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— La sapete, Nena, la notizia!
— Vergine Santa! quale notizia?
— Eh, non vi spaventate, per Bacco! è una notizia eccellente. Pare che sia finito ogni cosa, laggiù. Ritornano.
— Ritornano? Ma allora, anche il mio Beppe?
— Anche lui! Ringraziate Iddio, e state allegra. —
E il giovane curato, facendosi vento col nicchio, s’affrettò verso la collegiata, che scampanava lietamente, pomposa di drappi aurei e vermigli, parati agli architravi delle tre porte, aspettando la processione.
La Nena rimase lì, sotto quel sole, come smemorata; non vedeva, non sentiva più nulla. Ottavio, il legnaiuolo, passandole daccanto, l’ebbe a scrollare per una spalla, perché gli rispondesse.
[109] — Coraggio, Nena; ritornano! —
E così tutti, quanti ne incontrò dopo, la salutavano festosamente con la medesima frase gioconda; e lei ci provava tanto piacere, che non sarebbe più venuta via dalla piazza, per sentirsela ripetere ancora, sempre. Girava e rigirava intorno alla farmacia, sullo sporto della quale erano attaccati i sommari dei giornali cittadini, circondati da una folla di persone, che ciarlavano e commentavano.
La Nena stava lì intontita, senza capir nulla, all’infuori della sua grande, della sua strabocchevole felicità. Oh, se avesse saputo leggere! Del resto sapeva anche più di quel che volesse: sapeva che Beppe stava per ritornare, e basta; o cosa avrebbe voluto di più da Dio misericordioso?
Il doppio delle campane era ormai completo; pareva che Boccette, il sagrestano, contento anche lui, sfogasse la sua letizia, tirando le funi con uno slancio che non gli era troppo abituale.
La processione di Bagnolo sboccò in cima alla gran piazza ripida, avanzando lentamente sul polverone giuncato di fior di ginestra.
L’odore acre dei fiori calpestati saliva nell’aria limpida come il cristallo, si mescolava ai mille odori di vivande buone, che esalavano dalle finestre spalancate delle case in quella prodigiosa mattinata; da tutti gli sbocchi accorrevano ragazzi, donne, operai; i mazzieri, in cappa azzurra, si davano un bel da fare per arginare la folla; il porta-stendardo, [110] un giovinetto bruno col geranio infilato dietro l’orecchio, incedeva con sussiego, voltando un po’ la faccia, contro la quale, respinta da un lieve soffio primaverile, sbatteva la seta della gran bandiera crociata; poi veniva il portatore del Cristo, un Cristo enorme di legno scolpito, dipinto di color bruno come un arabo, ma coi capelli rossi e spruzzato di sangue in un modo orribile; il portatore, basso, tarchiato, con un collo di toro, traballava sotto il peso del legno e del gran baldacchino di velluto chermisi tempestato d’ornamentazioni simboliche d’argento vero e di bronzo filettato a oro di zecchino; due compagni, incappati di bianco, come lui, tenevano tesi i cordoni dorati del padiglione, perché non perdesse l’equilibrio, li sollevavano per le nappe rilucenti con una cura ridicola in quelle mani callose e sterminate.
Ma alla Nena parve di vederci il suo Beppe, sotto quel peso; solo che lui avrebbe camminato più spedito; era tanto forte!
Prima del vicario, coll’ostensorio sotto l’ombrellino giallo, preceduto da due angiolini biondi con le alucce di velo attaccate alla maglia carnicina, e che spargevano in terra, dopo di averli baciati, petali bianchi di rose maggesi, veniva lo stendardo [111] delle ‘Figlie di Maria’, tutto in seta, con la Madonna azzurra in piedi sulla luna d’argento, a cui s’attortigliava il serpente verde, dipinta tanto bene dal marito della signora Contessa.
Le ‘ Figlie di Maria ‘, vestite di bianco, col cero acceso nella destra e stringendo nella sinistra il fazzoletto di tela battista colle trine, insaldato e piegato in tre, venivano avanti, lente, a capo chino sotto i lunghi veli bianchi, colle grandi medaglie dell’Immacolata che battevano loro sul petto, sospese al nastro di seta celeste, strisciando i piedi, stretti negli scarpini inverniciati, sulla traccia di foglie di lauro.
