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Ruggero era, o, per meglio dire, è (per quanto il tempo sarà passato anco per lui, credo sia sempre vegeto e verde) il tipo del cacciatore più curioso che abbia conosciuto.
Il cacciatore, in generale, ama le bestie, ma Ruggero le detestava, o, per essere più esatti, non annetteva loro l’importanza di animali, nel senso di concedere loro una propria sensibilità. Per lui una bestia, perché non manifestava il dolore, non sentiva nulla. Bel modo di ragionare!
Una volta gli levai di mano un falco ferito in un’ala, e che egli teneva ciondoloni proprio per l’ala che gli aveva spezzata col suo fucile infallibile. Poiché tirava bene.
Se uccideva la lepre, non c’era pericolo che le picchiasse sulla nuca la tradizionale manata; ma se ne godeva tutte le convulsioni, con una voluttà d’uomo primitivo.
Se la civetta non faceva il suo dovere, e lui la crocifiggeva sull’uscio dello sgabuzzino degli uccelli, [232] con quattro chiodi, divertendosi a vederle stralunare gli occhiacci gialli nelle convulsioni della lunghissima agonia. Insomma era un poco di buono e un ragazzo senza cuore; e più d’una volta andai lì lì per lasciargli cascare un pugno sulla testa, dalla bile che mi faceva.
Ma non potevo fare a meno di seguitare ad andarci a caccia insieme; prima di tutto, perché, come ho detto, era un bravo cacciatore, e poi perché forse quell’aura canagliesca aleggiante intorno a lui aveva un suo fascino, che non si potrà spiegare, ma che certamente è particolare a tutti gli scavezzacolli, i quali, in fondo per il cinismo della loro marioleria, finiscono pur troppo per diventare simpatici.
Ma io non tedierò i lettori con uno studio psicologico di Ruggero; racconterò invece un fatto, il quale, anche per molti cacciatori, riuscirà nuovo, ma di cui i vecchi maremmani conoscono per prova l’autenticità.
Una bella sera, Ruggero mi disse:
— Volete venire, domani, a caccia con me?
— A caccia?! Sei matto! O se la caccia è chiusa!
— Ma la caccia a cui vi conduco io non si chiude mai! — E giù una risatina lunga.
— Ma a caccia di che cosa?
— Oh, bella! a caccia di corvi.
— Sì! e chi li piglia, i corvi? Lo sai bene: sono come persone; fiutano l’agguato a un miglio di distanza; non si posano mai a tiro di fucile; fanno [233] un volettino fuori della portata delle canne, e poi: Craaaa... ti danno anche la corbellatura.
— Ma noi non ci corbellano! Io, invece, corbellerò loro; e vi garantisco che vi torcerete dal ridere.
— Basta che non sia qualche infamia delle solite.
— Voi lasciatevi servire, e poi vedrete. Allora, domattina?
— A che ora?
— Sul far del giorno.
— Sta bene. —
Il sole di maggio dorava appena le cime dei pioppi, e il cielo cominciava a sfumare dall’azzurro intenso in un color diafano d’opale, quando il mio strano compagno mi venne incontro, sudato e accaldato come se avesse fatto una corsa.
— Oh! di dove vieni?
— Di laggiù... — e ammiccava, accennandomi col dito una vasta distesa di praterie. — Se vedeste quanti ce ne sono! Brulica ogni cosa di quelle bestiacce. Ma le ho accomodate io, non dubitate. —
E si fregava le mani, tutto contento.
Ora, lo confesso, mi pungeva una curiosità ardente.
Si andava, adagio, dinoccolati, con le pipe in bocca, per la gran prateria, che odorava d’erba fresca.
Quando si fu nel mezzo, un corvo s’alzò pesantemente, simile a un cappellaccio buttato per aria, e ricascò pochi passi lontano da dove s’era levato, mandando il suo lugubre grido.
[234] Un altro cigolar di catena arrugginita gli rispose da un pioppo; un terzo, dall’orlo d’un fossato; un quarto, da una stoppia; poi dal terreno; la nuvolata nera s’alzò improvvisa, si sparpagliò contro il cielo perlaceo, ricadde senza strepito in mezzo alla radura, sommersa nell’erbe.
— Attento! — disse Ruggero — ci siamo. —
Un corvo enorme, il capo del branco, ci avvistò, e traversò un canale per pascolare più tranquillamente.
Poi, con un craaaa! sonoro, chiamò il suo schifoso seguito, che, pigramente, con un volo obliquo, ve lo seguì.
— Lo vedi? — dissi a Ruggero — lo vedi? Quel vecchio corvo ha... pensato: questi due uomini ci seccano; passiamo il canale; e loro, se hanno delle cattive intenzioni, per raggiungerci dovranno fare un lungo giro... Non manca che piantargli un paio d’occhiali sul becco, per farne un solennissimo filosofo! I corvi, credilo a me, non sono bestie;... sono persone umane.
