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Non c’era più dubbio: mi dovevo essere sperso!
Fischiavo, invano, ché il sibilo lieve delle mie labbra se lo portava via il vento furioso pazzo e salmastro, che rammulinava sulle stoppie, empiendomi gli occhi di rena e di polvere.
Anche la Vespina, cogli orecchi rovesciati indietro e la coda fra le gambe, era di malumore, e non cacciava più.
Intanto, dietro la linea lontana della macchia agitata stranamente, cominciava a calare il sole, in mezzo a nuvole gigantesche, che variavano forma di continuo, sfilacciandosi contro il cielo color viola; si udivano bufale muggire, lontane, alla notte imminente; e, come partisse da profondità invisibili, di tratto in tratto, a qualche sosta del vento, rispondeva cupamente la sorda romba del mare.
[119] Dove sarà stata la stazione ferroviaria, la piccola stazioncella perduta lungo le lande, così melanconica e ridicola con la sua tettoia smerlata di lamiera grigia, tutta corrosa e arroggita dalla salsedine?
Giravo gli occhi intorno, e non vedevo che il deserto; chiamavo, e le raffiche s’avviluppavano folli e tumultuose intorno al mio capo; mi ponevo in ascolto, e non sentivo che il fischio del vento e il ruggito del mare.
Allora una strana inquietudine s’impadronì di me; mi colse quel vago malessere che hanno tutti coloro i quali, a un tratto, in una boscaglia o in una pianura, si son sentiti abbandonati essere umani, veramente soli.
E cominciai a camminare velocemente, arrabbiandomi con le eriche e col timo che mi si attorcigliavano ai gambali; correvo, incespicavo, chiamando a destra, chiamando a sinistra, girando gli occhi sulla stoppia, fino al profilo lacchigno della foresta; e la cagna mi seguiva, tirando di naso disperatamente, senza potersi raccapezzare in quel tumulto di correnti avverse, cogli occhi stacciati e la coda raggrinchita.
Correndo, riflettevo tra me e me: «La ferrovia dev’essere a destra, perché, quando sono sceso, stamani, era a sinistra... Ma Beppe dove sarà? Se è entrato nel bosco, allora la stazione è da quella parte; e io vo contr’acqua...»
[120] E mi fermai, accorato e più indeciso di prima.
Intorno a me era la solitudine più selvaggia; non un segno dell’uomo, una capanna, una staggionata, un palo...: nulla!
In fondo all’orizzonte, di linea diritta come quella del mare, contro il cielo che incupiva dalla parte opposta al tramonto, brillava, ricordo, una stella di straordinario splendore, pur nella luce tuttora diurna...
Rimasi fisso, come smemorato, ascoltando, senza pensare, un muggito breve, aspro.
Poi dal piano giallastro qualche cosa si sollevò, si scosse, s’incamminò, adagio, verso di me.
Una bufala, enorme, nera, dalle grandi corna bizzarramente contorte, si moveva pian piano, voltandosi indietro, ogni tanto, a mugghiare.
Si fermò diruminando; volse la testa lanosa a grattarsi un fianco con la punta aguzza d’un corno; poi muggì ancora, più a lungo.
Allora, come in un paesaggio fantastico, per qualche evocazione fatta, tutto il terreno circostante e lontano parve vivere d’una sua anima propria e agitarsi e trasformarsi.
A uno a uno tutti quei blocchi oscuri, che io avevo scambiati nel crepuscolo per rialzi verdastri del terreno, si sollevarono, scuotendo polvere, e, dondolandosi con mosse lente, si avanzarono sulla radura, incontro a me.
Bufale enormi dalla giogaia ciondolante, dai corni brevi, dai corni lunghi diritti serpeggianti [121] lunati, dal muso nero, dalla stella in fronte, dal piè balzano, dalle narici rosse.
La prima del branco muggiva sempre, fermandosi ad aspettare; e altre vacche nere, che poltrivano digrumando fra le stoppie gialle bruciate dal libeccio, si alzavano, si scuotevano muggendo, e s’indirizzavano adagio, circospette e annoiate, sull’orme della guida.
Tutto il deserto s’era animato, come se il terreno rampollasse energie di vita nel tragico crepuscolo, formicolando delle strane bestie diaboliche; e il vento rinforzava, arido, cattivo, sbatacchiandomi in faccia fuscelli e arena, mentre tutta la mandria muggiva in coro, a pause ritmiche, quasi a un segnale; e il mare rispondeva invisibile con un boato di rabbia.
E una paura mi prese, una paura terribile, come se i capi della mandria si chiamassero per additarsi l’un l’altro il piccolo audace cacciatore che violava la maestà del loro regno; e, mentre l’ombre calavano, vidi innumerevoli fiammeggiare gli occhi dei bufali, come fiammelle rossastre ferme nell’opacità,... sicché, preso il fucile a mezzo con la mano, a bocche innanzi, mi calcai il cappello sulla testa, dandomi alla fuga.
