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LA
LIBERTÀ
– È un belato.....
– È un uccello.....
Il cavallo s’era fermato a ripigliar fiato, sbuffando, col barroccino di traverso, su per l’erta pallida fra mezzo alle macchie nere, e, nel silenzio, s’era udito quella specie di gemito, di belato, di grido soffocato, qualche cosa che nessuno di noi sarebbe riuscito a definire.
Eravamo rimasti lì, muti, colle orecchie tese, ma tutto era ripiombato nella quiete alta della notte; i monti si profilavano enormi, cupi, assorti, e, sopra, nel cielo freddo e sereno, brulicavano le stelle.
A un tratto mi venne un’idea, e, sceso dal barroccino, sfilai il lampione acceso dall’anello, e mi avviai dalla parte donde m’era parso di sentir provenire quel rumore strano.
La strada maestra era circondata da siepi basse e già pensavo fra di me che sarebbe stato inutile saltar la macchia ed entrare in uno dei campi circostanti, quando, nell’abbassare macchinalmente il lampione, la sua luce si proiettò al suolo e mi rivelò, tra un mucchio di sassi e un paracarri, certo sforo, o gattaiola, nella siepe, dove mi parve scorgere alcunchè di rossastro.
Allora proiettai la luce su codesto punto e mi chinai a guardare. Figurarsi la mia meraviglia quando riuscii a distinguere, nonostante la sua improvvisata immobilità, una volpacchiotta rimasta presa per una gamba in una grossa tagliola!
La volpe, probabilmente, udendo avvicinarsi il carrozzino, aveva tentato di dare uno strappo lasciando eroicamente lo zampetto dentro la morsa che glielo serrava, ma non c’era riuscita, forse perchè ancora troppo giovine.
Lo sforzo atroce le aveva strappato una specie di gemito, e, poichè probabilmente proprio in quell’istante s’era fermato il cavallo, noi avevamo potuto udirlo.
Rimasi qualche istante, curvo, a fissare la bestiola che mi guardava con occhi selvaggi pieni d’un’espressione di rammarico e d’odio di cui non potrò mai dimenticarmi, poi chiamai Bista, il vetturale, e gliela feci vedere anche a lui.
– Povera bestia! – disse Bista, che non era cattivo.
– Già! povera bestia! che si fa, ora? a lasciarla lì.....
– Si rode lo stinco e se ne va su tre gambe...
– Tu credi?
– Ne sono sicuro, come son sicuro di vedere lei!
– D’altro canto, se ci si accosta per liberarla c’è da avere uno di quei morsi!.....
– Codesto è positivo! ma lo sa che cosa si potrebbe fare?
– Sentiamo.....
– Si piglia il sacco del cavallo, gli si butta sulla testa e si stringe forte, a due o tre doppi, poi si apre la tagliola e gli si dà la via.
– E il sacco?
– Prima di scappare se ne libera da sè, non dubiti!
– Già..... ma, e chi lo fa codesto lavoro? io no davvero! io, per conto mio, posso farti lume.....
– Ci penso da me, stia tranquillo! ho fatto anche il bracconiere, quand’ero più giovane... Venga qua, alzi il lampione, chè piglio il sacco...
– Eccomi..... però, ora che ci penso, e se, invece, si agguantasse codesta volpe e si chiudesse in cassetta, in quella davanti al cruscotto, che è grande e si serra bene, e si portasse a casa?
– Per farne?
– Per addomesticarla!
– Ma lei, con rispetto parlando, è ammattito! Addomesticare una volpe? Sarebbe la stessa, scusi se parlo così, che dare il concio alle colonne!
– Eppure, voglio provare!
– Lei non ha un’idea di cos’è un animale salvatico davvero, e poi di questa età! ha passato l’anno, impossibile reggerlo, in qualunque posto.....
– Voglio provare!.....
– Contento lei.....
Bista prese il sacco, si raccomandò che gli tenessi il lume per benino, perchè la volpe faceva le grinze nel naso, scuoprendo certi canini che parevano punte di diamanti, poi srotolò il sacco, glielo buttò sulla testa, lo rigirò, strinse; io apersi la tagliola, e la volpe, agguantata per le zampe anteriori, fu portata verso il calesse.
– Faccia presto, mugolava Bista, mentre io cincischiavo ad aprire la cassetta, faccia presto per carità!
Come la volpe fu cacciata in cassetta e serrata a lucchetto, col sacco in capo, espressi a Bista il dubbio che potesse soffocare.
– Non dubiti, si arrangerà! guardi intanto come mi ha sistemato!
Capii allora il perchè delle raccomandazioni urgenti di Bista; la volpe colle zampe di dietro, dotate di solidissimi ugnelli, gli aveva graffiato ferocemente le mani che colavano sangue.
Mentre si ripigliava il viaggio, giù in cassetta si sentiva un gran tramenio, e Bista disse:
-Fortuna, che fra mezz’ora neanche siamo bell’e arrivati, se no.....
