi, stretti in un'occasione si sarebbero rotti in un'altra, e da queste continue combinazioni e scombinazioni, sarebbe nato l'equilibrio, "media delle opinioni" necessaria a segnare la rotta alla nave governativa... Parlando, egli guardava in giro, il cresciuto uditorio, ma i suoi sguardi s'arrestavano di preferenza ed erano quasi attratti da quelli di un giovane a lui sconosciuto che stava a udirlo immobile e attonito. Degli altri, qualcuno lo interrompeva tratto tratto, per confermare o modificare le sue opinioni; ma, dopo aver risposto all'interruttore, egli riprendeva subito il filo del ragionamento, non cedeva la parola; e sempre quel giovane pareva pendere dalle sue labbra come udendo un verbo di verità e di salute...

«In Germania!... E in Germania?... Ma giusto in Germania!...» La signora Emanuella aveva a più riprese interrotto, per citare il parlamento tedesco come esempio di questo frazionamento di parti politiche, e quando era stata zitta, aveva, coi moti del capo, con l'espressione del viso, approvato le idee dell'on. di Francalanza; andando via, poiché i doveri di padrona di casa la chiamavano nelle altre sale, ella s'avvicinò al deputato siciliano, e gli disse, sottovoce, toccandogli la spalla con l'occhialino di tartaruga che rigirava sempre tra mano:

«Bravo, principe!... Così!...»

Consalvo rideva tre sé dell'aria di protettrice confidenza che ella prendeva con lui, degli incoraggiamenti che si credeva dover suo prodigargli, quasi a un giovanetto chiamato a dare un esame, bisognoso della benevola indulgenza dei professori. Specialmente dopo il discorso da lui tenuto alla Camera, ella insisteva in quell'attitudine, come per dirgli che il fiasco non doveva poi sgominarlo.

Perché fiasco c'era stato, senza dubbio, nonostante i pietosi eufemismi adoperati da alcuni giornali per nascondere il vero carattere dell'accoglienza fatta al presuntuoso oratore. Consalvo, ostentando la più sicura baldanza dinanzi ai suoi concittadini, sapeva bene quale fosse l'opinione generale intorno al suo esordio parlamentare: ma, come dinanzi ai suoi concittadini, egli s'era mostrato baldo e sicuro dinanzi ai colleghi imbarazzati al pari degli elettori di passaggio; e aveva preso la cosa a ridere dinanzi a quegli altri che ne ridevano, e aveva finto di non comprendere i sorrisi annacquati di quegli altri che lo schernivano.

Il domani della seduta, nei corridoi, aveva sorpreso un gruppo di deputati, che, ridendo sgangheratamente, s'erano subito contenuti al suo avvicinarsi: ma non tanto presto che egli non udisse un giudizio espresso clamorosamente da un piemontese, l'on. Radengo: «A l'è' 'na c...!»

E a Montecitorio apprendevasi presto il senso delle più energiche locuzioni dialettali... Ma niente riusciva a scemare la sua fiducia, tutto invece contribuiva ad accrescere il suo disprezzo per quei colleghi che, valendo meno di lui o quanto lui, credevano di poterlo trattare dall'alto in basso a Montecitorio, salvo poi a mutare contegno in casa Mazzarini. , egli sapeva di spiccare, aveva più immediata coscienza dei proprii vantaggi, e dopo aver dominato l'uditorio con la sicurezza della sua parola, voltava le spalle ai colleghi che parlavano a loro volta, riprendendo l'eterno tema della divisione e della fusione dei partiti. Disponevasi a filare all'inglese senza salutar nessuno, quando Mazzarini lo raggiunse nell'anticamera:

«Principe, andate via? Aspettate ancora un momento!...»

«Volentieri se non dovessi fare un'altra visita. Ho preso impegno di non mancare...»

«Quand'è così!... Volevo dirvi che l'affare del giornale va avanti, la redazione è quasi composta... Volevo anzi presentarvi uno dei collaboratori, Ranaldi, un giovane di molto ingegno, che pare sia un prezioso acquisto...»

«Bene! Bene! Voi sapete fare le cose a modo! Non ci mancherà tempo di riparlarne

 

In casa Clarenzi, fin dall'anticamera, Consalvo comprese che la società del sabato non aveva niente da vedere con la domenicale: la guardaroba era quasi vuota: una mezza dozzina di pastrani e appena due o tre mantelli femminili; mentre la domenica, venendo a una cert'ora, non si trovava posto neppure per le mazze. Entrando nel salotto dove donna Maria riceveva, egli udì la voce di lei salutarlo, da lontano:

«Oh, Francalanza! È di parola...»

