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— Betta, — fece il prete, rimanendo col cucchiaio alzato verso la bocca, senza ricordarsi di tuffarlo prima nella scodella — Betta, se voi volete andar d’accordo con me, di coteste dimande non me ne dovete far mai!
— Io non ho chiesto — ribatté la donna, piccata — di sapere né il come né il quando; dico, e lo sostengo, che un giorno o l’altro vi capiterà qualche disgrazia. Una delle due: o fare a meno d’andare a caccia…
— Impossibile!
— Bene! o servirsi, allora, d’un fucile migliore! O non vi preme il viso a voi? Quando è scoppiata la canna, bonanotte, sonatori! E sapete, dev’essere la peggior morte che si possa immaginare... Ma che vi gira? morire d’arme da foco, con tutte quelle schegge, quei pallini, quei diavoli che ci mettete dentro voialtri cacciatori... stracciati, bruciacchiati, trasfigurati... che strazio, che tortura!... Ma, ohe, [141] sor pievano, o cos’avete! vi sentite male?... ma voi... voi piangete! Vergine, Vergine, Vergine! O che ho detto qualcosa di male? Dio mio, aiutatemi voi; il pievano si sviene... Ora mando Cencio a cercar del dottore... —
E si mosse, con una rapida corsettina da vecchia arzilla; ma il pievano s’alzò, a stento comprimendo col tovagliolo sulla bocca i singhiozzi, e con le mani faceva cenni disperati alla Betta che non si movesse, per carità...
Come, finalmente, poté articolar parola, scotendo la testa, accasciato nella poltrona, dove appariva più magro, più misero, più disfatto: — Perché nasconderlo, — disse — perché tacere una cosa che è vera pur troppo? Ah, quanti ricordi! Betta mia, quanti dolorosi e uno più doloroso di tutti,... perché quel fucile ch’io porto sempre con me è l’unico ricordo che mi resti del mio povero fratello Giustino, che fu ammazzato, con una schioppettata nella faccia, in Maremma, dove stava la mia famiglia, quando io ero in seminario a Firenze.
— Dio di misericordia! O da chi fu ammazzato?
— Pare da un cacciatore di mestiere...
— O perché?
— Questo non s’è mai potuto sapere.
— E non l’arrestarono?
— Fuggì... C’è chi dice sia morto... chi dice che riparò in America, dove fece fortuna; non se ne seppe più nulla... Morirono anche i miei, dal dolore; io ero il più giovane e son rimasto, solo... [142] Andate, lasciatemi, e non mi dite più nulla,... perché io non mangio altro... —
E respinse la scodella, cascando con la testa abbandonata sopra le braccia incrociate sulla tovaglia bianca; e non si mosse più.
Doveva nevicare forte, verso Santa Fiora, perché tutta la pievania, antica, costruita di solido alberese chiantigiano e appoggiata a dei contrafforti naturali di macigno, tremava come se un gigante invisibile la scotesse dalle fondamenta, mentre giù, dalle gole della Volpaia, le raffiche, a momenti, portavano fin lì i fruscii caratteristici dei fogliami agitati, che parevano scrosci improvvisi d’acquate.
Don Luigi, dopo aver pianto, bocconi a quel modo contro la tavola, col corpo esile scosso da singulti via via sempre più rari, finì per addormentarsi, mentre la Betta in cucina risciacquava i piatti con un fracasso rabbioso, e i cani sognavano al calduccino, movendo le zampe distese e abbaiando fiocamente, nel sonno...
Fu in una sosta momentanea della buriana che all’uscio della casetta furon bussati colpi frettolosi, ma forti.
Don Luigi alzò la testa, e la Betta corse sull’uscio del salottino con la faccia sconvolta:
— Chi volete che sia? sarà Cencio, o il dottore sorpreso da questa bufera...
[143] — Ma che vi pare? sono le undici bell’e sonate!
— Non mi canzonate! l’undici?!
— L’undici! e io non apro; giran certe facce... Fosse qualche fuoruscito!
— Cosa volete che cerchino da un povero prete di campagna! E se invece mi chiamassero per l’olio santo, — i colpi si rinnovarono più affrettati e più vigorosi, — non anderei, dite un po’?
— Con questo tempo, e a quest’ora?
— Anche se dovessi traversar le forre accompagnato con le torce a vento. Aprite! —
Il tono era perentorio, e la Betta, allibita schiuse la porta, dopo aver tirato davanti alla bocchetta una catena tanto lunga. Fuori faceva nero come nella bocca del forno, e, poi che la vecchia alzava il lume, indietreggiò, scorgendo al chiarore uno sconosciuto dalla barba incolta, lacero e ripugnante, appoggiato a un bastone, che, dallo spavento, parve alla donna addirittura una clava.
