Federico De Roberto: Raccolta di opere
Federico De Roberto
Il colore del tempo

LA FILOSOFIA DI UN POETA

III.

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III.

 

Sully Prudhomme, tranne che nei rari momenti quando afferma l'onnipotenza del cuore e dell'amore e la fede in un avvenire migliore, è pessimista; il Maeterlinck, che all'amore crede sempre, vede ogni cosa con occhio roseo. I Destini di Sully Prudhomme sono oscuri, tragici, ineluttabili; il Maeterlinck si duole appunto perchè alla parola destino diamo questi significati. Egli non afferma già che il destino sia giusto, che premii i buoni e punisca i malvagi. Vede anch'egli l'ingiustizia che tanta pena a Sully Prudhomme; ma se ne consola, perchè sull'ingiustizia è fondata la bontà. «Quale anima potrebbe ancora dirsi buona, se la ricompensa fosse sicura?» Dunque la felicità non è un premio. Per esser felice, al contrario, bisogna non cercar più la felicità. «Sarebbe necessario, di tanto in tanto, che un uomo cui il destino ha concesso una felicità splendida, invidiata, sovrumana, venisse a dirci semplicemente: Io ho ottenuto tutto ciò che voi invocate col desiderio ogni giorno; ho la ricchezza, la salute, la gioventù, la gloria, la potenza e l'amore. Oggi posso dirmi felice, non già a causa dei doni che la fortuna si è degnata di accordarmi, ma perchè questi doni mi hanno insegnato a mirare più in alto.... Con un poco più di saggezza io avrei potuto possedere tutto ciò che possiedo, senza che fosse stato necessario ottenere tanti beni. Conosco che sono più felice oggi che non ieri, perchè so finalmente che non ho più bisogno della felicità per liberare l'anima mia, pacificare il mio spirito e rischiarare il mio cuore».

Bisognerà dire, pertanto, col Buddha e con Schopenhauer, che la felicità consiste nella rinunzia? Il Maeterlinck se ne guarda bene; la rinunzia è l'essenza del pessimismo. Come egli non ha voluto che la sua filosofia riposasse sulla rassegnazione, così non vuole che la sua morale sia passiva. Sully Prudhomme ha espresso un voto alla Hartmann: sentendo operare dentro di l'istinto della riproduzione, e pensando alla infinita moltitudine di mali che insidierebbero la vita cui egli darebbe il varco, ha voluto frenare l'istinto, vietare alla nuova vita di nascere, non farsi complice dei futuri dolori. Per il Maeterlinck questa, come ogni altra forma di rinunzia, è . «La rinunzia non è spesso altro che un parassita. Se anche non indebolisce la nostra vita interiore, la turba. Quando un animale straniero penetra in un alveare, tutte le api sospendono il loro lavoro; parimenti quando il disprezzo e la rinunzia è entrata nell'anima nostra, tutte le potenze e tutte le virtù di essa abbandonano il loro ufficio per riunirsi intorno all'ospite singolare che l'orgoglio ha condotto fra loro. E ciò perchè, fino a quando l'uomo sa che rinunzia, la felicità della sua rinunzia nasce dall'orgoglio. Ora, se si deve rinunziare a qualche cosa, conviene rinunziare prima di tutto ai piaceri dell'orgoglio, che sono i più ingannevoli e i più vuoti».

Ma allora? Se le gioie non debbono essere desiderate, se non conviene neppure rinunziare ad esse, quale sarà la via da tenere? «Non già rinunziando alle gioie che ne circondano noi diveniamo saggi; al contrario, divenendo saggi rinunzieremo senza saperlo alle gioie che non si sollevano fino a noi». Non bisogna credere che soltanto il dolore c'insegni ad essere saggi; anzi «l'uomo che è saggio per essere stato infelice, somiglia all'uomo che ha amato senza essere stato amato». La saggezza del disgraziato nasconde ancora il desiderio di esser felice; la vera saggezza è quella dell'uomo felice.

Quindi il Maeterlinck non loda il pensiero inerte e triste, ma il pensiero confidente, quello che accetta allegramente le leggi inevitabili, che spinge all'azione. Sopra ogni cosa egli loda l'azione. «Un pensiero può lasciarmi sino alla morte nello stesso punto dell'universo, ma un'azione mi farà quasi sempre avanzare o retrocedere di un grado nella gerarchia degli esseri. Un pensiero è una forza isolata, errante e passeggera, che si avanza oggi e che non rivedrò forse domani; ma un'azione suppone un esercito permanente d'idee e di desiderî, un esercito che ha saputo conquistare, dopo lunghi sforzi, un punto della realtà».