La marchesa non giocava; e, cosa anche più rara, c'era anche suo marito. La signorina Renata si levò nel punto che Consalvo s'apprestava a salutarla, e strettagli la mano, scomparve. Egli non si trovava in paese di conoscenze, la padrona di casa dovè presentarlo; e gli uomini, ammutoliti, avevano quasi tutti un'aria chiusa e diffidente, come in presenza d'un intruso. In cambio, donna Maria, fattoselo sedere accanto, pareva studiarsi di riuscirgli amabile, di guadagnargli la benevolenza degli altri invitati. Il discorso interrotto al suo arrivo, ricominciò: aggiravasi intorno all'idea d'una esposizione universale a Roma. Tutti gli uomini erano contrarii e tutte le signore favorevoli. La contessa Boriana, specialmente, voleva che ad ogni costo si facesse, sicura della riuscita.

«Siamo o non siamo nella capitale d'una grande nazione

«Ma che volete esporre, di grazia? Non abbiamo industrie, non abbiamo colonie...»

«L'arte! L'arte

«La baia d'Assab!...»

«Farla bene, o niente; è giustissimo

«Ci vuol altro che quadri e statue

«E lei, Francalanza? Darà il suo voto

Egli si dichiarò in massima favorevole all'idea. La produzione italiana, quantunque ancora scarsa... Ma non gli davano molta retta; la discussione era accalorata; il marchese, senza degnar d'attenzione la moglie che sosteneva l'opportunità dell'impresa, se la prendeva coi promotori; il generale Trotta di Cigliole, secco e lungo, coi capelli e i baffi bianchi come bambagia, spiegava che la più parte di costoro avevano aderito per amore di popolarità, non per fede che avessero nell'idea.

«Ma ci sono le sottoscrizioni!... I primi fondi raccolti!... Deliberazioni di Camere di commercio, di società...»

«Aspettate la sottoscrizione!... Ne riparleremo quando avrete raccolti cinquanta milioni!...»

«E il governo?... Tutto dipende dal governo!... Principe, sa che cosa farà il governo

Mazzarini glie l'aveva detto in confidenza: secondare l'iniziativa finché si trattava di dare buone parole e ambigue promesse, ma non impegnare in nessun caso i bilanci dello Stato. Poiché quel disegno vellicava l'amor proprio nazionale, il ministro non voleva che l'intimo suo pensiero si sapesse: presto o tardi la propaganda si sarebbe arrestata da sé, per le immense difficoltà della riuscita.

«Mi duole dirglielo, marchesa: il governo è contrario.» Tutti si voltarono dalla sua parte.

«Come?... Decisamente

«Decisamente...» ed egli espose tutto quello che Mazzarini gli aveva raccomandato di non dire; spiegò il perché dell'apparente adesione e della reale opposizione governativa.

Stavano tutti a sentirlo; un signore col pizzo, il cui nome egli non aveva bene udito, s'alzò anche dal suo posto e venne a metterglisi dinanzi, in piedi. Per dimostrare di essere nei secreti ministeriali, per prolungare il suo effetto in mezzo a quella società che dapprima non gli badava, egli inventava particolari di sana pianta, estendeva a tutto il gabinetto le idee di Mazzarini, riferiva testualmente dichiarazioni che nessuno gli aveva fatte.

«Bravo!... Finalmente!... Ma è un equivoco!... Anzi, è parlar chiaro!... Bisogna ripeterlo!... Bravo!... Così?...»

Mentre ciascuno approvava, e il signore che gli stava dinanzi quasi gli batteva le mani, e le dame protestavano, egli udì una voce femminile dire dietro di lui, replicatamente:

«È giusto, è giusto...»

Era la marchesina. In piedi, con una mano appoggiata alla spalliera della poltrona dov'egli sedeva, sola tra le donne, ella dava ragione al governo. Consalvo si levò.

«Non sono con la mamma, onorevole; non credo alla esposizione. Sarebbe una bella cosa, certo, se fosse possibile...»

