Federico De Roberto: Raccolta di opere
Federico De Roberto
La morte dell’amore

Secondo esempio L’ASSURDO

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Secondo esempio

 

L’ASSURDO

 

 

– Bisogna pure riconoscereproseguì Ettore Baglioni, fra l’attenzione simpatica dei suoi giovani amici – che noi siamo fatti a un modo assai strano, e che, se la felicità ci sfugge, il più grande ostacolo al suo conseguimento procede da noi stessi, dalle intolleranze, dalle contraddizioni di questa nostra inesplorabile natura… Io v’ho ben detto che l’amore di quella donna fu per me, in un periodo molto oscuro della mia esistenza, un divino nepente, un elisir di vita, la fonte deliziosa a cui si disseta avidamente l’arso pellegrino che già stava per accasciarsi sull’arena scottante, in attesa di entrare nell’Oasi eterna ed infinita. Quando io paragonavo l’uomo nuovo che quella passione aveva fatto di me, al lamentabile personaggio antico, dal cuore sanguinante, dallo spirito ottenebrato, dalle energie distrutte, io sentivo, sì, dilatarmi il petto come nel respirare l’aria purissima d’una vetta alpina dopo aver traversato una paludosa maremma: però, più forte della gioia era sempre la paura che quell’incredibile metempsicosi si risolvesse in un fatale ritorno alla sciagurata esistenza di prima. Dipendeva forse da me l’impedirlo? Se quella donna che era tutto il mio bene sulla terra non m’avesse voluto più, avrei forse potuto arrestare la nuova rovina?… Questo io le dicevo sovente. Nelle ore radiose – come fuggite! ma sempre risorgenti – che sole misuravano il tempo per noi, quando io non potevo dubitare d’una realtà prodigiosa più d’ogni chimera, quando la tenerezza diventava uno struggimento a cui le carezze non bastavano più, ma che aveva bisogno di traboccare in pianto, io le dicevo, guardandola negli occhi, tenendola per mano: “Se un giorno cesserai d’amarmi, tu me lo dirai, non è vero? Non temere, sai, ch’io mi ribelli, ch’io ti importuni, ch’io ti minacci. Accetterò tutto da te. Non v’è parola uscita dalle tue labbra che non sia cara e benedetta, degna di sommessa obbedienza. Vorrà dire che quel giorno crederò di destarmi dopo aver fatto un bel sogno, uno di quei rosei sogni che lasciano per lungo tempo l’anima letificata e quasi fragrante. Riconoscerò che non si può sognar sempre, vedrai che mi farò una ragione. Ma tu mi confesserai questo lealmente? Non farai come le altre, tu che sei dalle altre tanto diversa; non farai come quelle che hanno mentito, per innata malvagità, o per una falsa compassione più crudele, nei suoi effetti, dell’odio feroce?…”. Allora, tentando di soffocare quelle dolenti parole, annodandomi le braccia intorno al collo, con voce rotta dai singhiozzi, ella protestava amaramente, mi diceva che io non avevo il diritto di sospettar di lei, di farla soffrire così; e le sue lacrime si mescolavano alle mie – dolcissime lacrime, rugiada benefica che irrorava i cuori innamorati e vivificava il fiore della nostra passione. Ma cogli sguardi chinati e intensamente fissi in un punto, a voce bassa, quasi parlando tra sé, ella soggiungeva che sarei stato piuttosto io stesso a cessare d’amarla, a lasciarla…Ah, i sorrisi che mi salivano alle labbra! le sfide superbe ch’io lanciavo al tempo, alla vita, alla morte! Io lasciarla? Ma il naufrago perduto in mezzo al mare procelloso lascia forse la tavola a cui gli è riuscito aggrapparsi? Ma sapeva ella soltanto che cosa fosse per me l’amor suo, il prezzo che io davo alla sua vista soltanto; il moto di superbia che mi sollevava sopra tutta l’umanità al solo pensiero che ella si fosse accorta di me?… Di che forza non mi sentivo animato! Come guardavo sicuramente all’avvenire!… E come m’ingannavo!

