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I GABBIANI.
– Non gli tiri, non gli tiri.... oh! peccato! vai, è bell'e andato! o cosa se ne vuol fare, me lo dice un po' lei?
Il gabbiano remeggiava sull'acqua agitata da una maretta incipiente, con un'ala spezzata, spruzzando di sangue le schiume. Per un po' lo vedemmo apparire e sparire sul dorso del flutto, poi galleggiò stanco, col petto candido a fior dell'onda e l'ali aperte in forma di croce e parve non muoversi più.
Allora saltai in un barchino che ballonzolava ormeggiato a uno scoglio, lo sciolsi, afferrai i remi e m'accostai all'animale ferito.
Da vicino, mi parve enorme, bigio e roseo, color del latte appena munto, col becco scarlatto, le gambe gialle, e provai subito il ribrezzo che si prova di fronte all'animale selvaggio ancor vivo.
Accostai, lo presi per la punta dell'ala sana e lo buttai sul fondo del barchino un po' screanzatamente, per paura della beccata furibonda della bestia che sente male.
Mi rimase di faccia, mentre remigava lento, in piedi, alla veneziana; lo vedevo rannicchiato sotto un sedile della chiattarella, trascinando il moncone inutile e insanguinato come una gruccia, e mi guardava.
Mi guardava con degli occhi straordinarii, neri come le more mature, profondi come l'infinito, a volte, secondo il riflesso dell'aria, glauchi e vitrei, quasi spettrali; mi guardava senza collera, ma non pareva chiedesse pietà; mi faceva l'effetto che mi compassionasse, che guardasse con istupore, me, animale incivilito, che stroncavo per passatempo le ali agli uccelli del buon Dio.
M'era passata la voglia d'averlo impagliato sulla mia scrivania; cominciavo a capire l'inutilità del mio gesto, la sua brutalità, l'irragionevolezza di quell'istinto di distruzione che è in tutti noi, ma che l'intelligenza ed il cuore devono esser capaci a frenare.
Sicchè, non appena balzai sulla spiaggia, la domanda spontanea che mi fiorì sulle labbra fece sorridere melanconicamente il mio strano compagno di caccia,
– Se vivrà, – mi domanda, – se vivrà? Vivrà sicuro.... Bella vita! Con un'ala stroncata, impossibilitato a trovarsi da mangiare, saltellante come uno zoppo sulle sue zampine, vivrà una vita peggiore della morte che bisogna dargli, e subito anche! Come vuole che si adatti, ora? È troppo vecchio.... fosse stato un gabbianello, forse.... in ogni modo lei avrà la sua bestia impagliata e si ricorderà di questo giorno.... se non le succederà nulla!
– Cosa diamine volete che mi succeda?
– Non ne so niente io.... ma alle volte, chi sa?! Basta, guardi, lei non sarebbe buono neanche a finirlo.... Hanno la vita dura i gabbiani, sa?... ma io sì, perchè ho più cuore di lei.
Ero intontito.
Quel pescatore e quel marinaio, quella specie di anfibio a due gambe di cui m'interessavo così prodigiosamente, si permetteva di darmi una lezione e mi toccava a lasciarlo fare.
– Si volti in là, se non vuol vedere, perchè le potrebbe fare un certo effetto, "ora". A me no, perchè so di far bene a far come faccio, eppoi, vede, non lo farò soffrire che un secondo.
Si levò la giacchetta, si sciolse la ciarpa di lana che teneva ravvolta due volte intorno al collo, ne cavò un enorme spillo di sicurezza con cui l'aveva appuntata al panciotto, l'aprì, poi agguantò il gabbiano per il suo lungo collo muscoloso, colla sinistra, mentre colla destra, d'un colpo deciso e rapido, conficcò lo spillo nel cervello della bestia.
Questa starnazzò le ali tre o quattro volte, gagliardamente, spruzzandoci d'acqua e di sangue, poi s'irrigidì.