Saltavo a piè pari, affannando, le buche, i fossetti, i cespugli, preceduto e ritardato dalla cagna, che si accosciava ogni poco, presentendo un pericolo; andai così per una diecina di minuti senza discerner bene la direzione, cogli orecchi che mi [122] fischiavano e delle fiamme davanti agli occhi, finché, sentendomi mozzare il fiato, e le gambe pesarmi come divenute troppo grosse, per il coio che le stringeva, mi soffermai a respirare, con la sinistra sul petto.
E subito, nell’attimo, tra il raddoppiare del turbine, sentii dietro a me, misurato, distinto, formidabile, il sordo calpestio d’un non mai udito galoppo.
Allora corsi, senza osare di voltarmi addietro; corsi, come non avevo mai corso in vita mia, quasi fossi stato sospinto dal vento, che ora mi soffiava con violenza alle spalle; corsi, udendo sempre un fracasso sordo, indicibile, una specie di confuso ruggito continuo, nel quale eran mescolati, attutiti dal mio respiro, dal suono delle mie pedate, i due romori che affaticavano la terra ed il cielo; corsi, finché potei; corsi, finché mi parve che tutto girasse intorno a me, e, traballando, mi sorressi al fucile, di cui puntai istintivamente il calcio a terra.
Ero a pochi passi da una staggionata.
Come potevo esserci arrivato? E chi lo sa? Il vento, ora, soffiava con minor violenza. Il terribile galoppo... no! — erano i palpiti del mio cuore... — il terribile galoppo non si udiva più.
La radura, violetta sotto il cielo turchino, che si popolava di stelle; la macchia nera, a una distanza inverosimile; e tutta la steppa, pulita, deserta, quasi la terra, come l’aveva espressa a un tratto, così, a un tratto, avesse inghiottito la mandria.
[123] Verso di me a carriera sfrenata, veniva un cavallo.
Nessun pericolo, perché era montato; e, poi che volava addirittura sull’erbe, che pareva non sfiorasse neppure coi quattro zoccoli, i quali si allontanavano e si riunivano con la velocità de’ baleni, non tardai, nonostante l’ora, a riconoscere un buttero dal cappello floscio e dalla gran barba svolazzante, coi cosciali di pelle di capra, inchiodato in una sella bestiaia a grandi staffe, con in pugno una pertica a punta di lancia e il laccio arrotolato all’arcione.
Arrivò, sempre volando, alla mia altezza; e, prima che avessi finito il salto per tirarmi da parte, si fermò di schianto; rimase immobile, guardandomi appena e accennandomi, con la mano, alla pipa spenta, che teneva fra i denti.
In quella semioscurità, contro il cielo ancora trasparente, pareva una statua di bronzo: solo che il cavallo fumava dal pelo irsuto e dalle narici aperte, e la gran barba del bestiaio sventolava leggermente al libeccio.
M’affrettai, stupefatto, a rovesciare nelle mani del buttero la borsa di trinciato, mentre l’interrogavo intorno a Beppe, il bracconiere che mi accompagnava e che egli doveva conoscere (lo conoscevano tutti), o, per lo meno, intorno alla strada che avrei potuto prendere per arrivare a quel benedettissimo treno, che avevo una paura matta di perdere!
[124] Ma il buttero, ricevuto il tabacco, si toccò il cappello con un dito, e, senza rispondere una sillaba alle mie cortesi domande, dette con la briglia di traverso sugli orecchi al cavallo, che, con uno scarto, si rituffò nel buio donde era venuto, lasciandomi in asso più sbalordito di prima.
Volgevo gli occhi intorno a me, irrequietissimo, quando, finalmente, mi rincorò il noto fischio di Beppe; e, mentre la canina gli balzava incontro mugolando di gioia, il vecchio bracconiere sbucò rasente la staggionata, e mi raggiunse brontolando.
— Eh! signorino, mi avete fatto stare in pena, sapete? Ma dove vi eravate cacciato? Sempre con la testa nelle nuvole... vi pare il modo, cotesto, d’andare a caccia? In questi posti non si scherza...
— Ho avuto una paura terribile; non mi vergogno a confessarlo...
— Lo dico anch’io! Siete vivo per un miracolo; credete, per un miracolo!
— Ho visto ogni cosa, di laggiù... Figuratevi come stavo! Fortuna che c’era il Muto!
— Il Muto?
— Sì. Quel buttero che è andato via ora... È stato lui che ha ricacciato indietro le bufale...
— Lui?! E non l’ho neppur ringraziato... Ma, aspettate, avete detto: ‘il Muto’?