Voi che sapete leggere nel vostro pensiero, che non soffrite più di vertigini nel discendere in fondo all’abisso della coscienza, che non avete paura di riconoscerne le più tenebrose latebre, comprenderete ciò che io vi dirò. Quello spirito di emulazione e di sacrificio che non lasciava ammettere a ciascuno di noi la possibilità di stancarsi, ma che ci dava l’ostinata previsione dell’abbandono che avremmo sofferto, nascondeva un suggerimento dell’egoismo, significava che ciascuno di noi si credeva più capace d’amore dell’altro, più sincero nei suoi affetti, più generoso e in certo modo più degno…E veramente quando io mi guardavo intorno, quando vedevo gli altri uomini da cui ella era circondata, pensavo bene, malgrado la fiducia che le dimostravo, che ella ne avrebbe potuto notare qualcuno. Provai più d’una volta i primi morsi della gelosia, ma le nubi che minacciavano la serenità del mio cielo spirituale si dissipavano tosto. Per una ragione od un’altra, nessuno di quegli uomini era molto pericoloso; io mi sentivo, ed ella stessa mi diceva, con quell’accento di sincerità che non si finge, superiore a tutti coloro.

Un giorno, però, apparve uno dal quale quella specie di sesto senso che ci fornisce le così dette intuizioni, mi avvertì di guardarmi. Malgrado le persuasioni dell’amor proprio, io riconobbi con una stretta al cuore che quell’uomo valeva più di me. Sotto qualche aspetto, io mi sentivo ancora per lo meno eguale a lui, ma egli aveva vantaggi incontestabili: era più giovane, aveva fatto parlare di sé come d’un ingegno pieno di promesse, e – qualità che doveva agire più d’ogni altra sullo spirito di quella donnaera stato più fortunato di me nell’amore. Io l’avevo sedotta pei miei dolori, ma le fortune di lui dovevano ben altrimenti far lavorare la sua imaginazione. E col cuore sempre più chiuso, io riconoscevo che l’effetto temuto si produceva

Ora bisogna che io insista un poco su questo punto, perché voi non comprendiate più di quel che dico. L’amore di lei per me non era già intepidito, ella me ne dava prove sempre più eloquenti, io non avevo assolutamente nulla da rimproverarle; ma da certe domande che mi faceva intorno a quell’uomo, da una certa espressione che il suo sguardo prendeva quando si parlava di lui, da certi altri segni ancora più tenui, io comprendevo che quella figura s’imponeva all’attenzione di lei. In una altra età, o più semplicemente in altre condizioni dell’animo, io non avrei forse neppur notato quei segni; ma uscendo da prove funeste, con la dolorosa esperienza dei tristi processi sentimentali che finiscono per distaccare un’anima da un’altra, io non potevo negar valore a quei sintomi. Se quell’uomo avesse tentato di spiegare attivamente la propria seduzione, che cosa sarebbe avvenuto?…Io non osavo rispondermi; vedevo bene però che la mia pace, la mia fortuna, dipendevano da questo: che egli non facesse nulla per portarmela via.

E questo, appunto, era l’insperabile. Che cosa poteva impedirgli di tentar l’avventura? Non aveva nessun dovere verso di me: ci conoscevamo da un pezzo, ma senz’essere quel che si dice amici – e quand’anche!… L’idea che quella donna non era libera, la passione di cui tutti mi sapevano oggetto, avrebbe potuto arrestare ogni altro – fuorché lui. Egli aveva le teorie dei conquistatori di mestiere, che deridono la passione, disistimano le donne, le credono capaci di tutto – ragione per cui esse li ammirano… Poi, egli doveva aver coscienza dei suoi vantaggi su di me; poi, con la sua esperienza di queste cose, una visita di cinque minuti aveva dovuto bastargli per comprendere di non essere il primo venuto per lei…

Imaginate dunque la tortura a cui fui posto? Se qualcosa di fatale si fosse compiuto, se io avessi scoperto che quella donna era già sua col cuore, non so quel che avrei sofferto, ma certo mi sarei rassegnato. Però l’idea che era sempre possibile impedire la mia rovina mi metteva la febbre. Sarebbe stato da stolto fare un’accusa a lei dell’attenzione che quell’uomo sapeva accaparrarsi; io ero in presenza di un fatto umano e naturale, innocente e forse ancora incosciente; con grande probabilità, se egli avesse attaccato, ella avrebbe potuto resistere e trionfare. Ma io non volevo neppure che ella fosse posta alla prova.

