Ferdinando Paolieri: Raccolta di opere
Ferdinando Paolieri
Uomini e bestie
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CONTRABBANDO

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CONTRABBANDO

 

 

Il terribile dissidio fra il sor Giuseppe, ufficiale di dogana, il sergente di servizio e Don Ambrogio, il pievano, aveva delle origini umili.

Lungo l'argine del canale erano, in riga, le garette cenerognole delle guardie di finanza; sullo stradone, in una casetta bianca, era la parrocchia, più avanti, il corpo di guardia e, in fondo all'orizzonte si stendeva la riserva famosa.

Una notte in cui l'acqua veniva a rovesci, come Dio solo la sa mandare, fra mezzo a schianti secchi di folgori, a raffiche urlanti, a ruscelli gorgoglianti da tutte le parti, "Nicche", il famoso contrabbandiere, aveva fatto saltare il fosso a un bue vivo, un bue delle chiane, alto due metri, che i finanzieri videro soltanto sfumare nel pulviscolo fitto della pioggia al fulgor d'un baleno, come una fantasma bianca.

Un altro giorno, sur una chiatta, passò la carogna d'un ciuco enorme, smisuratamente gonfio, morto affogato nel padule; dietro al carretto, tirato a fatica da un ragazzuccio, piagnucolava una donna....

Ma nel ventre del ciuco eran cuciti fagiani e beccacce e la donna piangente era, viceversa, un uomo.

Tutte e due le volte, per dire il vero, il terribile capo-dogana, un uomo dai baffi e dai capelli neri come il carbone, era assente.

Invitato dal pievano a una partita alle primiere, non aveva saputo resistere alla tentazione, tanto più che Don Ambrogio teneva chiusi in dispensa certi fiaschi d'un vino da far risuscitare i morti.

Però, la seconda volta, il sor Giuseppe, uscito dai gangheri, se la rifece anche col pievano bontempone, il quale non istiè sulle sue e disse quel che aveva da dire sullo zelo e sull'oculatezza del funzionario, il quale giurò e spergiurò che, sacramento! avrebber visto chi fosse; e lo gridò ben forte perchè sentisse chi doveva sentirlo, vale a dire il sergente che aveva sempre sui labbri un certo sorrisetto....

Intanto si guardò bene dal metter piede in casa di quell'unto del diavolo che gli portava l'jettatura; ci sarebbe tornato a battaglia vinta e col trofeo della vittoria in mano; cosa di cui il sergente ridicchiando tra se e , dubitava moltissimo!

Una mattina, era d'inverno, una di quelle mattinate di paradiso nelle quali il cielo è d'un azzurro da sembrar dipinto e le case paion tutte imbiancate di fresco, il sor Giuseppe passeggiava in su e in giù, nervosamente, sotto la tettoia bassa, guardando con ira il sergente delle guardie che se la fumava come se fosse stato in villeggiatura, quando una specie di vagabondo tutto strapanato che s'abbatteva a passar di , si fermò, dando un'occhiata in giro, e figurando d'accendere un mozzicone che s'ostinava a non pigliare, disse, adagio: Dei lumi di luna come stanotte... mai visti! E tirò diritto fischiettando.

Il sor Giuseppe, diventato di porpora, si fregò le mani; poi chiamò il sergente e gli disse: Mi dica la verità, ci ha capito nulla, lei?

— Io? no.

Vede, sacramento! cosa vuol dire l'intelligenza... sa lei cosa c'era sotto a quella frase?

— Io? no.

— E io invece, sacramento! lo so benone.

Belle forze! se hanno combinato....

Macchè combinato! o la logica, scusi? voleva dire: Stanotte sarà lume di luna e i bracconieri vanno all'aspetto ad ammazzare un capo grosso! ecco, caro lei; e ora in gamba e stanotte, sacramento! ci guadagneremo la promozione. —

E andarono a bere, contenti come se avessero bell'e fatto il colpo.

