Federico De Roberto: Raccolta di opere
Federico De Roberto
Il colore del tempo

IL SUPERUOMO

I.

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I.

Riassunto con una frase che ha avuto molta fortuna, il Tolstoismo è «la religione della sofferenza umana»; il Nietzschismo ne è la negazione. La morale del Tolstoi impone di sacrificare il bene proprio all'altrui; la morale del Nietzsche invece ragione all'individuo contro il «gregge». Affermando la somiglianza degli uomini, il Tostoi ne nega le diseguaglianze; vedendo le loro diversità, il Nietzsche ne disconosce la equivalenza. Tanto il Russo quanto il Tedesco sono senza perdono contro la società moderna; ma il Russo, perchè vi trova troppo egoismo; il Tedesco perchè non ve ne trova abbastanza.

Ogni civiltà, dice il Nietzsche, si costruisce una «tavola dei valori»; cioè colloca più alto o più basso, stima migliori o peggiori certe cose e certe azioni. I tipi di queste tavole morali sono due: quella dettata dai padroni, e quella composta dagli schiavi. Quando una razza forte, ardita e bellicosa sottopone i deboli e gl'imbelli, come a Roma, come nei regni teutonici, si ottiene una morale di padroni; dove la volontà, il coraggio, la forza, l'orgoglio sono onorati. Se invece i deboli, i vinti, riescono ad imporre la loro morale, sono tenuti da conto tutti i valori contrarî. La civiltà presente, la morale cristiana, sono civiltà e morale di oppressi, di schiavi. Uno dei valori oggi più apprezzati è la pietà. Orbene: questa, non solo non dev'essere incoraggiata, ma va combattuta. Perchè: prima di tutto non è vero che la pietà sia disinteressata, scevra di egoismo; al contrario. Chi è spietato, chi lotta, chi fa male ai suoi simili, vuole esercitare la sua forza, vuol dominare; il pietoso, quello che fa bene, non è mosso da uno scopo diverso; in fondo anch'egli vuol mostrare la propria virtù, la propria superiorità, ed essere ammirato e lodato. Inoltre: la pietà è deprimente, perchè ciascun individuo pietoso, oltre ai mali proprî, deve sopportare gli altrui. Di più: essa è pericolosa, perchè tende a far sussistere e perpetuare i deboli, gl'infermi, tutti quegl'individui che, nell'interesse della razza, dovrebbero sparire. E che cosa vuol dire questa pietà? Da che proviene la religione della sofferenza umana? Proviene dalla paura, appunto, della sofferenza. Ciascuno commisera e lenisce il dolore altrui temendone uno simile per , e sperando che altri lo lenisca a lui. Il dolore è considerato come qualche cosa che bisogna abolire. Invece, «alla scuola del dolore, del gran dolore, - non lo sapete? - sotto questo duro padrone soltanto l'uomo ha compito tutti i suoi progressi».

Nella nostra «tavola dei valori» un altro titolo altamente quotato è l'eguaglianza degli uomini: il cristianesimo considera tutti gli uomini eguali dinanzi a Dio, la democrazia li considera eguali dinanzi alla legge: il Tolstoi, come abbiamo visto, dice espressamente che la diseguaglianza degli uomini è una «menzogna». Il Nietzsche invece esige che si distingua tra forti e deboli, tra abili e inabili, tra padroni e servi.

Altro e non minore inconveniente: non si sa più comandare; quei pochi che esercitano un timido potere, quasi se ne scusano; si dicono i primi servitori del paese, gli strumenti del bene comune. Non si osa castigare; i delinquenti commuovono più delle vittime; il Tolstoi, anzi, se la piglia con l'istituto della giustizia; nega che un uomo abbia il diritto di condannarne un altro.

Ancora: la donna rivaleggia con l'uomo; invece di affidarsi a lui, perde le attrattive proprie del suo sesso, lavora di gomiti per farsi strada, si rovina i nervi, si riduce sempre più inadatta a procreare una prole robusta.

Questa è la civiltà nostra, la civiltà dei popoli cristiani. E mentre il Tolstoi la giudica troppo poco cristiana, mentre la sferza per eccitarla a tornare alla vera dottrina di Gesù, il Nietzsche la fa oggetto di un odio che muove da opposte ragioni. Egli si rivolta contro l'ideale ascetico, contro le prediche sacerdotali che impedirono all'uomo di mettersi in faccia alle cose ed a stesso. La scienza tenta bensì il libero esame della realtà, ma senza frutto. Lo scienziato che studia i fatti, l'«uomo obbiettivo», è un «pigmeo presuntuoso»; o, nella migliore ipotesi, uno «specchio» che riflette le cose, uno «strumento di precisione». Altrettanto, anzi peggio, dicasi del filosofo. Quelli che sembrano più spregiudicati, i «coscienziosi dello spirito», sono, in fondo, ascetici anch'essi. Vogliono arrivare alla verità, credendo che la verità sia utile per stessa; invece la verità vera è che l'illusione vale e giova, per lo meno, quanto la verità. L'illusione, la menzogna, è forse la condizione stessa della vita: «la falsità di un giudizio non è per noi una obbiezione contro di esso; la quistione, per noi, è questa: In quale misura questo giudizio falso è utile alla conservazione o allo sviluppo della vita, alla conservazione o al perfezionamento della specie?» Se, dunque, la verità può essere nefasta e la menzogna benefica, perchè si continua a cercare ad ogni costo la verità? Evidentemente perchè si attribuisce ad essa un pregio assoluto, un valore metafisico. Dunque l'uomo «veridico», l'uomo che ha fede nella scienza, lo scettico, l'ateo, rispetta ancora il più alto «valore» della «tavola» attuale. Costui non osa domandare a stesso: «Qual è il valore della morale che c'insegna e c'impone di ricercare la verità?». Costui non dice a stesso: «Perchè volere ad ogni costo conoscere questa Natura che noi intravediamo, oggi, come una potenza eternamente cieca e inintelligente, sovranamente indifferente al bene ed al male, magnificamente feconda, sempre intenta a produrre innumerevoli nuove esistenze per sacrificarle, impassibile, alle sue combinazioni vuote di senso?....» Gli uomini, prima, sacrificavano tutto a Dio; ora sacrificano Dio stesso a questa natura, cioè alla pietra, alla stupidità, al peso, al destino, al Nulla!...

 

 


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