Federico De Roberto: Raccolta di opere
Federico De Roberto
Il colore del tempo

IL SUPERUOMO

III.

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III.

 

La critica più facile della filosofia del Nietzsche consiste nel dire che è l'opera di un pazzo. Questa critica, molto usata contro le cose insolite e nuove, gode oggi tanto più credito, quanto che si sono viste le attinenze del genio con la pazzia; ed allo stesso Tolstoi non è stata risparmiata. Nel caso del Nietzsche, d'uno scrittore che ha perduto effettivamente, durante le sue speculazioni, il bene dell'intelletto, e che sopravvive a stesso miseramente vegetando, la tentazione di giudicarne pazzesca tutta quanta l'opera è veramente fortissima e generale. Se non che questa critica, quanto più è facile, tanto meno persuade. Se il Nietzsche è pazzo, tutti gli altri filosofi, riformatori e profeti, non furono pazzi la loro parte?

Quel che c'è di chimerico, di stravagante, di esagerato nelle idee del Nietzsche è tanto evidente, che non ha bisogno di dimostrazione. Meno evidenti, sebbene più gravi, sono le contraddizioni e le assurdità della sua dottrina, così le implicite come le esplicite. Il Nietzsche si è apertamente contraddetto più volte, come quando ha giudicato il sistema dello Schopenhauer, del quale prima fu ammiratore sviscerato e poi oppositore vivace; come quando ha giudicato l'estetica e l'arte del Wagner, prima sublimandole, poi disprezzandole. Ma un gran numero di volte, nel formulare la dottrina sua propria, si è contraddetto senza saperlo, è caduto senza accorgersene in pieno assurdo.

Egli comincia con l'affermare, come abbiamo visto, che il mondo è retto a volta a volta da due tavole di valori: quella dei padroni e quella degli schiavi. Che i padroni, i vincitori, impongano la loro legge, come impongono materialmente le catene agli schiavi, s'intende e si vede; ma che gli schiavi, i vinti, anch'essi siano a loro volta capaci d'imporre la propria morale ai vincitori, non s'intende niente affatto. Come mai gl'impotenti avrebbero questa potenza? Con quali mezzi riescirebbero a compiere l'imposizione? Che cosa potrebbe obbligare i dominatori ad accettare la morale dei sottoposti? Se quelli che dettano legge accettano la legge suggerita da quelli che obbediscono, ciò significa che la legge suggerita dai vinti ha dentro di una tale virtù, una tale forza, da farsi riconoscere, accettare ed amare da coloro cui nuoce; ciò significa che nel mondo non opera la sola forza materiale, ma anche quella morale, del cuore, dell'anima, dello spirito, e che la forza del cuore è capace di vincere la stessa forza del braccio. Vincitori e vinti sì, ma i vinti non sono tanto vinti quanto sembra, se ottengono questo trionfo: di imporre la loro morale al mondo. Quindi le due tavole dei valori, differenti in apparenza, dei vincitori e dei vinti, dipendono entrambe da una imposizione, da una vittoria; e la vittoria morale vale la materiale, e i valori di quelli che il Nietzsche chiama schiavi, quei valori che egli disprezza e vuole soppressi, valgono gli altri, e in conclusione nel mondo non si vedono due tavole di valori distinte e separate, ma una bilancia che, se oscilla continuamente da una parte e dall'altra, oscilla appunto perchè tende continuamente all'equilibrio.

Ma il Nietzsche si presta a distruggere anche meglio l'opera propria; perchè, mentre afferma con gran forza di persuasione la sua filosofia, nello stesso tempo dice, press'a poco come il Tolstoi, che ogni filosofo s'illude quando crede di presentarci il suo sistema come l'opera della «pura ragione». Un'illusione simile non è dunque anche la sua? Come e perchè egli solo possederebbe la verità vera? Il suo Superuomo non è anch'esso un ritrovato mistico, ascetico, equivalente a quelli che egli scopre in ogni filosofia e in ogni religione? «Tutti gli Dei sono morti; noi vogliamo ora che il Superuomo viva.» Il Superuomo che si sostituisce agli Dei non è dunque anch'egli una specie di Dio?

Di più: ha il filosofo di mira la felicità? Scrive per renderla più facile, o meno difficile? Pare di sì, perchè combatte il pessimismo, vuole l'ottimismo, prevede il giuoco spensierato, il riso alato, la danza leggera. Allora, come mai dice che il «savio» non ignora che la gioia e il dolore vanno insieme? Chi vuol conoscere le grandi gioie, soggiunge, deve anche fatalmente conoscere i grandi dolori; il «creatore di valori» deve «marciare incontro al suo supremo dolore e alla sua suprema speranza ad un tempo». Ma se c'è questa continua alternativa di gioie e di dolori, se ogni oscillazione in un senso è compensata da un'oscillazione in senso inverso, la proporzione non resta la stessa? Mille non sta a mille come dieci sta a dieci? E allora, perchè mutare?... Così la filosofia del Nietzsche, che sembra, ed è, il contrario di quella del Tolstoi, si confonde anche in questo punto con essa. I due pensatori si accordano nel riconoscere che i beni e i mali vanno insieme, che nessuno ha interamente ragione interamente torto: queste due verità, già ritrovate dal semplice buon senso, sono la quintessenza delle loro filosofie antagonistiche, e di tutte le filosofie.

Finalmente: il sistema del Nietzsche si chiude con la teoria del «Ritorno eterno». Egli sostiene, e a modo suo dimostra, che nel tempo infinito c'è una somma di forze costante e determinata; quindi che l'evoluzione universale passa eternamente per le stesse fasi e percorre eternamente uno stesso ciclo. Se così è, vuol dire che non vi sono avvenimenti nuovi definitivi; tutto ciò che sarà, è già stato; tutto ciò che è stato, sarà. Dunque il Superuomo è già esistito; dopo che tornerà ad esistere, sparirà un'altra volta; e quest'uomo moderno, che il Nietzsche odia, disprezza e vuole soppresso, fu anch'egli e sarà ancora un numero infinito di volte. Allora, perchè tanto sdegno e tanta impazienza?

 

 

 


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