I salmisti, a bocca spalancata, brandendo come un’arme il piccolo antifonario rilegato in pelle, berciavano, voltandosi indietro, col tacco alzato ad aspettare i sopravvenienti; ultima, la fanfara si preparava, imboccando il paese, ad attaccare la solita marcia.
Il maestro, con la tromba alzata, camminava a ritroso, vociando e incespicando; finalmente: — Attenti! — gridò, e abbassò la tromba, girando sui calcagni e attaccandosi subito al bocchino d’ottone.
Altra gente accorreva, richiamata dalla musica; si sentiva aprirsi frettolosamente qualche finestra ritardataria.
La Nena piangeva come una gronda, al pensiero che la Maria era lì, in processione, e non lo sapeva ancora; e avrebbe voluto fendere la barriera [112] di gente che s’andava inginocchiando per l’avvicinarsi del Santissimo, e gridarlo a voce alta che lui, il suo Beppe, finalmente ritornava!
Ma il corteggio entrò in chiesa; i chierici lasciarono ricadere la pesantissima portiera imbottita; e sulla piazza non rimasero che i soliti curiosi impenitenti e ‘baccalà’, il sole, sempre più sfacciato e dardeggiante, e un fiocco d’incenso, che si disperse adagio adagio, salendo a spirali, contro lo sconfinato azzurro.
Allora la Nena prese la via di Bagnolo, il borgo solitario, due miglia fuori del paese, dove abitava in certe case da pigionali di proprietà della signora Contessa, accanto alla casa colonica di cui faceva parte la Maria. Andava in fretta, pensando a un mondo di cose belle, e, sopra tutto, che bisognava ritirar fuori le scarpe grosse e i gambali da chauffeur, il regalo del Conte di cui Beppe era tanto fiero, perché se li sarebbe dovuti metter subito, per andare a badar la tenuta, come gli avevano promesso i padroni; e bisognava tirar giù dalla rastrelliera il fucile e levargli la polvere, e dargli una mano d’unto.
Gli pareva di vederselo davanti, quel giovinottone bruno, in carniera di velluto, col cappello floscio messo di sghembo, lasciando sfuggire di sotto alla tesa il ciuffo alla brava, con la cartuccera [113] lucente, i gambali alti di cuoio nero, lo schioppo armacollo e Fido accanto, colle orecchie ritte e il naso al vento. Che bellezza!
E intanto era arrivata, e s’era messa a sfaccendare sullo spianato di terra battuta, sotto gli olivi stenti.
In basso i campi declinavano in un dolce pallore, nascondendo con le chiome argentee le curve sinuose del fiume; di faccia, Poggio di Piazza s’alzava denso di querce e coronato di pini, come un buon gigante silvano, parato d’oro e di verde dalle migliaia di ginestre in fiore.
Un volo di colombi parve applaudire di sul tetto; poi sonò mezzogiorno, e i camini principiarono a fumare.
La Nena entrò nella cucinetta bassa; cercava di pensare, e non riusciva. Una sola idea fissa la dominava: «Torna! Egli torna...» Poi cominciava a divagare: «Come sarà stato il deserto? una pianura uguale alle stoppie? E il mare? tutto acqua, acqua, acqua e basta? E il bastimento?»
Guardò il ritratto di lui, da soldatino: la sinistra sul fianco, la destra appoggiata su un colonnino, accanto al kepì. Com’era bello! E aveva creduto di non più doverlo rivedere... Per una volta tanto, l’istinto di madre, se Dio vuole, l’aveva ingannata.
Si sentiva scalpicciare, in istrada; tornavano dalla processione; udì il prete rispondere ai saluti: «E grazie, figliuoli; prosit anche a voialtri!» Corse in [114] casa della Maria; lo gridò con tutta l’anima il grido che aveva nel cuore fino dalla mattina:
Lo sapevano. La Maria le buttò le braccia al collo; piansero insieme di contentezza, mentre gli altri figuravano di cicalare fra loro, non avendo in realtà nulla da dirsi, cogli occhi lucidi e soffocando nei petti capaci i singhiozzi con qualche esclamazione forzata.
Quello fu un desinare allegro: la tovaglia di bucato odorosa, il fiasco in tavola, la minestra fumante e Fido che abbaiava.
