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La notte era alta, una notte burrascosa di marzo, lacerata dai sibili acuti, dal mugolio disperato d’un vento piovorno e strapazzone, quando fu suonato il campanello di casa al dottor Favilli, uno dei medici condotti di Grosseto.
Alla prima scampanellata nessuno rispose; alla seconda, più energica e rabbiosa, l’ottimo sanitario si rivoltò dispettosamente nel letto, pensando con rammarico che era tornato allora da una visita lontana, e che avrebbe dovuto affrontare di nuovo il freddo e la bufera per qualcuno dei soliti disturbi provocati dalle febbri o da qualche scorpacciata; e disse alla moglie, che, in pianelle, accendeva la candela:
— Guarda un po’ chi è; e sappimelo dire. —
La buona donna aprì la finestra; ma subito una folata le spense il lume, mentre in lontananza si udiva romoreggiare il tuono.
— C’è sicuro; ma chi lo vuole?
[75] — Fatemi passare, fatemi passar subito, e ve lo dirò: è una cosa urgente di molto. —
La signora si buttò addosso una vestaglia da camera e scese giù, mentre il dottore si vestiva in fretta, borbottando fra i denti.
Aprì l’uscio e introdusse il visitatore, squadrandolo da capo a piedi, con curiosità mista a diffidenza.
Era un broccione, alto, ossuto, giallastro nel viso circondato dalla barba ispida e incolta; la cacciatora di frustagno, tutta toppe e sbrendoli; i gambali di pelle di capra, alti fin sopra le cosce.
— Ma chi lo vuole il dottore?
— Ditegli di venir giù, e lo saprà.
— Ma che deve andar di molto lontano? Badate, la nostra cavallina è stanca, che non ne può più.
— Ci avevo pensato, e ho con me un cavallo più rapido delle saette. —
La signora risalì, pensando a dove potesse essere quel cavallo che non aveva veduto, quel barroccino che non aveva sentito neanche fermarsi alla porta di strada.
Il dottor Favilli, in due minuti, con quella velocità acquistata a furia d’abitudine, fu pronto e scese in salotto, sempre seguito dalla moglie, che bofonchiava.
— Be’ che volete?
— Ho bisogno di discorrer con voi solo...
[76] — Va’ di là, Marianna; fammi per piacere, un po’ di caffè (la signora ubbidì); — e ora dite su!
— Ecco; ma non offendetevene, noi s’intende di pagarvi e pagarvi bene; vedrete che rimarrete contento... Siete disposto a non aver visto nulla, a non saper nulla, a non raccontar nulla? —
Il medico pensò un poco, con la testa chinata sul petto. Aveva paura d’indovinare; d’altro canto lo pungeva la più viva curiosità, e poi... ne aveva viste dell’altre in dieci anni che ‘esercitava’ in Maremma! Rialzò il capo e disse risolutamente:
— Noi abbiamo il segreto professionale, come gli avvocati e i confessori, a meno che non si tratti d’un ferito... perché allora, per legge, bisogna fare il referto.
— Non si tratta di feriti. Alle corte, sentite, l’avete mai sentito rammentare voi il Menichetti?
— Il bri...?
— Il brigante, sì, lui! È cascato malato a un tratto, in piena macchia; ha la febbre, delira... capirete...
— State tranquillo, non è lontano; è meglio che veniate... Venite, venite; date retta a me! —
Il medico capì; esitò un attimo; poi, risolutamente, rispose:
— Andiamo! —
Chiamò la moglie, bevve il caffè e, dicendo: — Torno domattina..., — uscì in istrada con la sua strana guida, e chiuse la porta.
[77] Il broccione si mosse veloce, rasentando i muri, rompendo quasi, col petto e con la testa bassa, le raffiche che diventavano di mano in mano più violente; il medico, infreddolito, coll’ombrello stretto nel pugno, col quale si premeva sulla bocca il bavero del rotolò, andava innanzi a stento.