— Insomma, Betta — gridò il pievano; — che diamine si fa?
— Cosa volete che vi dica? vedete un po’ voi... io me ne lavo le mani. —
Il prete, che si ricordava de’ bei tempi della sua giovinezza, s’alzò con l’impeto che gli permettevano le sue esili gambe, tirò la catena con grande strepito, spalancò l’uscio, e disse, con voce che cercò di rendere stentorea: — Entrate!
Ma quasi subito si pentì di quella frase. Il nuovo arrivato, benché canuto e illividito dal freddo, [144] mostrava d’essere ancora in gamba; e le vesti, la faccia, il colore della pelle, allo sguardo sperimentato del prete, lo fecero riconoscere di primo acchito per un tipo di quelli, come si dice in Toscana, che è meglio perdere che acquistarli.
Ormai però il dado era tratto, e Don Luigi domandò:
— Chi siete e cosa volete? —
L’interpellato stentò a rispondere; il tepore della casa, sciogliendogli il sangue intorpidito, gli dette probabilmente una vertigine, perché traballò come se fosse ubriaco. La Betta lo guardava con ispavento; ma il pievano, più pratico e, in fondo, un cuor d’oro, capì, e subito lo fece mettere a tavola, mormorando fra sé la preghiera: «In manus tuas, Domine…»
La Betta, ora, guardava, stupefatta e terrorizzata, il vecchio, che si gettava sulla cena, non toccata dal pievano, con un’avidità da far paura, e si mesceva da sé il vino gagliardo a calici colmi, come se fosse assolutamente solo; mentre Don Luigi si persuadeva sempre più d’aver messo in casa un individuo che, non sarà stato un fuoruscito, non sarà stato un brigante, non sarà stato un ladro, ma certo era obbligato a fuggire viaggiando per le boscaglie; in una parola, a tenersi nascosto.
— E ora — disse finalmente l’incognito, quando ebbe saziato quella sua fame rabbiosa — e ora, signor curato, bisogna che dica ogni cosa, tutta la verità... tanto non se ne esce; o morire o...; — e [145] tacque, esitando — ma — ripigliò — a voi solamente! — e scandì le parole con un’intenzione che la Betta, livida dalla rabbia, intese a volo...
Intanto Don Luigi, con le sopracciglia aggrottate, le faceva un cenno strizzando l’occhio; e la donna non dubitò, neanche per un secondo, d’aver capito benone, tanto che, due minuti dopo, in punta di piedi, usciva da casa senza farsi notare, e, imbacuccata in uno scialle, rompeva col capo e con la persona le correnti gelate che la investivano, affrettandosi, più che potesse, verso un lume che scintillava nell’ombra.
L’incognito fece un gesto come un disperato che si strappi la maschera, e disse al prete:
— Iddio m’è testimonio che non voglio farvi del male, che non fo male, che non farei male a nessuno per tutto l’oro del mondo... Sì, è vero, io sono un fuggiasco, sono un disgraziato, al quale, se mi scoprono, è aperta la galera e per sempre... ma, signor curato, quando saprete come stanno le cose, anche voi mi perdonerete e mi salverete... Se no, cosa ci starebbero a fare i preti e le chiese? Ne convenite? —
Don Luigi, che ascoltava, in piedi, s’accostò con le spalle, istintivamente, alla rastrelliera dei fucili, senza perder di vista un solo movimento del fuoruscito.
— Dovete sapere che io ho ammazzato uno... Non spaventatevi, signor curato, e, sopra tutto, abbiate compassione di me... Se è vero che dopo morti si ritorna sulla terra, lo spirito di quello [146] che ammazzai mi s’è messo alle calcagna, e con le mani nei capelli mi ha trascinato dove ha voluto lui, da per tutto, nelle macchie delle maremme, sull’oceano, nell’America lontana, dove si muore di febbre e di bastonate, fin qui tra queste montagne, dove credevo di finir la mia vita da bestia feroce... Mi guardate? Faccio paura? Lo so. Ecco qui, questa giubba, questi calzoni, strapanati, ridotti in brandelli... Perfino i maiali, con rispetto parlando, signor curato, i maiali selvatici, quelli col dente scoperto come il cignale, mi hanno dato addosso... me li son trovati incontro in quel bosco di querce laggiù... Come ho fatto a salvarmi? non lo so... Erano in branco; io mi son difeso col bastone, coi sassi: son salito sopra un albero... Nemmeno i maiali m’hanno lasciato in pace, signor curato! Mal sicuro in Maremma, finito dalla febbre gialla nel Brasile, sbatacchiato nelle stive, asfissiato nei lazzaretti, costretto a rimpatriare, a ritornare verso le manette o verso la fame... Tutti i miei? Li ho trovati morti! Mi son ricordato d’un fratello, contadino, venuto a stare in Chianti, sotto Gaiole, a dieci miglia da Siena (c’ero stato da giovane), e mi son trascinato fin qui, girando di notte per paura de’ gendarmi, mangiando ghiande e marroni crudi... Era morto, anche lui! Tutti morti; e io non posso ammazzarmi... perché ho paura... ho paura di quell’altro...