Avevano finito da poco, quando la porta si aprì, adagio, e videro entrare la signora Contessa.
Si alzarono tutti in piedi, sorpresi, confusi... Non credevano ai propri occhi; la padrona, proprio lei, in mezzo a loro?
Ma la Nena dubitò d’aver capito, e balzò su, come una furia:
— Venite a dirmi che è morto? Ditemi la verità: è morto, laggiù, tra quelle bestie, assassinato?
— Tutt’altro, Nena! Ma state calma...
— Ditemi, ditemi tutto, per carità!
— Ma se non c’è nulla di male! Ancora tutti non ritornano, capite?
— Resta laggiù anche lui, a farsi ammazzare?
— Anzi! Siccome si è battuto da valoroso, ed è stato, leggermente badate, leggermente ferito...
— Vergine Santa! è morto, è morto! Ma sì, [115] ditemelo pure; tanto me l’aspettavo... — e soffocava i singulti, premendosi il grembiale sulla bocca.
— Ma che aspettare! — proruppe la Contessa — lasciatemi discorrere... —
Ora tutti avevano fatto circolo, e la Maria era diventata pallida come una morta.
— Dunque, — seguitò la Contessa — siccome è ferito, ha ottenuto una licenza straordinaria.
— Allora ritorna?
— Si capisce, e prima degli altri, per di più.
— Di molto presto?
— Prestissimo! anzi, vi posso dire che è vicino, vicino, più vicino di quello che credete...
— Gli è qui, gli è qui! Me lo dice il core! — urlò la Maria, e corse verso l’uscio; ma quasi subito si sentì mancare. vacillò e cadde come un cencio fra le braccia del fratello, mentre un giovinotto, bruno nel viso, vestito di grigio, con una mano fasciata e appesa al collo, entrava di corsa in cucina, e, ripresa col braccio buono la testa della Nena, la ricopriva di baci.
La Contessa, in un canto, si asciugava gli occhi col fazzoletto impregnato d’essenze.
La sera, calando lenta, li trovò ancora lì nella cucinetta bassa a ragionare sommessamente. Anche la Contessa non s’era potuta distaccare.
Come fu scuro, la Nena, la Maria e Beppe riaccompagnarono la padrona fino alla villa; tornando, la vecchia entrò in casa, e lasciò i fidanzati, soli, a salutarsi, sulla straduccia.
[116] Non si dissero nulla.
La Maria teneva il viso e gli occhi bassi. Quanto stettero così? Al giovinotto pareva che il tempo non passasse mai. Laggiù in fondo, in fondo, i monti erano neri contro un turchino cupo di cielo; i grilli cantavano una loro cantilena lunga, stridula, penetrante, che pareva respirata dalla terra dormente, una cantilena a due cori, uno vicino vicino, uno lontano lontano; le rane rispondevano dalla valle con un metro uguale; il vento fresco sapeva di allori; le macchie alitavano l’odore acuto del biancospino.
A un tratto i due giovani furono scossi da un romore di passi; si voltarono insieme; accanto a loro, ravvolta nel suo scialle nero e nel suo dolore sconfinato, passava, quasi cercando di non vedere e di non farsi vedere, la povera Rosa, rimasta vedova subito, poco dopo che erano laggiù...
La donna fece per allontanarsi in fretta, soffocando i singhiozzi; ma Beppe la fermò con un gesto e con una parola: — Rosa?
La Rosa si arrestò; tornò indietro, lentamente; s’avvicinò ai due felici; domandò a Beppe, con un fil di voce:
— L’avete veduto?
— Sì!
— E non vi ha detto nulla?
— Nulla. Era caduto così... come un uccellino. Non se n’è avvisto neppure... —
[117] L’un’ora squillò, dal campanilluccio smantellato; si diffuse rapida sulla campagna assopita, come una benedizione frettolosa; le due donne sentirono piegarsi le ginocchia; Beppe si cavò macchinalmente il cappello; e tutti e tre pregarono in silenzio per quel povero morto, sepolto tanto lontano, di là dal mare infinito, mentre sul grande arco del cielo comparivano alcune di quelle fiamme tremolanti che gl’incoscienti poeti dei campi chiamano ‘l’anime dei giusti’ e che noi invece crediamo stelle.
[118]