Anche quella sera Don Ambrogio, rimasto senza il compagno per la consueta partita, s'era bell'e rassegnato a andare a letto, per dir la frase sua, come le bestie, quando sentì bussare discretamente alla porta di strada.

Corse, lesto, da , ad aprire tutto contento, imaginandosi che il sor Giuseppe si fosse pentito, ma rimase stupito vedendosi dinanzi un brutto ceffo male in arnese e dal contegno sospetto.

Il pievano riconobbe subito con chi aveva da fare; pur troppo nella sua parrocchia ce n'aveva di quei malanni!

— Che c'è? domandò brusco.

— Una parola, in segretezza e in furia, sor pievano....

Passate... e lo introduceva, a malincuore colla mano sempre sul paletto dell'uscio.

Senta.... s'era all'aspetto.... ma mi raccomando!

Sigillo di confessione! con chi credete di parlare?

— Lo so; lei è un prete galantuomo... dunque, dia retta a me: s'era al cinghiale, s'è sentito sfrascheggiare, uno ha tirato....

— Per.... micio bacco! e chi ha colto, invece?

— Lo "Stanga".... è a due miglia di qui, quasi sulla strada.... se campa un'ora è un miracolo.... la grande emorragia... lei lo sa, siamo bestiacce, ma in certi momenti....

— Lo credo io, preme riconciliarsi col Signore!

Don Ambrogio, svelto, disse una parola alla donna, pigliò la sacchetta dell'olio santo, poi brontolando fra . "È meglio tenersi amici tutti....", scese in istalla e cominciò a attaccare la cavallina aiutato dal bracconiere che pareva avesse l'elettricità nelle mani.

Badi, avvertì questi, che stanotte è un freddo da morire.... si copra bene....

— Già, quel freddo asciutto eh?.... se attaccassi la giardinierina coperta?

— È una polmonite risparmiata di certo.

In dieci minuti la cavallina baia scalpitava fra le stanghe di una vetturetta graziosissima, orgoglio del pievano e lusso che si poteva permettere il titolare di una chiesa come la sua a due passi da un luogo di bagnature, dove piovevano le messe da venti lire.

Don Ambrogio prese le redini, scrutando la strada per l'apertura della vetràge da inverno, poco più che bastante a far passare le guide elegantemente appoggiate a un cilindro d'ottone lucente, mentre il compagno si rannicchiava in un cantuccio, formando un corpo solo coll'ombra del mantice duro, completamente "montato" a vettura chiusa; e partirono.

Passando davanti al corpo di guardia, il sor Giuseppe che s'era precipitato fuori come un razzo, urlò al pievano: Malati gravi?

Ma non gli rispose che il ruzzolìo delle ruote che volavano sul piano levigato e sonoro della strada gelata e liscia come un pallaio sotto la luna tonda.

— L'ha proprio presa co' denti, brontolò il sor Giuseppe ravvolgendosi in una nube di fumo; ma sacramento! stanotte gliela farò veder io... però dopo aver camminato in su e in giù un bel pezzo per riscaldarsi, finì col ritornare accanto al fuoco, in mezzo al fumo asfissiante delle pipe dei doganieri e: Sacramento! non si vede nessuno! disse, assidendosi, di malumore.

— Avranno sbagliato il colpo! rispose brusco il graduato rizzandosi di malavoglia perchè il sor Giuseppe lo guardava con occhio espressivo e, ammantellandosi, prese ingrugnato la via dell'uscio per non lasciar la strada inesplorata.

La luna, via via che saliva sull'orizzonte, spandeva un lume più chiaro e il freddo pareva aumentasse d'intensità con la luce; ormai tutto, la strada, i campi, le macchie, le case bianche, scintillava come d'argento e il pover uomo marcava il passo alla bersagliera, avanti e indietro, contando mentalmente, per passare il tempo, gli anni che avanzavano ancora per trovarsi un impieguccio e andare in pensione.