Appena fuori di porta, trovarono un barroccino con un cavallo piccolo e peloso — di quelli che divoran le miglia come il vento, — tenuto per la briglia da un altro broccione, tutto coperto di pelli setolose, che pareva un fauno antico.
Montarono; il dottore fu messo nel mezzo; poi l’animale partì al galoppo, si tuffò addirittura nel buio di quella notte nera come la pece.
Di tanto in tanto, però, un lampo bianco squarciava il cielo, e rivelava in una luce abbagliante la strada diritta, uguale, fiancheggiata dalle staccionate alte, dietro le quali si vedevano delle cose oscure, i bovi e i cavalli selvaggi che riposavano, e, giù in fondo, lontanissima, una linea diritta e cupa, che pareva limitar l’orizzonte: la macchia.
Corsero così per più d’un’ora, quando, a un tratto, l’ombra d’un uomo si parò quasi davanti al cavallo, che ricalcitrò bruscamente, con gran terrore del medico, che, per istinto, lasciò andare il mantello per correre con la mano al revolver...
Ma fu un attimo. Colui che guidava domandò:
[78] — No. Potete andare. —
E la corsa ripigliò più pazza di prima, mentre il medico diceva a se stesso che probabilmente, nel concetto di quelle brave persone, le pecore in discorso dovevano somigliare molto ai carabinieri!
Il vento, ora, soffiava con minor violenza; ma i nuvoloni si facevano più vicini alla terra, gravavano su tutte le cose come una gran cappa di piombo; l’uzza notturna aveva ceduto a un’afa improvvisa; i tuoni rotolavano sempre, sordamente, in lontananza.
A una quindicina di chilometri da Grosseto, c’è un posto solitario chiamato le ‘Preselle’.
Costì la via carrozzabile è fiancheggiata dalla ‘macchia’ propriamente detta.
Macchia a diritta, macchia a mancina, macchia a perdita d’occhio, folta, impenetrabile, sinistra, ondeggiante e infinita come il mare; e costì, fino a poco tempo passato, ebbero ricovero due bande di assassini temutissimi...
Il brigante maremmano non diversifica poi molto da tutti i suoi compagni dell’altre regioni; solamente la vera e propria banda, composta di parecchi uomini e disciplinata come un piccolo esercito, non ha più luogo d’esistere in posti nei quali la macchia si ritira continuamente, come l’acque marine, davanti alle coltivazioni, alle bonifiche, alla prorompente civiltà.
[79] Oggi in Maremma son più frequenti i casi isolati: qualche evaso dal carcere, qualche disertore, qualche omicida per vendetta si dà alla macchia; in quelle tenebre magnifiche trova un compagno, un favoreggiatore, e forma così una banda, che difficilmente, da Tiburzi in poi, superò il numero di tre o quattro.
Costoro, forniti di ottimi fucili, di magnifici stivaloni, vivono in un raggio di qualche lega, assolutamente deserto; riscuotono le taglie dai cari possidenti; ne guardano le possessioni da altri eventuali malandrini, e ammazzano le spie. Ma oggi sono quasi del tutto scomparsi.
E proprio alle Preselle finalmente il barroccino si fermò; il cavallo, coperto di schiuma, puntò le zampe anteriori sul terreno umidiccio e scosse la criniera lunga, soffiando romorosamente dalle froge, dilatate per l’anelito della corsa.
Il dottor Favilli fu fatto scendere e il calesse si perse nell’oscurità; mentre il primo broccione, aperta una lanterna cieca, diceva al dottore: — Venite con me! — e, dandogli la mano, lo introduceva, fra due scope alte, nella macchia.
Benché avezzo a camminare per certi forteti andando in cerca di beccacce, il dottore non s’era mai figurato che esseri umani potessero camminare in quell’intrico fantastico di rami, d’alberi, di [80] radici, d’erbe, di tronchi, che costituisce la vera macchia, l’asilo più sicuro dei cignali.
Le piante, non toccate da mano o scure, liberamente prolificando, avevano vegetato sopra altre piante; le barbe s’erano aggrovigliate alle barbe: il dottore e il brigante si movevano addirittura sopra un intreccio di rami, solido come una via battuta, e alto qualche piede sul livello del suolo!