– Crederesti che potesse scappare anche di lì?
– Prima di giorno, ci scommetto qualunque cosa, contro nulla! Lo sa lei quel che ti fa, ora, quella bestiaccia? Piscia sul legno per infracidirlo un poco e poi a furia di denti e d’ugnoli lo rode e lo scheggia; adagio adagio fa un pertugio tanto che ci passi appena un topo grosso, una talpa di fogna e, siccome ha le giunture più snodate dei gatti, scorticandosi e graffiandosi, prima una zampa e dopo il muso, quindi la spalla e in seguito il resto, esce fuori, fa un lancio e chi s’è visto s’è visto!
– Lo chiami un po’ come vuole, ma la volpe in gabbia non ci sta. Ih! trotta, baio, corpo d’un serpente a sette code!
E siccome la via pianeggiava, il cavallo prese l’ambio e si buttò di galoppo facendoci traballare come fagotti.
Mentre si andava a ruzzoloni, in modo così disuguale e screanzato, io pensavo a quell’animale, ladro ma nobile, feroce nel suo indomito amore per la libertà. Non per la libertà collettiva, per la quale si uccide e si muore, ma per la libertà individuale; di conseguenza nel suo egoismo istintivo vi era il germe di uno dei più alti sentimenti umani. Mai, dunque, per nessuna ragione, la belva si sarebbe adattata alla servitù? Era questo che volevo sapere.
L’arrivo a casa costituì un avvenimento. Tutti mi furono dintorno per ascoltare dalla mia bocca la storia meravigliosa della volpacchiotta liberata dalla tagliola, e di andare a dormire nessuno avrebbe voluto saperne. Io però, essendo stanco, dichiarai che fino alla mattina seguente non avrei riattaccato la conversazione su quell’argomento e non avrei fatto veder l’animale, e congedai tutti con un palmo di muso.
In verità ero talmente imbarazzato circa il come avrei fatta uscir la volpe dalla cassetta e dove l’avrei cacciata per quella notte, che non mi pareva vero d’esser solo con Bista per consigliarmi un po’ con lui.
Fortunatamente Bista aveva già fatto il suo piano, imboccando il calesse all’uscio d’una retrostanza, accanto alla rimessa, dove stava il forno. La retrostanza era nuda, colle pareti lisce e una finestruola altissima. Il forno aveva la bocca a un metro e trenta d’altezza dal suolo e il cannone, esterno, si slanciava a picco contro il soffitto, dal quale sbucava sul tetto; ma il tiraggio era interno e la bocca del forno si chiudeva con una pesante saracinesca di ferro. Dunque per quella notte la volpe era sicura.
Le fu preparato un po’ di pasto, avanzi della cena, e un tegame pieno d’acqua; poi io mi misi, col lampione alzato e un randello in mano, accanto al calesse e Bista alzò lo sportello della cassetta.
La volpe fece un salto morbido come quello d’una palla di gomma elastica e Bista durò fatica ad essere in tempo a chiuder l’uscio, il quale, per fortuna, era foderato di lamiera. E così potemmo andare a letto tranquilli.
Ma la mattina, avanti l’alba, vennero a chiamarmi.
– Siete matti?
– È fuggita!
– Ma di dove? è fatata, forse?
– Una cosa semplicissinna. È montata sul davanzale del forno, s’è alzata in piedi, e colle zampe anteriori ha scalcinato in basso il cannone, quindi, ficcando gli unghielli nelle commettiture corrose dal fuoco, ha strappato un mezzo mattone; però, siccome non arrivava ad introdursi nel buco, perchè troppo alto per potersi aiutare colla leva delle gambe posteriori e slanciarvisi dentro, ha afferrato colle due zampe il manico della saracinesca e l’ha fatta cadere, schizzando indietro per non restarne schiacciata. Poi è risalita sul davanzale e, coi centimetri d’altezza acquistati per mezzo della saracinesca, è riuscita a cacciarsi nel buco e tanto ha fatto, cogli unghielli e colle spalle, che ha potuto entrarci tutta; dopo di che ha risalito comodamente il cannone e dal camino, nera come l’inchiostro, è sboccata sul tetto.
– Ora è lassù, accucciata sotto qualche embrice e chi la fa discendere è bravo!
– Per fortuna il tetto non ne ha altri vicini; se invece d’essere una casa di campagna fosse stata in mezzo a un paese.....
– A quest’ora chissà dove sarebbe!
– Oh! perbacco! esclamai, tutto arrabbiato saltando dal letto e cominciando febbrilmente a vestirmi, vedremo ora, fra l’uomo e la bestia, chi la vincerà! A noi due!
Dopo dieci minuti le scale venivano appoggiate al tetto e alcuni uomini, scalzi, salivano cauti e si davano all’esplorazione, divisi in maniera da circondare completamente l’animale. Qualcuno recava un corbello per acchiappare la volpe rovesciandoglielo addosso.