Suonò la mezzanotte, suonò il tocco; il tempo non passava mai; passò invece di trotto serrato il calessino del pievano che il sergente salutò piantandosi sugli attenti; ma Don Ambrogio non rispose al saluto.

L'occasione di ritornare intorno al fuoco non poteva esser migliore, e di ad un minuto tutto il corpo di guardia sapeva che Don Ambrogio dalla gran bile d'esser stato abbandonato, aveva fatto il muso anche al sergente, e per una mezz'ora fu tutto un ridere e uno scherzare sul prete a cui neanche il vino era buono a levar la stizza di dosso.

Però il sor Giuseppe, il quale era agitato da un leggero tremito nervoso tutte le volte che sorprendeva un fugace sorriso errante sui baffi del finanziere, stava per ritornare bravamente in vedetta, quando sull'uscio incrociò con la Menica che entrava come una bomba rinvoltata in uno sciallino a fiorami e a pèneri che in tutt'altra circostanza avrebbe mandato in visibilio l'intera brigata.

— Ah! sor Giuseppe! la gran disgrazia!

— Che c'è?

— Ma non sa nulla?

— O che volete ch'i' sappia.

— Mi dia da sedere, per carità, mi sento male.... è successo una gran disgrazia al pievano....

Sacramento! dove? come? quando?...

— Non lo so.... grossa di certo.... — Ma se non lo sapete voi!! che rebus è questo?

— O sentano; io ero rimasta levata perchè anche quando il pievano è fuori, capiranno.... e poi ci avevo da rimendargli....

— Ma andate avanti, sacramento!

Fatto sta che ho sentito passare un cavallo, che, al trotto, mi pareva, viceversa, la cavalla del pievano....

— Non vi pareva; eraperchè il pievano l'ho visto io, coi miei occhi, tornare a casa.

— Lei ha visto il pievano, signor sergente?

— Come vedo voi, e l'ho anche salutato, ma non mi ha risposto....

Dio di misericordia! per forza non ha risposto; l'anno assassinato!

Assassinato?!!

E tutti si levarono in piedi, tumultuosamente.

— O cosa voglion che gli sia successo, se giù all'uscio, ho sentito, dopo mezz'ora, il trotto della cavalla, che si fermava e sono scesa giù.... e ho trovato.... Oh! signori miei, di quelli spaventi!

— Ma cosa avete trovato sacramento?

— La cavalla, il calesse e il vestito, capiscono? il vestito di Don Ambrogio!

— Il vestito?!

— La tonaca, proprio.

Sacramento! c'è un delitto di certo e un bel delitto, esclamò il sor Giuseppe che leggeva le geste del poliziotto dilettante; e... non avete trovato altro?

— Ah! mi dimenticavo del meglio. Rinvoltato nella tonaca, indovini cosa c'era?

— Cosa?

— Gliela in mille!

— Non ci tenete sulla gruccia!

C'era un cosciotto di cervo.

Il sor Giuseppe, congestionato, fulminò il sergente che questa volta si mangiava i baffi addirittura; poi esclamando: "Ah! ma Don Ambrogio ci spiegherà...." balzò fuori dalla stanzuccia seguito dall'intero picchetto e dalla Menica che si torceva le mani e soffocava i singulti nello sciallone alla rococò.

Non erano arrivati alla parrocchia che sull'uscio videro Don Ambrogio ridotto in uno stato da far compassione ai sassi e scoppiò una tempesta di domande.

Ma il prete, smozzicando le parole e balbettando: "A lei solo.... a lei solo...." trascinò il sor Giuseppe in camera sua e chiuse la porta.

— O senta, gli disse appena furono ben soli, nomi non ne faccio, neanche se mi ammazzassero; ma il fatto, così com'è successo, è questo qua.

