Federico De Roberto: Raccolta di opere
Federico De Roberto
Il colore del tempo

IL TOLSTOISMO

II.

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II.

 

Il Tolstoi si rivolge alla religione di Cristo; non già alle chiese ufficiali, ma alla vera dottrina cristiana. «Non solamente non c'è nulla di comune fra le Chiese e il cristianesimo, eccetto il nome; ma i loro principî sono opposti ed ostili».

Nei primi secoli egli crede che il cristianesimo fosse puro e purificasse il genere umano; un migliaio e mezzo di anni ci hanno fatto indietreggiare. Ancora una volta: dove se ne va allora il progresso? Il vero insegnamento di Gesù, dice il Tolstoi, è questo: «non resistere al malvagio»; cioè non opporgli mai la violenza, ma unicamente l'amore. «Tutta la dottrina di Gesù ha un solo scopo: dare il regno di Dio agli uomini, la pace». E, certo, alla legge naturale della lotta per l'esistenza si oppone la legge morale della pace e dell'amore; ma le due leggi sono tanto discordi e inconciliabili, che lo stesso Gesù disse: «Il mio regno non è di questo mondo». Il Tolstoi afferma che il cristianesimo, nella sua vera significazione, «distrugge lo Stato»; ma il figlio di Dio non disse anche: «Date a Cesare quel che è di Cesare»?

Lo Stato, l'ordinamento sociale, secondo il Tolstoi, sono iniqui, sempre, qualunque cosa facciano, su qualunque sentimento si fondino. La giustizia è iniqua: il giudice non esita a imprigionare una vedova e a separarla dai figli, se costei vende vino senza permesso e froda l'erario di 25 rubli. I poteri pubblici, tutti quanti, sono altrettanti strumenti di violenza e d'oppressione: essi debbono sparire, e non già per cedere il luogo ad altri, ma senza più sostituzione di sorta. Il patriottismo è una schiavitù, un vestigio cruento di altri tempi, un pretesto per tenere in piedi gli eserciti, che servono veramente ai pochi potenti contro i molti oppressi: «i veri cristiani debbono rifiutarsi al servizio militare». E il denaro è anch'esso una nuova forma di schiavitù impersonale sostituita all'antico servaggio individuale.

La scienza e l'arte non si salvano neppure. «Le scienze e le arti esisterono sempre, e finchè esisterono veramente, furono necessarie e accessibili a tutti gli uomini. Noi invece produciamo ora certe cose chiamate arti e scienze; ma si vede che le nostre produzioni non sono necessarie, accessibili agli uomini». Ancora un'altra volta, dunque, il Tolstoi nega quel progresso che aveva già affermato. Egli bolla anche gli scienziati, perchè «passano i loro migliori anni a disabituarsi dalla vita, cioè dal lavoro»; come se passare le intere giornate al microscopio, al crogiuolo o alla tavola anatomica sia darsi bel tempo; e come se gli scienziati «veri» possano coltivare la scienza e zappare la terra tutt'in una volta... Istupiditi e fossilizzati, i dotti «acquistano una presunzione che impedisce loro di poter mai tornare alla semplice vita del lavoro». Ma allora perchè non dire, più brevemente, che quella passata zappando la terra è la miglior vita, la più degna, la sola lodevole? Ma no: «la scienza e l'arte sono necessarie all'uomo quanto il cibo, la bevanda e il vestimento». Intanto la fisiologia, la psicologia, la biologia, la sociologia non riescono «se non a mettere il pensatore in contraddizione perpetua con gli altri e con stesso». Ahimè, questo effetto ha pure la filosofia in generale e il tolstoismo particolarmente!... «L'attività scientifica e artistica è feconda solo quando non attribuisce a stessa diritti, ma unicamente doveri». Doveri e diritti non sono invece correlativi, non vanno insieme, come luce e ombra? Imporre soltanto doveri non è tanto assurdo quanto pretendere solamente diritti?

E con la scienza, con l'arte, col denaro, col patriottismo, con la giustizia, se ne va anche l'amore. Nel sommario della filosofia tolstoiana compilato dall'Ossip-Lourié è trascurato un punto essenziale, sono omessi tutti quei luoghi delle opere del Tolstoi dove questi dice che astenersi dall'amor sessuale è meglio che amare; che Gesù Cristo istituì il matrimonio, ma gli preferì la castità, e la predicò e ne diede l'esempio. La castità, universalmente praticata, porterebbe alla fine del genere umano; e il Tolstoi non se ne inquieta: anzi ha detto che, se il genere umano finirà, esso si uniformerà così alla legge naturale secondo la quale i mondi debbono finire. Il vuoto, il silenzio, l'immobilità, la morte, il niente è così l'ultimo termine della sua filosofia.

 

 


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