Ma il male si era che della volpe non si trovava traccia! Invano furono alzati i tegoli, gli embrici, ad uno ad uno, esplorati in tutti i cantucci i canali di sgrondo, le doccionate..... della bestiaccia nemmeno l’idea!
Di repente si sentì, giù in casa, un tramestio terribile.
– Correte! si gridava da ogni parte.
Gli uomini abbandonarono la caccia sui tetti e scesero a precipizio, mentre io mi slanciavo d’onde provenivano gli urli.
Trovai la cuoca quasi svenuta, perchè, a un tratto, un orribile animale color fuliggine le era piombato dalla cappa del camino dentro la padella che tendeva, sugli alari, per far soffriggere un po’ d’olio, sopra una fiammata di sterpi.
Nessun dubbio! si trattava della volpe.
Siccome al disperato grido di raccapriccio della cuoca s’era fatta sulla porta di cucina l’altra domestica, la volpe s’era slanciata verso l’unico uscio aperto, quello del pollaio. Fortunatamente i polli erano in cortile dove la vecchia Gegia dava loro il becchime. Ergo la bestiaccia non aveva potuto uscir fuori dalla piccola apertura riserbata al pollame davanti alla quale fu, immediatamente, posta la grossa pietra che serviva di notte a proibirne l’accesso persino alle faine, capaci d’insinuarsi dovunque, come l’acqua.....
Piano piano m’affacciai ad uno spiracolo dell’uscio del pollaio e vidi la volpe, sudicia, irriconoscibile, colla lingua rossa ciondoloni e i fianchi che le ansimavano in su e in giù come stantuffi, rincantucciata e disperata, con i soli occhi lucenti e mobili in tutto quell’arruffio di filiggine e di pelame sconvolto.
Richiusi, stropicciandomi le mani.
– Ci sei? – dissi ridendo – stacci!
«La terremo un poco a dieta perchè le si calmino i bollori e poi, per ingrazionircela, le regaleremo un bel tegame di ghiottonerie; ma prima se lo deve guadagnare!
La giornata trascorse svelta; bisognò chiamare il medico condotto per la cuoca alla quale si prese un insulto cardiaco, e per uno degli uomini che s’era fatto male a una gamba nello scendere, in fretta, dalla scala malferma. Poi arrivò anche il maestro muratore, perchè, come avevo preveduto, la corsa sul tetto dietro alla volpe per parte di quattro o cinque persone, sia pure, prudentemente scalze, era perfettamente logico che fosse riuscita a rimuovere quell’ordine rigoroso dei tegoli e degli embrici, interrotto il quale, piove nelle stanze come nei vagoni di certe linee ferrate.
La sera, dopo aver cenato e fatto il chilo, andai a dare un’occhiata ai polli che erano stati sistemati, per quella notte, nello stanzone dei limoni, e poi tenni consiglio di famiglia per decidere se si doveva o no dar da mangiare alla volpe.
Il consiglio fu ricco d’incidenti e prevalse l’opinione di nutrire la volpe e di darle da bere per paura che arrabbiasse. L’unico il quale votasse contro fu Bista.
E la volpe, quando entrarono nel pollaio e depositarono in terra un catino d’acqua e un bel tegame d’avanzi, fu trovata nella stessa precisa identica posizione in cui l’avevo lasciata io la mattina.
Così andammo a letto tranquilli ed io, non lo nego, molto soddisfatto di me. Tanto soddisfatto che mi pigliò quasi un accidente quando, il giorno dopo, aperto il pollaio, dovetti constatare che la volpe era fuggita da capo!
Ma di dove? ma come? ma con che mezzo?
La spiegazione la dette subito Bista esclamando: – Non poteva essere altrimenti con un pavimento sterrato!
Capite? La volpe, considerato che il suolo non era ammattonato, fece la gatta di Masino e attese la sua ora.
Aspettò, cioè, che tutti si fossero addormentati davvero, e rifocillata dal cibo che, incautamente, le avevo elargito, si mise, nel buio e nel silenzio, a scavare una buca sotto al semplice mattone per coltello il quale formava la parete esterna del pollaio, e tanto s’industriò da potere, avanti giorno, cacciarsi in quella specie di galleria, e riuscire all’aperto. Non basta! prima di andarsene, volle anche pigliarsi la più aspra vendetta. Perchè, introdottasi nello stanzone dei limoni da un pertugio, invisibile per chiunque, fuori che per lei, sgozzò tutti i polli, nessuno eccettuato, e poi se ne andò indisturbata e fiera delle sue mirabolanti gesta.
– Ecco! – urlava Bista, dandosi di gran pugni nel –capo – ecco la ricompensa del far bene «alla gente!».
» Gli ha salvato la vita, gli ha dato da mangiare, e l’ha corrisposto così! O che cosa voleva di più, santo Dio?».
Io feci, secco secco: – La libertà!
E Bista, colpito, mi guardò a stracciasacco e se ne andò, borbottando, dalla gran bile di non sapermi rispondere.