— Quell’altro chi?
— Quello che uccisi, eh! Era un ragazzo che non faceva male alle mosche... E tal quale ero io, [147] sapete? tal quale, che mi chiamavano ‘Pastocchio’, da quanto ero buono... ma la caccia... Come fo a darvi a intendere questa cosa? perché bisogna esser cacciatori, ma proprio di quelli veri, per capire in che modo andò la faccenda; proprio cacciatori di macchia...
— Son cacciatore dalla nascita — interruppe il prete, col viso bianco e con le mani che gli tremavano, mentre tirava innanzi un’antica seggiola, e vi si abbandonava di schianto — cacciatore dalla nascita... e di Maremma! Tirate avanti.
—Di Maremma? bene! Voi conoscete il diritto del cane? lo conoscete? O dunque statemi a sentire: cotesta mattina il mio Fido (il cane più capace della Maremma) aveva dato a un daino in bandita; l’avevo sentito bene, lo riconoscevo tra mille... aveva un modo, cacciava un cert’urlo, quand’era roba grossa, ha capito? E poi udii degli altri cani che si difilavano sulla pesta, e prima gli scagni, uno qua, uno là (cercavano la traccia), e poi tutti riuniti in piena canizza sull’orme; e il mi’ Fido era in testa alla batteria, a voce spiegata; bai, bai, baiiii... Che bellezza! Mi si schiantava il cuore nel petto, quando arrivai alla Croce, dove c’è un intrico di viottoli che vengono su dalla foresta, e costì in ginocchio, col fucile alla spalla, l’orecchio teso, l’occhio sbarrato, aspettavo di [148] vedermi balzare incontro la bestia... Invece: pan! il tonfo secco d’una schioppettata. Maledetti! Mi avevan tagliato la posta. Ve lo figurate voi come andavo? in un secondo ero davanti al daino abbattuto; tre o quattro cani rugliavano, leccando il sangue che gli grondava dal muso, e un cacciatore stava lì col fucile armacollo e il coltello in mano... Cosa avreste fatto voi, ditemelo un po’? Aspetto per vedere il garbo dell’uomo, e, siccome quello seguitava a fare il comodaccio suo come se non ci fossi, inoltro d’un passo e gli faccio:
«La bestia è mia!»
«Come vostra?»
«È il mi’ cane che l’ha stanata...»
«O questi di chi sono?»
«Ma, nossignore, si sono accodati dopo...»
«Ma l’ho ammazzata io!»
«Ed ecco qua la carica, la pallottola; e tagliatevi il pezzo che vi perviene...»
«Ma io non taglio nulla, e levatevi di qui...»
«Levarmi di qui?!»
«Sì.»
«Io?»
«Voi!...».
E lì da una parola all’altra si finisce che ci si trova di faccia cogli schioppi in mano.
Ma perché mi volle far quel sopruso; ma perché volle far perdere la testa, a me, che non potevo vedere l’occhio del daino, quando moriva, e mi voltavo sempre da un’altra parte? Perché?... Signor [149] curato, discorsi pochi: a sentirmi ricusare il mio, a quel modo, sulla faccia, a vedere spregiato il mi’ cane nel suo diritto, con la bestia, fumante, a’ piedi, persi la testa... e m’imbracciai!.
— E... e... l’altro?
— Signor curato,... signor curato, ve lo giuro per l’anima di tutti i miei, morti di crepacuore; ve lo giuro per quel filo di vita che mi resta da vivere: io m’imbracciai per fargli paura! Non credevo, non ci credo neanche ora, che lui avesse quel fegato! Fece un passo addietro, buttò il cappello in terra (sarà stato in buona fede, avrà creduto di aver sentito scagnare innanzi i suoi), mise lo schioppo alla gota, e mi disse, cogli occhi fuori di testa: «Vattene, o sparo!...» Signor curato, credetemi, l’ho scontata e la sconto ormai da venticinque anni,... ma fui più lesto di lui! —
E s’abbandonò, con la testa fra le mani, come fulminato.
