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PROCESSIONE
ALL’
IMPRUNETA
Spettacolo medioevale, e perciò pervaso da una specie di senso d’eternità così solenne, che quasi sgomenta.
Da tutti i monti circostanti alla collina resa famosa nei secoli dall’umile tavola di quercia dipinta a tempra dell’ignoto pittore prebizantino, erano scese, ed eran salite, quaruntuna compagnie, ciascuna munita di labari di seta, crociati, e di Crocefissi scolpiti sotto i ricchi baldacchini di velluto broccato tempestati di cartiglie in metalli preziosi.
I più grossi paesi, non solo del piviere, ma di altre giurisdizioni ecclesiastiche, avevano inviato rappresentanze di circoli con vessilli e con le rispettive bande musicali insieme ai prelati, ai parroci. Anche le offerte, innumerevoli, pervenute alla Basilica erano portate in processione, trionfalmente.
Ricordo un delizioso ciuchino d’un manto nero pendente al viola, cavalcato da un angioletto alato che sedeva gravemente, lampeggiando il riso di due occhi color delle more mature e d’una bocca scarlatta di sotto un casco di riccioli neri, in mezzo a due damigiane d’olio purissimo da ardere in qualche lampada del tempietto robbiano davanti all’Immagine incoronata di gemme chiusa nel tabernacolo dorato di Michelozzo.
Diecimila persone, arrivate improvvisamente lassù, con tutti i mezzi, a piedi, in barroccino, in diligenza, in «autobus» in «camion», assistevano allo sfilamento che durò, con esattezza, un’ora e dieci minuti!
La processione, mirabilmente coordinata, sfilò al suono, ininterrotto, di una dozzina di bande musicali.
Mancava lo spazio per poter distendere la imponentissima massa dei processionanti; ma lo spettacolo non fu, perciò, meno grandioso.
Perchè avendo il corteggio dovuto formare intorno al pozzo che sorge in mezzo alla piazza scoscesa, la chiocciola, ne resultò un colpo d’occhio inaspettatamente coreografico, ma di una maestà senza pari. Centinaia di stendardi di seta, bianchi, rossi, gialli, turchini, garrivano al dolce vento di maggio. La Basilica con tutte le porte spalancate, vigilate dalle sue torri, gravata dal peso dei secoli, ardeva di lumi e la grande Ancona tricuspidale dipinta dal Nelli e dal Del Mazza sulla fine del trecento raggiava in fondo, sull’altar maggiore, come un ostensorio colossale.
Fuori, il sole caldo del vespero sfiorava tutta quella selva di bandiere, dorandole e cavandone riflessi di gemme, mentre la folla, le uniformi, le cappe bianche delle compagnie, la policromia dei baldacchini, le porpore, il paonazzo delle mozzette, il candore azzurro dei veli delle fanciulle, le fiamme dei ceri, il nereggiar della folla, si fondevano in un tutto indescrivibile, ondeggiando tra i fumi degli incensi e il violetto trasparente dell’aria, come in una visione.
E ad un tratto, codesta selva di stendardi, di bandiere, di baldacchini, e di vessilli, ondeggianti in quella gloria di colori come in un affresco di Piero della Francesca, si abbassò. E tutta la folla, le diecimila persone, si buttarono in ginocchio.
E sulle diecimila teste curvate fu sollevata l’Immagine Taumaturga.
L’antichissima immagine greca parve sollevare sul popolo di Firenze, ancora una volta, la mano affilata benedicente, girando attorno gli occhi penetranti.
E perfino gli scettici sentirono che non era soltanto un’immagine dipinta più o meno egregiamente sopra una tavola di quercia, che loro sovrastava; e i credenti sentirono che anche qualcosa di più umanamente vicino, della Vergine Maria invocata nelle preghiere, stava su di essi.
Perchè, in verità, nella gloria dell’Italia nuova, libera di imposizioni odiose, e di gioghi negatori e distruttori, si inalzava, sulla foresta viva e splendente degli stendardi paciferi e vittoriosi, la tradizione eterna che spinge l’uomo, dalla sua prigione di carne a battere alle porte del cielo, si inalzava la bellezza, coi suoi artisti, coi suoi scrittori, coi suoi poeti; si levava la fede dei nostri padri, quella di cui si onorarono Michelangiolo e Dante.
E finalmente, quando in mezzo ad un uragano d’applausi, la Madonna rientrò nel tempio, tutti sentirono che, con lei, fulgida, trionfante, e indistruttibile, passava la Patria.