Reprimendo, adunque, l’ansietà che mi divorava, ricorrendo a sottili artifizii, io cercavo di sapere se quell’uomo si mostrava assiduo presso di lei. Era stato a trovarla due o tre volte, a lunghi intervalli; una sera, a teatro, si presentò nel suo palco e vi restò durante un intermezzo; poi non si fece più vedere. Ed invece di sedarsi, la mia inquietudine si raddoppiava. Voi sapete, infatti, che uno dei mezzi a cui i seduttori ricorrono frequentemente e con fortunato successo, è quello di mostrarsi indifferenti, di fare i difficili, di fingersi lontani dallo scopo verso il quale, invece, tendono con tutti i loro sforzi. Era dunque un calcolo raffinato che egli metteva in opera? La trascurava per farsi desiderare di più?… Non potendo altrimenti scoprire il suo giuoco, cercai di lui, lo vidi più spesso di prima. Un giorno che eravamo insieme, egli mi disse che andava via, che sarebbe stato molti mesi lontano.

Non dovevo rassicurarmi? Al suo posto, se avessi desiderata quella donna, avrei potuto allontanarmi da lei? Supporre che il calcolo durasse ancora, era un po’ difficile; e il calcolo poteva anche essere sbagliato, produrre effetti del tutto contrarii! Nondimeno, durante la sua assenza, la mia tranquillità non fu mai completa: io prevedevo nuovi tormenti pel suo ritorno. Tornò, e le fece una sola visita in tre mesi. Un bel giorno, una notizia scoppiò come una bomba: egli era scomparso con una signora della nostra società.

Avrei dovuto trarre un sospiro di liberazione, non è vero? – e lo trassi infatti. Però, in fondo alla mia coscienza, ma proprio nel fondo estremo dove non arrivava alcun riflesso della luce superiore, avveniva qualcosa d’imprevisto, che metteva in ogni mio pensiero come un lievito di scontento: un’assurdità che mi colmava di stupore. A poco per volta le tenebre si diradarono intorno a quella misteriosa operazione. Io consideravo, da una parte, il mio sentimento per quella donna, il valore inestimabile che avevo attribuito all’amor suo, l’inaudita fortuna della quale m’ero creduto degno, esaltandola continuamente, dubitandone perfino talvolta. Dall’altra parte stava il fatto che egli non aveva cercato di rubarmela, quantunque facesse questo mestiere, quantunque non mi dovesse nulla, quantunque l’impresa non gli dovesse sembrar disperata. Perché, dunque? Evidentemente, perché quell’impresa non lo tentava, perché quella donna non era oggetto del suo desiderio. Ora, l’idea che un conoscitore come lui non apprezzasse la creatura in cui io avevo riposto tutto il mio vanto, tutto il mio orgoglio, il cui possesso mi aveva fatto credere oggetto dell’invidia del mondo – questa era l’origine del mio scontento. Avrei dovuto esultare vedendo allontanarsi un pericolo, e invece mi sentivo umiliato scoprendo che il mio concetto intorno a lei non era diviso da chi gli avrebbe conferito autorità. Se egli l’avesse desiderata, avrei sofferto le pene dell’inferno; perché la sdegnava, ella quasi perdeva ai miei occhi una parte del suo valore, io cominciavo a dubitare d’averla posta più in alto che non meritasse, d’essermi abbassato un po’ troppo, d’aver fatto ridere di me con tanta esagerazione

In quel momento, io non cessai certo d’amarla, ma fu questo il primo sintomo d’una lenta evoluzione che s’operò nel mio spirito e che finì per togliermi quella donna dal cuore!… –

 



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