Il resto della società discuteva con più calore di prima, l'attenzione s'era nuovamente distolta da lui; egli chinò il capo, dette ragione alla sua interlocutrice. Era stato poche volte insieme con la marchesina, nelle sue precedenti visite in casa Clarenzi. La domenica ella aveva quasi tutto il peso del ricevimento, si divideva tra un centinaio d'invitati, né egli faceva nulla per starle vicino. Se le signore più belle lo lasciavano indifferente, le signorine non gli parevano neppur donne; la loro frequentazione non poteva giovargli. È vero che tra le frivole compagne, la Renata faceva, secondo l'opinione generale, eccezione, per la serietà del carattere e la cultura della mente. Figliuola unica, con un gran nome, ricca della doppia ricchezza del padre e della madre, bella d'una geniale bellezza, bruna, alta, forme perfette, pareva strano che a venticinque anni non avesse ancora trovato da accasarsi. Ma Consalvo sapeva qualcosa delle particolari ragioni di questa stranezza. Il marchese e la marchesa stavano insieme come cani e gatti, non avevano altro sentimento comune fuorché un orgoglioso amore per quella figliuola: spartendosi dunque tra loro, sempre intenta a risolvere l'insolubile problema di comporre i loro continui dissidii, ella non aveva quasi tempo di pensare a sé stessa. In quella casa c'erano poi dei vecchi amici, devoti, ma esigenti fino alla gelosia, i quali si credevano in diritto di dire la loro opinione, d'essere ascoltati, d'esercitare una specie di tutela collettiva sulla giovane; talché mentre il padre, la madre e gli amici discutevano i possibili partiti, e quasi s'azzuffavano pretendendo di far accettare i proprii raccomandati, ella restava indifferente, non esprimeva volontà, non sceglieva.

Erasi in tal modo formata una specie di leggenda che affermava l'impossibilità del suo matrimonio: «Ha troppi padri e troppe madri...» dicevano; «è troppo fredda e troppo obbediente...». Consalvo aveva udito queste cose, senza interesse, senza curiosità; parlando adesso con la giovane, dell'esposizione, della ricchezza nazionale, dei doveri dello Stato, di cose serie e gravi, si compiaceva di vedere che la fama di lei era meritata, di potere anche con una signorina sfoggiare la sua scienza di governo. S'erano seduti vicino al pianoforte, fuori del cerchio dove la discussione, presa un'altra piega, aggiravasi sulla politica: il signore col pizzo andava a piantarsi successivamente dinanzi a quelli che accaparravano l'attenzione generale.

«Povero commendatoreesclamò a un punto la Renata, vedendo quell'armeggio «È sordo come una campana

«Mi faccia un piacere, marchesina: chi è?» le chiese Consalvo «Non udii il suo nome

«Il senatore Blandini

«Ah!»

Blandini: uno dei pezzi grossi della banca, della scienza e della politica: professore, capitalista, ex-ministro, capo-parte al Senato! Consalvo era dolente di non aver saputo prima il suo nome, di non avergli recitato ancora l'espressione del suo ammirativo rispetto, quando una nuova visita entrò. La più strana figura di donna che egli avesse mai veduta: lunga, magra, dinoccolata, coi denti scoperti come un cavallo annitrente, con indosso un abito straordinariamente vistoso, roseo e giallo: la vecchia miss inglese dei giornali di caricature, una maschera di carnevale. La Renata s'era levata per andarle incontro; e la nuova venuta l'abbracciava, dicendole: «Dear!...». Inglese davvero?

«Donna Paola Boriani

Consalvo provava un senso di stupore. Il nome di donna Paola non gli veniva nuovo; anzi, egli aveva molto udito parlare di lei, come l'Egeria dell'on. Griglia, ma aveva sempre creduto che fosse se non più giovane, almeno più donna, non così stravagante e ridicola come la persona che si vedeva dinanzi.

A ogni modo, poiché la casa di lei dove conveniva una società ristrettissima e sceltissima, aveva fama di essere di difficile accesso, egli si rallegrava tra sé dell'occasione che lo metteva in presenza della celebre dama. Mentre ciascuno riprendeva posto, la marchesina gli passò vicino, e sottovoce, come suggerendogli una lezione, gli disse:

«Le parli inglese... le dica bene dell'Inghilterra...»

Dietro l'occhialino, donna Paola lo squadrava da capo a piedi: narrando alla marchesa in un italiano duro e quasi stentato come quello che parlano gli stranieri, pieno di but, di I' dont e di true, si voltava ogni due minuti secondi verso di lui, lo guardava con tanta insistenza da imbarazzarlo; pareva continuamente sul punto di esclamare: "Chi è costui? Di dov'è piovuto?...".

«E Matildedomandò la marchesa «Non sai che cosa le accade

«I' dont... Doveva venire alla fine del mese. I believe che non la vedremo per ora

«Ma come può star sempre in moto, come non si stanca!...»

«Lasciatela fare!» disse la Boriani «A Roma pel quarto d'ora si sta così allegri!...» Tutti si misero a discutere la manìa viaggiante di quella signora; la marchesa, poiché Consalvo guardava in giro, senza aver nulla da dire, gli spiegò:

«La contessa Pavi, una nostra amica elegantissima e brillantissima, non così vecchia come noialtre...»