Intanto poche gocciole calde caddero sulle mani e sugli abiti dei due; una saetta scalò rapida l’orizzonte e s’inabissò dietro la barriera di querce che s’alzava opaca, impenetrabile da tutte le parti; poi l’acqua principiò a venir giù a scatarosci, tamburellando sulle foglie con un rumore assordante.
Ma erano entrati in tal fittume, che pochissimi spruzzi arrivavano a bagnare il dottore e la sua guida, i quali sentivano benissimo, sotto i loro piedi, gocciolar ruscelli, stillar pozzanghere, serpeggiar rivoletti... Il Favilli non l’ha mai voluto confessare, ma è certo che deve avere avuto paura quando i fulmini schioccavano frequenti, attirati da tutta quella vegetazione lussureggiante, e la fosca guida, con la lanterna cieca alzata nella sinistra, lo traeva con la destra in mezzo al dedalo spaventoso di quella selva selvaggia, dove ogni pianta assumeva una forma spettrale, dove le radici contorte parevano viluppi di serpenti al lume sanguigno della lampada, e i punti lucenti dei bruchi, nel buio, erano simili a occhi rossi di cignali disturbati nel coviglio.
[81] Come Dio volle, pervennero a una specie di tunnel, aperto, nel fitto d’una ragnaia, non si capiva se a furia d’accetta o di calcio di schioppo; e vi s’introdussero camminando carponi come due tassi. Andarono innanzi così per qualche minuto; sentirono dei fischi sommessi, che parevano sibili di biacchi disturbati, ed a’ quali il broccione rispondeva sul medesimo tono; infine arrivarono dove, proprio nel cuore di quella specie di siepe gigantesca, era il covile umano, e, tra quattro pareti d’incerato, sopra un gran fascio di paglia, un uomo scarno, con la barba lunga, vestito d’una casacca da caccia, con stivaloni alti, di pelle di bufalo, batteva i denti nel ribrezzo d’un’ardentissima febbre.
Accanto a lui era un altr’uomo, vestito uguale, che lo vegliava al lume d’una lanterna; in terra giacevano due fucili e due cartuccere.
Nessuno pronunziò una parola; il dottore si levò il mantello, poi, aperto il panciotto del giacente, accostò l’orecchio al suo petto.
Allora un rombo terribile parve scuotere tutte le querce circostanti, dalle barbe alla cima; perfino le fiamme delle lanterne vacillarono dietro i loro vetri; e un diluvio si rovesciò sul tetto d’incerato e sulla volta di rami che lo sosteneva, facendo tremare tutta quella specie di tenda da campo, come se fosse flagellata da mille demoni.
[82] Il povero dottore, maledicendo cento volte di aver acconsentito, pensò che senza dubbio avrebbe finito per rimaner lì, ammazzato da un fulmine o affogato dalla tempesta, accanto al più feroce dei briganti maremmani; ma i circostanti ostentavano una calma, una tranquillità così assoluta, che finì per rincorarsi anche lui, e, fattasi forza, si alzò, trasse di tasca la busta dei ferri e una minuscola farmacia portatile, che toglieva sempre con sé, quando si recava a far visite in aperta campagna, del cotone idrofilo, e annunziò solennemente:
— È una polmonite traumatica, un mal di petto... Qui mignatte non ce ne sono, e non c’è tempo da perdere. È una costituzione eccezionale, bisogna assolutamente levar sangue. —
Spogliò il bandito, aiutato dagli altri due; strofinò coll’etere la parte prescelta, punse colla lancetta; e il sangue zampillò, schiumoso e nero.
— C’è pericolo di morte? — chiese un broccione al medico.
— Credo di no, — rispose questi — se non succedono complicazioni. —
Menichetti non batté ciglio.
Il dottore lasciò sgorgare il sangue; poi medicò, compresse, fasciò, ordinò una dieta: qualche uovo a bere, un sorso di cognac, di cui una bottiglia giaceva da una parte, tra la paglia, sotto la tenda. Aveva finito.