— Perché è sordo e muto, signorino! sordo e muto per via d’un caso come quello che è occorso [125] a voi... Ma venite con me, sbrigatevi, se non volete perdere il treno. —
E s’incamminò, continuando:
— Faceva il cacciatore, avanti di fare il buttero, ed era con me, cotesto giorno, quando ci si avvide d’essere nel mezzo alla stoppia... per via delle quaglie..., proprio nel mezzo, puliti, capite? come eravate pulito voi dianzi! A un tratto si sentì un muggito, poi un altro; quindi una bufala si difilò, con la coda ritta, la testa torta, verso di noi... e tutte quell’altre dietro alla prima! Aveste visto, signorino, quant’erano! Dieci, e, dopo, venti, trenta, cento,.. Ne sbucavano da tutte le parti. Fanno sempre così. Basta una veda qualche cosa, senta rumore...: alza la testa, guarda da quella parte, caccia un muggito per avvisar le compagne; e quelle fanno tutte lo stesso, tutte, come un reggimento di soldati! Noi s’aveva un bel correre, ma sì! non c’era speranza d’arrivare alla staggionata, prima che ci avessero raggiunto...
A un tratto vidi Bista, il Muto si chiama così, voltarsi e scaricare la doppietta.
È un tentativo; delle volte riesce; basta aver la fortuna di cogliere con qualche pallino, verso gli occhi, la bufala di testa...
Poi tirai anch’io... Signorino, s’aveva i fucili a bacchetta, non c’era tempo da ricaricare! Bista [126] buttò in terra il cappello; e la bufala vecchia si fermò, lo annusò; e tutta la mandria fece lo stesso.
Intanto noi si correva a perdifiato; ma di lì a un momento si risentì quel galoppo, cadenzato, uguale, preciso, alle spalle... Lo avete sentito anche voi!!!
Basta! buttai via il cappello, io pure; poi si scaraventò in terra le cacciatore, le sottovesti... A farvela breve: sempre correndo, si finì per fare la conta....
— La conta?
— Sì, a chi tocca a sdraiarsi. Qualche volta ci si salva a quel modo; ma ci vuole un fossetto, un avvallamento, qualcosa, insomma, che le bufale non arrivino a cacciarvi sotto il corpo la punta d’un corno... Se no, ci rovesciano, c’infilano, e bonanotte! è finita...
— Sicché?...
— Sicché toccò a lui, mentre io col cuore qui, alla gola, soffocato, pazzo, raddoppiavo di lena.
— E lui?
— Signorino! Lui si schiacciò fra due ondate di renicciolo, raccomandandosi l’anima a Dio! Cosa successe non lo so; non l’ha potuto più raccontare altro che coi cenni... Pare che tutta la mandria si fermasse; gli fecero circolo intorno; ci pensate? più di cento bufale! E tutte si provarono a rivoltarlo [127] coi corni; e lui, ve lo figurate come si faceva piccino, come si pigiava contro la terra, col viso nella sabbia, senza poter guardare, senza potere alzar la testa, neanche un tantino, così?... Chi sa come gli parve eterno quel minuto!... Venite, datemi il fucile, se no la staggionata non la saltate...: ecco, così!... Insomma non ci fu una bufala che avesse le corna tanto piegate all’ingiù, da poterlo infilzare; e io sentivo i muggiti, di dov’ero; e mi si schiantava il core nel petto! Avevan bell’e cominciato a zamparlo, capite? a pesticciarlo con lo zoccolo; e una anzi gli ruppe una spalla, quando, a un tratto, fischiò il vapore, come ora, sentite? La bufala vecchia alzò la testa, muggì, si buttò dalla parte dove il treno rombava... e tutta la mandria la seguitò di galoppo.
E Bista fu salvo per un miracolo, per un vero miracolo del cielo! Ci pensate, signorino? di cento bufale, nemmen’una? Si salvò; ma, dal ribrezzo, in quell’attimo, perse la favella, e l’udito; e ora fa il buttero, perché a caccia non ci può più andare. —
La notte era, ormai, profondissima, e, improvvisamente, m’apparvero il profilo della stazione e gli occhi rossi del treno; ma sul rombo del convoglio un altro rombo s’aggiungeva, sordo, terribile.
L’intera mandria galoppava furibonda verso il romore, e, mentre la macchina si rimetteva in moto, e io, affacciato al finestrino, ricambiavo i saluti del [128] bracconiere, apparvero lungo le staggionate, che cominciavano a fuggire nel buio, al riverbero giallo dei lumi, tanti punti lucenti: gli occhi delle bufale, attonite, che guardavano passare il vapore.
Poi mi parve d’udire fiocamente un muggito, e tutte quelle fiammelle sinistre si dispersero come dissolte in nulla dal vento, mentre il convoglio strisciava urlando e fumando, traverso la Maremma addormentata.
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