Il pievano si raddrizzava, invece, bianco come un pannolino, lentamente, puntellandosi sui poveri pugni scarni, dai braccioli della sedia, con le labbra convulse, senza riuscire a emettere altro che suoni inarticolati; poi, curvandosi quasi alle orecchie dell’assassino e guardandosi intorno, come avesse paura di quel che stava per ascoltare:
— Ma il nome di quello che avete ammazzato! — rantolò — il nome, per l’amor di Dio!
[150] — Era un bon figliolo, signor curato; era di Maremma anche lui; so che lo chiamavano tutti Giustino... Signor curato, signor curato! Che cosa ho detto?... forse... voi... lo conoscevate? —
La voce strozzata, il prete, in piedi, gli occhi fiammeggianti, le mani increspate, si chinava ora sulla bocca del vecchio bracconiere, sibilandogli in faccia: — Ah, disgraziato! ah, disgraziato!... — senza potere, senza saper dire altro; e un alito freddo di terrore pervase la stanzetta, parve spegnesse le fiamme del caminetto, che illividirono in una caduta di legni bruciacchiati, mentre il lume agonizzava: in quel tragico attimo di silenzio si sentì scalpicciare dietro la porta, e la voce della Betta, studiatamente tranquilla, che diceva forte:
— Sì, signor brigadiere, il pievano, per fortuna, è ancora alzato... —
Ora i due uomini, ritti, l’uno di fronte all’altro, si misuravano con degli sguardi d’un’eloquenza terribile; ma il lampo di furore che accendeva gli occhi del prete si smorzò contro la fredda luce di sprezzo che rifulse in quelli del maremmano. A un tratto, fulmineo come avesse avuto vent’anni, Don Luigi, aperto l’uscio di sinistra del salottino, che dava sopra il modesto orto della parrocchia, sussurrò, a voce fioca e concitata, al fuoruscito, spingendolo fuori: — Il muro è basso. — Poi chiuse> alzò la calza del lume, e si mosse incontro ai sopravvenienti, di cui le sciabole tintinnarono, e rifulsero nell’ombra le bottoniere, mentre [151] dietro appariva la faccia rubiconda della Betta, trionfante.
— Appunto andavo a letto... In che cosa posso servirvi, caro brigadiere? un bicchierino d’aleatico... un po’ di cognac?
— Grazie, grazie, signor pievano... ma voi... indovinate facilmente lo scopo della mia visita. — E alzò la voce. — Sono avvisato che un pericoloso soggetto, condannato in contumacia per assassinio, forse credendo prescritta la pena, è tornato da queste parti, e che voi, ingenuamente, l’avreste ricevuto...
— Difatti... non chiedo mai le carte ai disgraziati che mi domandano asilo... Disgraziatamente s’è rifocillato in fretta, ed è ripartito, all’istante.
— Ripartito? — urlò la Betta. —
Il brigadiere notò la voce turbata del pievano, e non nascose una smorfia di malcontento; poi, con un sorriso acerbo, disse:
— Non mi permetto di dubitare delle vostre affermazioni, benché, se volessi, potrei compiere intiero il mio dovere — e guardò le porte con intenzione; — ma, siccome ho piuttosto fretta, mi dovrete fare il favore di dare la vostra parola...
— La mia parola d’onore! — esclamò il prete, ponendosi la mano sul cuore.
— O meglio, — continuò il brigadiere — poiché conosco la vostra bontà, di farmi un piccolo giuramento... —
Andò alla parete, ne staccò un crocefisso, e lo [152] mise sulla tavola. Il pievano, senza esitare un istante, messa la destra sull’immagine sacra:
— Signor brigadiere! — esclamò — ve lo giuro: sono solo in casa mia!
— Sta bene... Vuol dire che era destino, proprio con questa nottata, che noi dovessimo battere il bosco... — E con un sospiro il soldato si ravvolse nel grande mantello, e uscì, dopo aver salutato militarmente, seguito da’ suoi uomini, marcando il passo pesante con un tintinnio metallico, mentre la Betta faceva lume, stupita.
Di fuori piovigginava un’acquerugiola fina e gelata, nonostante che la luna avesse vinto le nuvole, filtrando da uno strappo.
Il lume s’era spento; e il prete, piombato nella poltrona, pregava sommesso, follemente, disperatamente, cogli occhi fissi alla finestrucola, lungo i vetri della quale si vedevano lente discendere certe grosse gocce d’argento, che parevano lacrime.
[153]