«Aulus!...» esclamò donna Paola, come Consalvo faceva un atto di protesta; e la padrona di casa:

«Aspetti di vederla; la vedrà qui certamente...»

La signorina Renata serviva frattanto il the. Il circolo si scompose: uomini e dame con le chicchere in mano, se ne andarono negli angoli della sala, s'aggrupparono diversamente: restarono intorno alla marchesa, Consalvo e donna Paola.

«Do you speak english?» domandò costei a bruciapelo al deputato.

Egli rispose d'un fiato, mentre la marchesina chinava il capo per nascondere un sorriso:

«Molto male, con mio rincrescimento. L'ho studiato a lungo, e a leggere un libro capisco ogni cosa: mi è invece sempre mancata l'opportunità di esercitarmi nella conversazione...»

Ella scoteva il capo d'alto in basso, come un cavallo che senta la briglia, mentre intingeva un biscotto nel the.

«Non stetti tanto a Londra da poter fare profitto. Vorrei potervi passare almeno un anno

«Basterebbe, conoscendo già la teoria

«Of course...»

«How do you like England?»

«Moltissimo...»

Il colloquio a poco a poco si venne animando: egli esprimeva con termini vivaci la sua ammirazione per la nazione britannica, per i costumi britannici, per la grandezza britannica. Quando gli se n'offriva il destro, ficcava nel suo discorso la mezza dozzina di espressioni anglo-sassoni che sanno tutti, e si infervorava a ripetere quel che aveva già detto quando non comprendeva le lunghe frasi inglesi di quella fanatica. La marchesa li aveva lasciati soli; ma Renata, finito di servire gli invitati, prese il posto della madre. Ella sorrideva discretamente a Consalvo, quasi per dirgli: "Vengo a darvi aiuto; ma vedo che siete sulla buona via...". Infatti, donna Paola, quantunque piantasse ancora gli occhi addosso all'onorevole come un esaminatore a uno scolaro, ripeteva più spesso il gesto approvatore del capo, come un esaminatore non troppo scontento... Consalvo aveva preso a parlare della politica inglese di Gladstone, di Salisbury; e a poco a poco la conversazione divenne nuovamente generale; nel circolo ricomposto ciascuno disse la sua intorno al nuovo atteggiamento della Camera italiana. Qui i pareri erano diversi da quelli prevalenti in casa Mazzarini: il marchese e Blandini dichiaravano che l'accordo tra Milesio e la Destra significava la fine dei vecchi partiti; il generale, senza esprimere nettamente il suo pensiero, scrollava il capo in atto affermativo, la Boriani, avvertendo che non s'intendeva di diritto costituzionale, non capiva perché la sala delle sedute, a Montecitorio, dovesse essere semicircolare: se l'avessero fatta rotonda non vi sarebbe più stata né DestraSinistra e tutti si sarebbero trovati d'accordo. «Ecco un'idea!...» esclamava Micali; «La quadratura del circolo!... Bisognerebbe però che voi veniste a presiedere le sedute...» Scherzi a parte, tutti riconoscevano che non v'erano più in Italia, pel momento almeno, quistioni grandi e ardenti che dividessero l'opinione pubblica, e giustificassero una profonda divisione di parti politiche in Parlamento. Solamente donna Paola non diceva la sua: si voltava a udire gli altri, tutta d'un pezzo, alzando e abbassando le sopracciglia, aprendo e chiudendo gli occhi, stringendosi nelle spalle, dando buffetti alle pieghe della veste, smaniosa non si capiva perché. A un tratto si rivolse a Consalvo e gli domandò a bruciapelo:

«E lei, che ne pensa

Egli non esitò un momento:

«Io penso che il Paese è di un solo partito

L'uditorio era diverso, nessuno dei frequentatori di casa Mazzarini poteva comparirgli dinanzi; tutti coloro che lo circondavano esprimevano l'opinione contraria a quella da lui sostenuta qualche ora prima. Ed egli diceva bianco dopo aver detto nero.

«Il Paese è d'un solo partito: nessun conservatore nega il progresso, e tutti i progressisti riconoscono la necessità di conservare una quantità di cose. Non mancano gli intolleranti in un senso e nell'altro, ma quanti sono?...»

Micali gli batté le mani; donna Paola lo guardava intenta senza più gestire; ma egli era sicuro di averla per sé. L'amica di Griglia, del moderato arresosi con armi e bagagli, poteva affermare la vitalità delle parti politiche e la diversità dei programmi.

 

 

 


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