Gli esseri deboli dei quali è pieno il mondo potrebbero, dopo ciò, credere che il dovere consista nel compiere un sacrifizio. Essi s'ingannerebbero. «No, la virtù suprema consiste nel sapere che cosa si deve fare, e nell'imparare a scegliere per che cosa si deve dare la vita... È, in generale, molto più facile morire moralmente, o anche fisicamente, per gli altri, che non imparare a vivere per essi». Si dice ancora che bisogna amare il prossimo nostro come noi stessi; ma se noi ci amiamo puerilmente, stupidamente, ameremo il prossimo allo stesso modo. Il dovere della nostra anima, di ogni anima, consiste nell'essere «tanto integra, tanto felice, tanto indipendente, tanto grande quanto è possibile». Quindi non è vero che l'anima diventi più grande sacrificandosi; ma diventando più grande essa perde di vista il sacrifizio. «Il sacrifizio è un bel segno d'inquietudine, ma non bisogna coltivare l'inquietudine per stessa.... La forza immateriale che splende nel nostro cuore deve splendere prima di tutto per stessa. A questo prezzo soltanto splenderà per gli altri. Sia la vostra lampada piccola quanto si voglia: non date mai l'olio che l'alimenta, ma la fiamma che la incorona...».

Che faremo allora dell'altruismo? «Certamente l'altruismo resterà sempre il centro di gravità delle anime nobili; ma le anime deboli si perdono nelle altre, mentre le forti vi si ritrovano.... C'è una bontà che esaurisce, e un'altra bontà che nutrisce. Non dimentichiamo che, nel commercio delle anime, quelle che credono di dar sempre non sono già le più generose».

Se ci duole che la virtù e la saggezza non siano premiate, ciò accade perchè noi non siamo saggi abbastanza. «Soltanto quelli che non sanno che cosa è il bene chiedono il salario della bontà. L'invidia, il tradimento, tutte le armi con le quali gli altri ci offendono, non sono efficaci contro l'anima nostra, se non quando essa ha gettato via le sue proprie.... Per accorgerci dei difetti altrui dobbiamo averli un poco anche noi.... Vi è nel mondo un'ingiustizia irriducibile; pertanto noi diventiamo veramente giusti solo quando ci riduciamo a trovare dentro di noi il modello della giustizia». Se la bontà, se l'amore trionfassero sempre, se vi fosse nel mondo questa giustizia, che è soltanto in noi, la gioia sarebbe grande; ma vi è una gioia anche maggiore nello scoprire la verità, la quale ci dice che le cose vanno al rovescio. Questa verità non è amara, nessuna verità può essere amara per il saggio. «Tutto ciò che esiste consola ed afforza il saggio, perchè la saggezza consiste nel cercare ed ammettere tutto ciò che esiste».

La saggezza non si duole di niente, non disprezza niente. «Disprezzare è facile; meno facile è comprendere; e nondimeno, per il vero saggio, non c'è disprezzo che non finisca, o tosto o tardi, col mutarsi in comprensione». Le anime ordinarie sono tormentate dal desiderio dello straordinario: ciascuno dovrebbe invece dire a stesso che più le cose che ci accadono ci sembrano normali, generali, uniformi, più noi arriviamo a discernere e ad amare in esse le profondità e le felicità della vita, più ci avviciniamo alla tranquillità ed alla verità della gran forza che ci anima.... Non bisogna credersi disgraziati perchè si possiede una felicità che non sembra straordinaria a chi ci sta intorno.... È bene convincersi che i momenti più invidiabili, in una felicità umana, sono i più semplici».

Sarà pertanto da lodare la prudenza? No; o, se non altro, è da biasimare la prudenza bassa di chi aspetta accanto al fuoco una felicità che non verrà. «Non chiamiamo saggio colui che, nel dominio dei sentimenti, non va infinitamente oltre ciò che la ragione gli permette e che l'esperienza gli consiglia di aspettarsi. Non chiamiamo saggio l'amico che non si abbandona all'amico perchè prevede la fine dell'amicizia, o l'amante che non si interamente per paura di annichilirsi nell'amore». Bisogna vivere, agire; ma «la sola cosa che ci resta dopo il passaggio dell'amore, della gloria, di tutte le avventure, di tutte le passioni umane, è un sentimento sempre più profondo dell'infinito, e se questo sentimento non è restato, nulla ci è accaduto». Sarà lodevolissimo fare di tanto in tanto un'azione eroica, «ma è più lodevole ancora, e richiede una forza più costante, il non lasciarsi mai tentare da un pensiero inferiore.... È più facile fare talvolta un gran bene che non far mai il minimo male; far talvolta sorridere, che non far piangere mai».

 

 


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