Gli occhi, però, rimasero aperti; due occhi neri come le more mature, profondi come l'infinito, buoni, indicibilmente buoni, significanti compassione e sorpresa per quella morte barbara, sciocca, immeritata, davanti al grande liquido regno che turgeva soffiando con promessa di pesca abbondante.
E il vorticoso re degli spazii nuvolosi, l'agile e fulmineo scorridore di cavalloni spumanti, giaceva sull'alghe, raggrinchito, colle penne arruffate, colle zampe gialle irrigidite, e l'occhio telescopico, uso a distinguere il pesce a un kilometro di distanza, sbarrato per lo stupore doloroso d'aver veduto troppo da vicino cosa sia un uomo.
– E ora lei lo può fare impagliare.... se non le succederà nulla! andiamo pure.
E con un de' suoi gesti che non ammettevano replica, il barbuto padulano raccolse l'animale e s'avviò, fischiettando.
Era troppo!
Raggiunsi con uno scatto quasi di collera la mia curiosa guida, le posi una mano sulla spalla, obbligandola a voltarsi; dissi, con voce concitata.
– Ma insomma! cosa c'è, sotto a questo vostro ritornello enimmatico? Spiegatevi una volta, e buona notte!
Giacomo mi guardò colle sue pupille chiare, poi, pacatamente, incominciò.
– "Ero più giovane, allora, e quando mio fratello aveva bisogno di un aiuto a bordo, andavo io con lui, e facevo i viaggi da qui a Livorno, Portoferraio, fino a Genova, costa costa, a Civitavecchia, in Sardegna.... sono stato anche in Tunisia. Una volta il capitano di porto dell'isola dell'Elba mi piglia a quattr'occhi e mi dice: vi regalo un barile di vino scelto della mia vigna, se mi portate quattro gabbiani vivi!
– "Sì, che cosa c'è da meravigliarsi? Non pretendo che li peschiate all'amo.... o che mi portiate, feriti e stronchi, dei gabbianacci vecchi che si lascian morir di fame appena messi in chiusa; voglio quattro gabbiani di nido, da tirar su a pesciolini e molliche di pane e farne il divertimento di casa.
– "Per codesto, – rispondo, – si può fare. Il capitano d'Albertis (lei lo ha sentito rammentare; è quello che fece lo stesso viaggio di Cristoforo Colombo con un piccolo yacht) ha una gabbiana che viene a beccargli un pesciolino di mano, e ho capito anche dove posso procurarmi due o tre campioni coi fiocchi. Lasci fare a me; va bene per un barile di vino.
"E con una stretta di mano ci si lasciò.
"– Appena si va a Civitavecchia, – dissi al mio fratello, – avvisami, perchè al ritorno bisogna che mi fermi a Giannutri.
"– Eccolo lì! – rispose il mio povero fratello, – (perdette la vita nel naufragio della "Colomba" sugli scogli dell'isola di Ponza, una notte che il cielo era diventato come la pece e la gran nebbia imbrogliò perfino la posizione del faro), – eccolo lì! chi lo vuole, pensa alla caccia!
"– Che caccia?
"– O non ti vuoi fermare a Giannutri per tirare ai coniglioli? E sì che quella specie d'eremita il quale dorme nelle grotte romane non vuole che si spari neanche una fucilata, e dice che l'isola è d'uno che ci ha messo lui per guardiano e non conosce ragioni. E poi ci vorrebbe il furetto....
"– Ma che furetto d'Egitto! Io ti dico che se, quando si ritorna da Civitavecchia, appoggiamo a Giannutri, io senza tanta fatica ti faccio bere un vino scelto, di quello proprio da abbracciarci piangendo.
