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LA
FARFALLA
In campagna; una sera, dolcissima, d’estate. Di fuori, nell’orto, le piante dormono e il lume della luna, al suo primo quarto, ostinatamente si infiltra dove la ramaglia è più folta a svelare il sonno di qualche cincia addormentata col capo sotto l’ala e un occhio vigile; ma si svegliano invece i grilli, che accordano, uno di qua e uno di là, i violini in sordina, parodia dell’orchestra, nel teatro ancora all’oscuro, mentre il loggione già mormora e le poltrone e i palchetti aspettano invece con le mascelle spalancate e vuote la loro preda umana.
Sulla tovaglia bianca, sbatte la luce gialla di un vecchio lume a petrolio, e accende il lampo insostenibile di un rubino nella pancia della bottiglia di Chianti piena fin quasi al collo.
Io fumo, torpidamente, il mio sigaro e mia moglie legge il giornale; abbiamo finito di cenare.
Mentre inseguo dietro le spirali del fumo, qualche sogno indistinto, cercando, invano, di dargli un nome e una forma, a un tratto, nel girare gli occhi, vedo, sulla camicetta bianca di mia moglie un insetto.
È una farfalla, così piccola, così tenue, che sembra una pagliuzza d’oro nell’ombra; ma quando, anelante la luce, si sposta verso una piega dove il chiaror della lampada accende un riflesso, si rivela quale veramente è: tutta d’argento, tessuta di sottilissima, serica trama d’argento.
Le due lunghe ali chiuse sul corpicciuolo invisibile, formano un triangolo scalèno, perfetto, di cui il vertice è costituito dalla testina microscopica armata di due antère impalpabili.
La mano esile si muove con precauzione, ma la farfalla sfugge, lasciando sul palmo una traccia di limatura d’argento.
L’insetto si slancia con volo concentrico verso la lampada, entra sotto la grande cupola incandescente della campana di maiolica, e si scotta, per la prima volta, alla pancia dello scartoccio arroventato.
Cerca, un istante, il refrigerio di uno dei bracci d’ottone che sostengono il lume, poi ricade silenziosa sul bianco lucente della camicetta di battista. Delle pieghe mutevoli ha scelto quella più direttamente investita dalla luce, ma è la fiamma che le occorre, e prevenendo il moto rapido della mano tesa a ghermirla, la farfalla s’è di nuovo slanciata nel vortice del volo, verso la fiamma.
È quel fuoco a cui tende; vestito di luce e nato nell’ombra, il pallido fiore alato della notte non ha altro scopo alla sua effimera vita, se non di godere disperatamente, immergendosi nel bagliore illusorio e spasimarvi, un attimo solo, di voluttà mortale.
Ancora una volta il vetro infuocato respinge l’insetto.
La violenza del volo lo fa cadere sulla tovaglia, riverso, gli occhi disperatamente rivolti alla luce, battendo le zampine in un convulso spasimo erotico.
Si rialza, rivola, ma ormai la farfalla è stanca e percossa.
L’attira di nuovo l’immacolata neve della battista vibrante al riflesso.
In quel minuscolo organismo primordiale è la stessa ansia gigantesca, è la medesima volontà eroica, posseduta dall’animale perfetto, dall’uomo, quando si scaglia verso il sole, sulle cime dell’Alpi rifrangenti d’ogni intorno la luce, o s’accascia, sfinito, sul biancore accecante del ghiacciaio, con gli occhi alzati al piropo incandescente che flagra nei cieli, di là dall’ultima cima.
Ora si vedono gli occhi, simili a due piccoli punti neri, d’un nero lucente di perla.
Quale orafo saprebbe incastonare il riflesso rarissimo della luttuosa perla orientale in un gioiello di così raffinata eleganza?
La farfalla posa, aggrappata allo sboffo della camicetta, e palpita, ripigliando le forze per nuovi tentativi.
Pare che, inebriata dalla visione suprema, voglia assaporare il tormento in tutti i suoi più squisiti particolari prima di abbandonarsi alla morte.
Intanto la pallida mano sale, insensibilmente, verso l’insetto che non si avvede di nulla.
I suoi occhi sono imbevuti di luce.
I suoi sensi e la sua anima oscura naufragano nella luce, cercando il superamento di quell’estasi abbagliante, nella congiunzione coll’essenza medesima della luce, nell’annientamento totale, in mezzo alla fiamma, che è la vita e che è la morte, che alimenta e che dissolve, che è principio e fine insieme.
Di là da queste due ragioni numeriche è la terza cifra incognita del mistero universale chiuso nella formula dispari della cabala perfetta.
La tragedia della farfalla, dove mi par di vedere la tragedia dell’umanità (chiusa nella sua prigione di tenebre, anelante, fra il bene e il male, alla luce eterna della perfezione immutabile) mi appassiona al punto che, tralasciato il fumare, io seguo i movimenti dell’insetto colla curiosità morbosa colla quale cercherei sul volto di un condannato a morte i segni dei moti interiori.
Ma questa condannata è una volontaria della morte, insensibile a tutta l’immensità che la circonda, nella volontà, disperata, di ottenere la gioia suprema.
La mano di mia moglie sta quasi per aprirsi, a ventaglio, sul vivo gioiello d’argento.
La farfalla non vede le formidabili creature curve a spiarla; ignora che non vedrà più luce quando l’ombra finirà di stendere l’ala cerulea sopra di lei.
– Vedi – osservo a mia moglie – fra te e codesta farfalla c’è la stessa differenza che passa fra noi e Dio.
» Ella non concepisce e non giunge a veder te, essere perfetto, in confronto a lei, più di quello che noi possiamo concepire o vedere Iddio, essere perfettissimo in confronto a noi... E tu la tieni ed Egli ci tiene in grembo.....
La mano s’è chiusa sopra l’insetto, delicatamente.
Di fra il pollice e l’indice egli sfugge, di nuovo, subito, senza sforzo alcuno.
Il volo concentrico porta la farfalla immediatamente sopra l’apertura dello scartoccio.
Batte il ventre contro il taglio del vetro bollente e ricade sull’orlo tondo della campana, da cui scivola giù, come un corpo morto, dalla rigonfiatura dentro all’orlo del cerchio di sostegno.
Si rialza subito e torna alla carica, volando due volte intorno al fuoco che di fondo al tubo lucente e radioso la invita.
Tutto il polline delle ali s’è dissolto al calore, la farfalla è obbligata ad attaccarsi ad un anello della catena, donde può ancora fissare, benchè un po’ di sbieco, la fiamma.
La vicenda drammatica ci interessa al punto che, tutti e due, io e mia moglie, seguiamo in piedi, coi volti protesi, le mani appuntate sulla tavola, i movimenti della farfalla.
Ma siamo all’ultima scena del dramma.
Ad un tratto la farfalla si stacca dalla catena piomba sull’orlo dello scartoccio e precipita, a picco, in mezzo al fuoco con cui s’immedesima, scomparendo nel nulla.
Per una frazione infinitesimale di secondo ella ha contribuito ad illuminarci.
L’insetto, espresso dall’ombra, ha finito col trasformarsi in luce.
Tutto è consumato.
Mia moglie si guarda, sul polpastrello del pollice, una tenuissima traccia di limatura d’argento.
Io riaccendo il sigaro, incapace di pensare o dire qualcosa.
Spengiamo il lume e si esce in giardino.
La luna è tramontata dietro le piante nere.
Piena, concorde, la violinata dei grilli si slancia nel cielo, aspirando alle stelle.