— I corvi, caro voi, son bestie più bestie delle bestie; e ora lo vedrete. Attenzione! —
Ci fermammo in riva al canale, che defluiva lento ai nostri piedi; i corvi erano lì, a due passi. Sicuri dell’ostacolo frapposto fra loro e noi, tranquilli bezzicavano, cercando i bocconi buoni, parlottando, brontolando, ammonendosi, litigando fra sé...
Uno, a un tratto, il vecchione, spiccò da terra un volo folle, velocissimo.
[235] Gli altri continuavano a mangiare, senza avvedersene. S’alzò a volo in un modo curioso, a spirali concentriche, mantenendosi in una colonna d’aria scrupolosamente diritta al punto donde s’era staccato; mi parve che avesse qualche cosa nel becco, ma non l’avrei potuto giurare, perché il sole, che ora navigava a mezzo cielo, gli batteva in pieno, sulle penne lucenti, facendole balenare come se fossero d’acciaio: salì per cento, duecento metri nell’aria, poi, d’un colpo, chiuse le ali, e si lasciò precipitare a piombo da quell’altezza.
Mi parve d’udirne il tonfo sordo, quando s’abbatteva sull’erba.
— Che Dio ci liberi! — dissi a Ruggero, guardando quasi con ispavento — quel corvo si è suicidato!
— Quasi... Ma ora vedrete. E voi dicevate che eran persone! —
Immediatamente un altro corvo si slanciò, proprio di là dal canale. Questa volta lo vidi bene: aveva sulla testa qualcosa di bianco, che lo faceva parere incappucciato.
Non resistei più al desiderio di sapere, di raccapezzarmi, e mi posi a correre lungo il canale, in direzione d’un punto dove sapevo che si restringeva a un gomito, in modo che l’avrei potuto oltrepassare d’un salto.
Quando vi giunsi, un terzo corvo girava vorticosamente nell’aria, e poi cadeva a precipizio dal cielo. Corsi a lui, lo cercai tra l’erba fradicia, lo [236] rinvenni ad ali aperte con la pancia contro terra, schiacciato mezzo, per la gran botta data sul terreno rovinando da quell’altezza.
Dal becco alla cervice un cono di foglio bianco gli copriva gli occhi e la fronte; feci per istaccarglielo e durai fatica a riuscirvi.
Ora, col cappuccio di carta in mano, guardavo, stupefatto, Ruggero, che rideva sempre.
— Vedete come faccio — mi disse. — Prendo uno di questi cappucci, lo ficco in un buco, fino al pari del terreno, con la punta del cono all’ingiù; poi ci lascio cascare una fava fresca. Quindi lo impanio ben bene, giro giro all’orlo, con un vischio del più forte che sia possibile.
»Il corvo, che è ghiotto della fava, ficca la testa nel cappuccio, e, quando fa per ritirare il becco con cui ha già preso la fava, il cappuccio gli rimane attaccato alla testa.
»Cieco, non sapendo cosa si fare, si slancia a un volo diritto, e, per mantenerlo tale, lo eseguisce a spirali concentri che, sempre nel medesimo raggio: a una cert’altezza, disorientato, in preda a uno spavento che lo fa impazzire, perde la percezione di quel che gli avviene, non sa più se è in aria o se è in terra, raccoglie l’ali, s’abbandona, e tramortisce o muore.
— Ben trovato! Soltanto, è abbominevole...
— Ed è un uso vecchio, sapete questo di cacciare i corvi col cappuccio; un uso che deve risalire ai tempi, quando non c’erano gli schioppi né [237] la polvere. Allora, non sapendo come si fare a prendere gli uccelli, intentavano di queste astuzie; e gli uccelli ci cascavano, e ci cascheranno sempre, come imbecilli. E voi dite che gli animali sono persone! Del resto, scusate, o le persone non fanno lo stesso?
— Ma io non l’ho mai sentito dire!
— Peggio per voi: ma quando un uomo, per l’ingordigia di qualche cosa — denaro, potere, notorietà — si butta a capo fitto nella trappola della vita, non gli scende sugli occhi una benda, non acceca moralmente, non gira su se stesso, vorticosamente, senza sapere dove si trova, né cosa fa, finché precipita dal cielo dei suoi desideri pazzeschi, e finisce per suicidarsi, picchiando contro la dura realtà di questa terra, di cui credeva d’essere il re?
— Ruggero, tu sei un filosofo, e, senza saperlo, un grande filosofo; ma da qui innanzi, fammi il piacere, continua pure a strapazzare gli animali, ma, invece delle bestie, strapazza gli uomini,... incominciando da te! —
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