"Il mio povero fratello, buon uomo e uomo diritto, un capitano di barca tale che al Giglio e a Santo Stefano invidiavano Follonica cui era toccata la ventura di partorirlo, aveva però un debole: gli piaceva il vino in maniera tale che per un bicchiere d'ansonico di quello color di rosa, quando andava all'isola del Giglio aveva il fegato di arrampicarsi fino al Castello e spesso spesso la "Colomba" rimaneva a dondolarsi nel porto perchè lui, la sera medesima, non ce la faceva a riscendere! Basta, come le sto dicendo, appena rammentato il vino dell'Elba il mio povero fratello fece gli occhi lustri e le gote rosse e mi promise tutto quel che gli chiedevo.
"– Però, aggiunsi a mo' di conclusione, la faccenda è da farsi subito (s'era di marzo) o se no bisogna rimandarla alle calende greche.
"Fu così che, fra l'andare a pigliar mattoni a Livorno e portar tonnina a Civitavecchia, mio fratello scelse questo secondo viaggio che andò liscio come un olio, per quanto lento come la pioggia d'autunno. Al ritorno, invece, un certo scirocchetto che c'empiva la vela maestra ci portò con tanto garbo nel mezzo all'Argentario che la mattina prima dell'alba si videro i monticelli dell'isola di Giannutri, lì a due passi da noi.
"Appoggiammo alla cala maestra e costì, lasciato mio fratello e tre uomini, presi i due ragazzini dell'equipaggio e m'arrampicai, con un rotolo di funi, per le scogliere.
"Gira di su, gira di giù, scorticandoci i piedi sul granito e scivolando su quelle forme curiose scavate in grotte, in blocchi, in fori, in "tunnels", in statue, in mostri, dagli assalti del mare, non mi riusciva, spenzolandomi da quei pimpinnacoli, di vedere quel che cercavo.
"Ogni tanto qualche piccione marino scappava, con uno strillo e un gran batter l'ali, di dentro ai meandri del macigno, o un gallinozzo ci ciurlava di lontano balzando a volo sull'acqua che cominciava a spruzzarci, ma di gabbiani neanche l'idea.
"Finalmente dal fondo della scogliera dove m'ero lasciato scivolare, dopo avere attaccato la cima a una sporgenza del granito, decisi di arrivare fino a un isolotto staccato dal blocco dell'isola grande, un isolotto formato da uno scoglio solo, ma puntellato, alla base, da una rovina di sassacci coperti d'alghe e di lampadelle e con un pianetto alla sommità, verdeggiante di erboline salmastre e d'eriche bigerognole.
"E proprio dalla parte opposta, in due altri macigni gemelli che dovevano essere stati uno solo, diviso in quel modo da qualche cataclisma, trovai in due nidi diversi sei uova di gabbiano, grosse il doppio d'un uovo comune e tutte marmorizzate, come spruzzate con un pennello, e quattro gabbiani appena nati.
"Detti la voce; i ragazzi mi raggiunsero, come scimmie, e io, per far più presto, formai la catena e, ciondolandomi dalla sporgenza a cui m'attaccavo colle coscie come a un cavallo, calai giù il ragazzo più forte che, a sua volta, calò quell'altro, il quale raccolse l'uova coi nidi, i gabbiani e ogni cosa, me li mandò su, nel berretto, e poi si fece da capo issare di sopra.
"Colla corda che aveva lasciato attaccata a quell'altra scogliera il ritorno diveniva sbrigativo e difatti, in men ch'io non lo dica, saltando di punta in punta, scalzi a quel modo, come tanti diavoli, si faceva ritorno alla barca di cui a un tratto ci apparve, giù in fondo, l'albero colla bandierina triangolare che vibrava ai soffi dello scirocco.
"Contemporaneamente, un grido rauco, ma che grido! un urlo straziante, come di qualcheduno colpito a morte, parve squarciare il silenzio affannoso della mattina cinerognola e su, in alto, proprio sulle nostre teste, colle zampe distese come quando si buttano, apparve un gabbiano enorme. La femmina! Poi un altro urlo rispose al primo e comparì anche il maschio, e poi quell'altra femmina, e poi quell'altro maschio; in breve si ebbero sul capo quattro gabbiani che ci roteavano intorno calandosi, a vite, così fulminei che coll'ali ci sfioravano le tese dei berretti e urlavano a tempesta in un modo così terribile, come a me non pareva d'averli sentiti mai.