E cominciò a raccontare, colla voce tanto bassa che il sor Giuseppe era costretto a tenersi una mano all'orecchio, e interrompendosi ogni tantino per dare un'occhiata all'uscio, da quando fu chiamato per l'olio santo fino al punto in cui si trovò sulla strada in mezzo alla macchia a due miglia dall'abitato.

Cominciavo a impensierirmi, quando quella persona che aveva preso le redini, voltò a sinistra. La macchia s'aprì come uno scenario e apparve il cielo tutto bianco, contro il quale sfumavano le sagome degli alberi alti, e un prato acquitrinoso, tutto sprazzi e scintilli, su cui era un gruppo di gente e fui aiutato a smontare dal predellino e fatto segno a mille garbatezze. Io cercavo del ferito e allora mi portarono in fondo alla radura, s'aprirono, rispettosamente, io mi chinai e vidi.... un magnifico cervo sdraiato di quarto sull'erba colle quattro zampe irrigidite!

— Ma questo, urlai, è un tradimento! Dove volete andare a cascare?

— O senta, mi risposero, questa bestia, salvo le corna, deve passare in città bella e intera come la vede....

— O cosa c'entro io'?

— Lei c'entra e come! ora vedrà....

C'era poco da dire, sa? dietro le parole melate, capisce? spuntavano i musi duri de' contrabbandieri.... i quali, ora, mi tenevano stesa dinanzi una casentinese col pelo mentre qualcuno mi alleggeriva della tonaca lunga da inverno....

Lesto, s'infili questa, se no piglia un malanno....

— Ma cosa fate? cosa volete? la sacchetta dell'olio santo....

— Eccola.... a me il nicchio.... si calchi in capo questo berretto... se lo tiri giù... bravo... così.... sta caldo sor pievano?

— Io balbettavo, battevo i denti nonostante la cappa grave, mentre due di quei malanni alzavano il cervo e due gl'infilavano la tonaca, la mia tonaca capisce? per le maniche nelle zampe anteriori, l'abbottonavano con uno sforzo (sentii il crac della stoffa!) sul groppone della bestia, le attaccavano il talare sotto il colletto, poi la cacciavano in vettura ripiegandola nel mio posto a furia di pugni nella pancia!

Sacramento!

Infine curvarono il muso dell'animale sul petto, gli cacciarono in testa il mio nicchio tirandoglielo giù fin sul naso, Nicche.... maledetto! m'è scappata....

Nicche?!

— In persona, montò accanto al cervo, prese le redini, e la cavallina baia tutta ravvolta in una nuvola di nebbia per il pelo che le fumava sotto quel freddo acuto, squassò la criniera e partì di galoppo.

— E.... lei?

— Io, me ne son dovuto tornare a piedi, in quell'arnese.... lo creda a me, sulla mia coscienza; io son vivo per un prodigio del Cielo!

— E ora? chiese il sor Giuseppe, completamente disfatto, e ora?

Ora... prima di tutto direi di stare zitti...

Sacramento!

Zitti come l'olio.... per me.... ma.... anche per lei.... ci pensi bene.... e poi.... si potrebbe mangiare insieme quel cosciotto di cervo.... ci pensi bene....

Sacramento! ci ho bell'e pensato. Invitiamo anche il sergente?

E lo invitarono, e quando ebbero mangiato e bevuto e furon certi che anche lui era satollo di carne di contrabbando, gli dissero la verità.

Il sergente ascoltò, mordendosi i baffi, poi si rivolse all'ufficiale di dogana con mal celata soddisfazione: In fin de' conti, insinuò stropicciandosi le mani, mi pare che gliel'abbiano accoccata.... gliel'hanno passato intero!

Sacramento! urlò il sor Giuseppe, scattando trionfante, ma lei.... gli ha anche fatto il saluto!

E poichè Don Ambrogio si alzava col calice in mano, si levarono in piedi anche loro due e toccarono insieme i bicchieri, riconciliati.

 

 

 

 

 


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