Ora anche la burrasca s’era sfogata, la temperatura era discesa; si avvicinavano le ore [83] antelucane, annunciate da quei brividi lunghi, particolari alle foreste, prima dell’alba e prima del tramonto.
Il dottore, questa volta fradicio come un pulcino, fu ricondotto a suon di fischi misteriosi fino alle Preselle, dove il solito cavallo aspettava, solo, però, e legato per le redini a un tronco.
— Bisognerà che ve lo guidiate voi, se non vi dispiace, — fece il broccione al Favilli, aiutandolo a montare in barroccino, dopo d’avere slegato il cavallo — perché io resto qui...
— E per chi, e dove ve lo debbo rimandare?
— Oh, non importa che lo rimandiate; tenetelo pure... E questi pigliateli per il vostro incomodo. —
E gli buttò sul calesse un foglio da mille lire.
Il medico trasecolò; ma già il bandito era scomparso come ingoiato dalle altissime scope; una striscia di porpora tagliava netto in due parti il buio della macchia e il buio del cielo sempre minaccioso; e il vento ricominciava a soffiare.
Il Favilli si provò a chiamare; fischiò, ma nessuno rispose.
Allora agguantò la frusta e le redini, e partì, di carriera, domandando a se stesso se era desto o sognava!
Ma la spiegazione d’ogni cosa l’ebbe a casa sua, quando seppe che, la sera innanzi, alle dieci, proprio lì, alle Preselle, la banda di Menichetti aveva aggredito il fattore Armellini, rubandogli il portafogli con dieci mille lire, nonché il cavallo e il barroccino!
[84] L’ottimo dottore s’affrettò a restituire tutto al derubato (bestia, barroccino e, sopra ogni cosa, quelle mille lire, che pareva gli bruciassero le mani), pregandolo per carità a stare zitto, se gli voleva un po’ di bene.
Ma, da allora in poi, ogni giorno che passava, gli cresceva l’apprensione, al pensiero che, se Menichetti avesse aggredito e ammazzato qualcheduno, la responsabilità, volere o no, era di lui, che gli aveva salvata la vita.
Così, a furia di pensarci sopra, ci prese una fissazione, e si ridusse l’ombra di se stesso.
Il più bello si fu che i briganti, in un modo o nell’altro, fecero pervenire al medico regali d’ogni genere; quarti di cignale, fiaschi di vino, e perfino uno stupendo fucile da caccia damaschinato, che egli vendette immediatamente, a beneficio dei poveri del paese.
Un bel giorno, alla fine, dopo tre mesi di queste torture, mentre tornava da una visita lontana, il Favilli si fermò a un cascinale perduto nella campagna per rinfrescarsi un poco, e, mentre smontava dalla cavallina, si vide venire incontro un cacciatore, che poi riconobbe per il brigadiere dei carabinieri.
— Dottore, — fece quello, tutto allegro — c’è bisogno di voi!
— Che è successo qualcosa?
— Ma venite qui, guardate... —
Il brigadiere era sudato, ansante, eccitato; il [85] dottore lo seguì dietro un pagliaio, e vide, sul terreno seminato di cartucce, tre uomini caduti supini, fulminati a colpi di moschetto; nel pugno stringevano ancora gli schioppi e, torno torno, erano, muti, carabinieri e contadini.
Il medico riconobbe subito i cadaveri, e: “Laus Deo!” esclamò dal profondo dell’anima, sentendosi a un tratto liberato da quell’incubo.
— O che? — uscì a dire il brigadiere, vedendo la contentezza del dottore, — l’avevano giurato anche a voi, forse?
— Giurato proprio... no; — rispose il Favilli — ma, credetemi brigadiere: avevo anch’io le mie buone ragioni per non istare tranquillo! —
E tornò a fissare, dei tre uccisi, quello di mezzo; un uomo scarno, con la barba lunga, la casacca da caccia, gli stivaloni alti, di pelle di bufalo, sdraiato sulla paglia, proprio come in quella notte...
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