"Quasi subito scorsi il mio fratello che, ritto sopra una punta della calanca più vicina al luogo dove s'era ormeggiato, colle mani alla bocca, ci chiamava disperatamente.
"Noi ci si ingegnava del nostro meglio, ma tra il cammino malagevole e la paura di schiacciar l'ova, non si fece così presto che, quando s'arrivò, il mare non avesse completamente mutato aspetto. Lo scirocco era diventato fortissimo. Capii allora la fretta di mio fratello; a lui premeva di salpare per ricoverarsi nel porto del Giglio dove poteva darsi che il tempo ci confinasse per qualche giorno. E così facemmo.
"Ma appena si fu in pieno Argentario, ci si accorse che questi ci aveva preparato una di quelle sorprese di cui è maestro, mentre i quattro gabbiani roteavano sempre minacciosi chiedendoci a grandi grida conto del furto inumano che s'era commesso a' loro danni. E ad ogni grido degli uccellacci, fra mezzo ai quali si dondolava disperato l'albero maestro della "Colomba" in cima a cui il mozzo Demè s'affaticava febbrilmente a ripiegare la vela, rispondeva un soffio profondo del mare che si gonfiava di vento e ogni tanto esciva in una corsa pazza di correnti tutte celate da una criniera di spruzzi.
"Allora il rimorso m'attanagliò il cuore, e mi parve che l'avere strappato i figli non nati ai figli della tempesta dovesse attirarci sul capo il più atroce castigo.
"Vedevo mio fratello, che mai in vita sua perdette la calma, guardarmi costernato; poi la "Colomba" sbandò con uno schianto e un fischio di tutto il sartiame, una ondata spazzò la coperta, seguìta da un mugghio disperato del vento e Demè che scendeva "da riva" lungo il pennoncello, fu scaraventato in mare.
"Di lì a un minuto, legato com'ero al timone, impotente a muovermi, a soccorrerlo, a dirgli nulla, tra lo scatenìo di tutta la nave che pareva dovesse sfasciarsi, lo rividi attaccato a una cima miracolosamente afferrata nel volo, che tentava di raggiunger la poppa.
"La barca filava beccheggiando e rullando sull'onde come frustata dai mille diavoli della tempesta; si vide il Giglio passare come un'apparizione colle sue vette incoronate di nuvole, poi l'albero si schiantò come un fuscello, rovinò sul ponte senza ammazzar nessuno.
"L'urlo dei gabbiani s'era fatto più rauco e più rabbioso, il loro volo più vorticoso e più celere; così la barca fuggiva traverso i marosi enormi, che il timone riusciva a stento a pigliare di punta a furia di sbandate che ci rotolavano tutti gli uni sugli altri, accompagnata dai quattro maladetti gabbiani che pareva richiamassero i flutti a vendicarli, adunandosi tutti intorno alla nostra attrezzatura gemente.
"Come si riuscisse a pigliar la calma, riparando sottovento, verso Santo Stefano, non lo so.
"I gabbiani sconfitti, rotearono un'ultima volta sopra di noi con un urlo roco, tutt'insieme, che parve un lamento, poi si perdettero, col petto a fior delle spume, nelle convulsioni del mare.
"Lei ha avuto fortuna che la gabbiana che ha ammazzato era sola; se no, a vederla ferita in quel modo, sarebbero accorsi tutti i suoi compagni e chi lo sa cosa poteva succedere.... non sono bestie, lo creda a me, sono esseri umani!"
– Certo, – risposi; – il vostro racconto mi ha prodigiosamente interessato; però mi pare che, le conclusioni sieno leggermente esagerate!...
Ma Giacomo, che aveva visto la morte da vicino, scosse la testa.