Ferdinando Paolieri: Raccolta di opere
Ferdinando Paolieri
Uomini e bestie
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STORIA D'UN GATTO

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STORIA D'UN GATTO

 

 

Arrivato a Vittorio alla vigilia del più bel Natale d'Italia, dopo sei o sette ore di sballottamento in un camion duro come una biga, con nelle ossa tutto il freddo umido e nebbioso che ci regalano le sponde del Piave (veramente si direbbe della Piave ma ormai, l'errore è stato consacrato dai bollettini alla storia!) non mi misi le mani nei capelli per la buona ragione che non ce li ho, ma mi disperai parecchio prima di poter trovare una camera dove riposare le ossa stroncate. La cercai, secondo il mio solito, fuori dell'abitato e la rinvenni in una casetta decente, dove, al fuoco d'un camino non ancora così moderno da non potersi dir Veneto ma neanche tanto poco veneto da potersi dire Friulano, mi sedetti in compagnia di una vecchia e di un gatto.

Al gatto buttai gli avanzi d'una scatoletta di carne che mi divorai con appetito invidiabile, alla vecchia una buona notte assonnata, e mi ritirai per dormire.

Il gatto mi seguì, la vecchia fortunatamente, no!

Entrato a letto, il gatto mi si posò aggomitolato sui piedi e siccome teneva caldo, ma faceva delle fusa terribili, lo pregai cortesemente di smettere.

Aderì, come con uno sproposito d'italiano si suol dire oggi, e si mise a discorrere affabilmente con me.

"Io sono stato il primo essere vivente, mi disse il gatto, che abbia veduto il primo lancere italiano entrato in Vittorio. Gli devo aver fatto uno strano effetto perchè ero.... impiccato.

Impiccato?!

"Sì. Gli austriaci non conoscono altro modo di dar la morte. La morte appare per loro sotto le forme di qualche cosa che ciondola. Ma lasciamo lo scherzo. La signora che ti ospita aveva una sorella, che, a sua volta, possedeva un gatto, ma di sesso femminile. Le notti gelate, quando s'affaccia la luna di dietro l'opacità di bosco Cansiglio e splende sui tetti di Vittorio addormentato, io, che da più giovane avevo una discreta voce di tenore, facevo delle serenate lunghe insieme a codesta creatura dal pelo soffice e dagli occhi verdi, come quelli delle donne che piacciono oggi a voialtri uomini. Cacciavamo anche insieme. Le arvicole, i terribili topi di questi paesi, temevano molto la coppia. Si finì per amarci intensamente e una oscura notte di burrasca nella quale dovemmo star confinati nel solaio senza poterci muovere ruzzare, finimmo nelle braccia l'uno dell'altra e ci giurammo di non dividerci più.

"Assistemmo al ripiegamento del '17 e, seguendo l'esempio delle nostre due padrone, ci guardammo bene dall'uscire di casa, dove ogni giorno, andavano ed arrivavano ufficiali italiani coi loro attendenti. C'erano in paese polli, uova e vino. Noi ci facemmo delle spanciate cogli avanzi dei pasti, dei ranci e via dicendo. Ti dirò francamente che io sento profondamente la patria. Non ridere. Lo so; ci sono degli uomini, tra voialtri, i quali in base a certe teorie che chiamano filosofiche, hanno perduto questo sentimento. Ma forse non sanno, o se lo sanno peggio per loro, che essi commettono un peccato contro natura più che contro l'etica. In una parola (non ti meravigliare se parlo pulito come si dice nel Veneto; ma ho studiato per diletto qualche poco) io l'amore alla Patria lo credo una specie di stimmate particolare ad ogni razza; è... fisiologico, prima che psicologico. Anzi io che vivo di rapina e quindi dovrei essere futurista, sono nientedimeno che campanilista, quindi passatista; anzi non c'è epiteto capace di qualificarmi perchè io sono addirittura muralista, vale a dire m'attacco alle mura dell'abitazione dove sono nato e cresciuto. Questa candida e simpatica qualità di noi gatti fu quella che perdette la mia amata compagna; la chiamo così perchè, come tu sai, mentre voialtri uomini v'affannate tanto a codificare l'amore e a trovare il modo di renderlo libero e discutete intorno alle questioni legali e religiose, noi bestie abbiamo invece superato da tempo queste convenzionalità e l'amore libero per noi è una legge assoluta, non conosciamo il divorzio e le corna non le vediamo altro che sulla testa de' bovi!

"Ma io mi divago; scusa se qualche volta, nel parlare, vado forse oltre la tua stessa cultura (io ringraziai con un cenno del capo) e.... procediamo con ordine.

"Appena partito di qui l'ultimo soldato italiano e arrivati gli austriaci, mi sentii gelare. E non soltanto perchè sono profondamente veneto, di qui, di questa casa, quindi italiano, ma perchè l'odore di noialtri italiani è troppo differente da quello degli austriaci.

"Gli austriaci, ma sopra tutto i Croati, puzzano di selvatico. Credi però che il puzzo dei Croati è tale da farti svenire. Sei mai entrato in un serraglio di bestie feroci? Sentendoti parlare così bene il nostro linguaggio gutturale parrebbe di sì; dunque, figurati quell'odore acuto di roba fetida e marcia che ti mozza il respiro e avrai l'idea della dolce ondata di profumo che precedette l'arrivo degli Austriaci.

"Poi ci fu il secondo colpo, o, come dicono quei ciarlatani degli scenziati, (sai che alla scienza, noi bestie, non ci crediamo) il trauma psichico, e questo consistè, per noi gatti, nell'odore del rancio austriaco.

"Sentimmo subito che si trattava di gente arrivata all'estremo delle loro risorse; ma questo non fu nulla in confronto al terzo colpo, a quando cioè, io e la mia gatta, ci accorgemmo che il piatto preferito degli Austriaci era il salmì di topi di chiavica.

"Vivessi mille anni non dimenticherò mai le occhiate che ci scambiammo. Perchè chi mangia il topo è evidente che è capace anche di arrivare fino al gatto!

"Difatti la caccia ai topi e ai gatti diventò spietata fino dai primi giorni dell'occupazione e la nostra vita, quindi, trasformata in un vero inferno. Addio passeggiate sui tetti, addio dolci ron-ron intorno al foco, addio cacce emozionanti nell'orto, nel solaio, nel granaio, addio balzelli pazienti alla bocca della chiavica, meno fetente della cucina del comando austriaco dove si cucinava di tutto, meno che della carne mangereccia o delle verdure di campo.

"Fu così che la vigilia di Natale del 1917 io perdetti la mia metà. Non la rividi più; cioè la rividi, ma, orrore! in un vassoio, spellata e accomodata per bene allo scopo di far bella mostra di come piatto forte per la tavola del comandante.

"E capii anche il valore delle occhiate golose che mi davano i soldati addetti alla mensa, occhiate impotenti di gente che mi desiderava, sapendo però che ero un boccone troppo prelibato per loro. In certa maniera diventai sacro e intangibile per questa proprietà di esser destinato alla tavola del signor colonnello. Restava a sapersi quando sarebbe arrivato il momento.

"Per fortuna fra il dispiacere della morte di Minny e quello struggimento di sapermi destinato a così brutta fine, perdei l'appetito e diventai una mummia, uno scheletro l'ombra di me stesso; detti in tisico, mi vennero la tosse e il moccio e il comandante perdette la voglia di mangiarmi.

"Alla fine di primavera mi buttai alla campagna, vissi di uccelli e di topi campagnoli, rifeci il pelame, m'ingrassai. Nuove preoccupazioni!.... Così passai anche l'estate.

"L'autunno, rigido fuor di misura, mi ricacciò al piano.

"La vecchia sorella della attuale padrona superstite morì di crepacuore e di stenti e, al mio ritorno trovai la casa occupata da un plotone di Croati.

"Mi disponevo a tornar via, nonostante le carezze della povera donna per cui rappresentavo un pezzetto di patria, quando un terribile bombardamento faceva scrollare la città dalle fondamenta. Per varie notti fu un via vai di carriaggi e di artiglierie. Che cosa succedeva? Decisi d'uscire all'aperto per sincerarmene, ma un Croato mi tirò una legnata, proprio sull'uscio, mentre sgusciavo fuori.

"Mi presero, semivivo e decisero di fare con me l'ultimo pasto. Mi posero un laccio al collo e m'attaccarono ad un chiodo fuori dell'uscio. Noi gatti siam duri a morire; negli spasimi della lunga agonia mi parve di sentir suonare, dopo tanto, l'unica campana rimasta in paese.

"Ed era vero; suonava a gloria e a vittoria.

"Gli sterminatori di topi, i mangiatori di gatti fuggivano davanti allo slancio degl'italiani inferociti alla vista dello strazio fatto alla loro terra.

"Col laccio che mi serrava la gola, sentendomi morire, ebbi quella visione della vita trascorsa che è propria a tutti i moribondi; rividi il corpo delicato della mia diletta intento a rosolarsi in fricassea e ripensai con terrore alla decomposizione chimica di quelle membra che avevo baciate con tanto trasporto!

"Certo i Croati mi avevano impiccato a quel modo perchè morissi senza perder sangue e frollassi meglio, ma io pensai che gl'italiani trovandomi così, mi avrebbero additato alla riconoscenza nazionale e, forse, inalzato un monumento: Al più italiano dei gatti — che affrontò il martiriopiuttosto che miagolare in Islavo!

"Mentre stavo per abbandonarmi alla morte cullato da questa mesta illusione, sentii un galoppo di cavalli e delle voci. Erano voci di Italiani! Poi entrarono nell'orto, dal cancello, e arrestarono i cavalli.

— Hanno impiccato anche un gatto!

"Un lanciere italiano scese da cavallo, mi tagliò la corda che mi serrava la gola, ed esclamò: la corda degli appiccati porta fortuna... ma che ve pozzino!... puro li gatti fanno martiri della redenzione, questi boiaccia!

"E mi mise in libertà; poi colla fune del mio laccio legò in cima alla lancia un drappo tricolore che si levò di sotto la giubba, rimontò a cavallo e corse a issarlo sul balcone del municipio, mentre io, miagolando, mi strascicavo per le scale in cerca della padrona che tremava di paura e singhiozzava di gioia....

"La campana squillava sempre....

 

 

 


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