Ferdinando Paolieri: Raccolta di opere
Ferdinando Paolieri
Novelle agrodolci
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CONTRATTEMPI.

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CONTRATTEMPI.

 

Nulla. L'esposizione s'era chiusa e non aveva venduto nulla.

Veramente quasi nessuno aveva venduto niente, salvo i soliti tre o quattro candidati perpetui ai consueti acquisti ufficiali, ma egli non sapeva capacitarsi dell'indifferenza dei collezionisti dopo quel che aveva detto la critica, la critica vera, quella difficile, arcigna, colla smorfia perenne di sdegno sulle labbra, della sua opera tanto originale e sudata.

Eppure alla segreteria gli dissero che nessuno s'era fatto vivo, nemmeno per offrire una cifra irrisoria.

Andò, col giornale in tasca che conteneva l'articolo del terribile critico Frediani, articolo che era tutto un inno, dal collezionista più generoso, ma era partito per affari del suo commercio; anzi gli dissero che ormai non faceva più acquisti, perchè c'era la crisi e aveva perduto non so che somme in certe speculazioni sbagliate.

Si dovè portar via i quadri, da , sotto il braccio, giacchè eran piccoli, per non spender gli ultimi centesimi in un facchino, e si ridusse a contemplarseli nella camera dove abitava, sopra i tetti, come Rodolfo, per mancanza di uno studio decente.

La mattina dopo strizzò il resto dei colori sopra la tavolozza e, per tempissimo, si mise in cammino.

Girovagò alla ventura, in cerca d'un soggetto, senza trovarlo.

Però, a vagabondare a quel modo, godendo il respiro della campagna benedetta da un languido solicello invernale, si sentiva puro e felice, quasi incorporeo, senza curare i richiami dello stomaco, senza preoccupazione del vestito che ragnava, ben coperto dal maglione che, per fortuna, gli avevano lasciato quando si congedò di sotto l'armi, dopo la guerra.

Almeno, allora, mangiava due volte al giorno e la mattina prendeva il caffè.

Gli avevano detto: vedrai, dopo la guerra... ci sarà da fare per tutti....

E tutti, o quasi tutti, s'erano occupati, chi in un modo, chi in un altro.

Lui no; lui non sapeva far nulla, altro che armonizzare colori, senza precisar forme e particolari, come avrebbero voluto quelli che comprano.

La critica aveva detto: sinfonie di colori, originali, gustose, saporite, questo artista ha davanti a la gloria.

Ma che cos'è la gloria? E se il pubblico di queste cose non sa che farsene? e se a lui non riusciva di far altro?

Appena alzato il capo dalla breve tavoletta dove riassumeva in poche note squillanti di colore, tutto il mondo, come lo vedeva lui, si trovava spaesato.

Il padrone di casa, che avanzava non so quanti mesi di fitto, gli aveva detto: Mi decori il salotto da desinare e si fa pari.

Ci s'era provato, ma ai primi saggi il padrone si cacciò le mani nei capelli.

- Ma che cosa mi fa? io voglio una balza a finto marmo, e poi un colore unito alle pareti e, nel soffitto, un rosone colle luci, da attaccarci la lampada coll'abat-jour, ma un rosone che paia vero!

E lui non aveva saputo farglielo.

Ma non sapeva far nulla, dunque? Oh! sì, sapeva.

Ecco, la chiesa col campanile, il monte di pini dietro, l'oliveta in primo piano, e il nastro bianco della strada.

Tutto vedeva ridotto alla più semplice espressione, era l'anima del paesaggio, non il paesaggio, che vedeva.

Si mise a sedere sul panchettino, all'ombra, socchiuse gli occhi come un gatto quando sente carezzarsi sotto la gola, o, per qualsiasi altro motivo, prova piacere, e cominciò a dipingere adagio, adagio.

Mescolava i colori, molto li mescolava sulla tavolozza, e si compiaceva a gustare collo sguardo, lo smalto che ne risultava.

Belli smalti, lucidi, puri. Azzurro intenso, giallo d'oro antico, violetto pallido, verde rossiccio caldo, madreperla argentea, un po' rosea, per le nubi.

Ecco la macchia del campanile, il blù del cielo della bifora (niente campane) la nota rossa del tetto, il pallore dell'oliveta, il piano largo, solido, nudo, della strada.

Che piacere, che delizia!

Le campane suonavano e lui non ce le aveva dipinte; non vedeva che macchie, essenziali, precise, digradanti per piani in modo miracoloso, legate fra loro da una armonia che le fondeva in un motivo unico, dominante come una nota sovrana.

Arrivava fino all'artista odore d'arrosto, di pan casalingo, di fumo amarognolo di fascine buttate a bruciare ancora stillanti di guazza.

Ora, contro il verde rossiccio cupo del monte, gettava la madreperla di quel nuvolo, scomparso quasi subito.

E tutta la tavoletta s'illuminava.

Ah! che piacere, alzarsi, far tre passi indietro,  e contemplare quell'accordo di tòni fusi in un unico motivo solare!

- Bei colori!

Disse una voce fresca allo spalle del pittore che si voltò e vide una bella signorina che guardava il quadretto, stuzzicandosi i denti.

- Le piace?

- Molto. Ora però ci farà le campane, i pini, i tegoli, gli ulivi, e, nella strada, le rotate delle vetture, non è vero? Ci metta una figurina. Vuole che le posi io? Vado a prendere una mantiglia rossa, ma ci faccia le frange ben visibili.

Sparì, lasciando l'artista rimbecillito come se gli avessero tirato una legnata nel capo e ritornò colla mantiglia e con un giovinotto, glabro, con dei gran capelli ritti sulla testa come quelli d'un clown, che, con aria annoiata, fumava una sigaretta.

- Mi ci fa?

- Ma.... è impossibile.

- Capisco.... ormai la pittura è fresca.... ma ci faccia le campane, non posso vedere quel campanile ignudo! aspetti.... vuol dipinger la villa? Babbo se la dipingesse, gliela comprerebbe, forse....

- Ma, Fosca! - disse il giovine, annoiato.

- Sì, sì.... l'ha detto tante volte. Ma bisogna che lei la dipinga dalla parte dell'ingresso e ci faccia i due cani di terracotta; babbo ci tiene sopra ogni cosa. Scusi, ma come fa a vedere questa strada così gialla? Dipingo anch'io, sa.... e me ne intendo.... Sono allieva del professor Precisini. Lui dice che gli olivi si fanno colla biacca, terra gialla, verde smeraldo, giallo cromo, e una puntina di lacca.... e lei invece li vede violetti? O i rami perché non ce li ha fatti? E come fa a vedere i nuvoli di quel colore.... scusi, o non son bianchi?

- Ma, signorina.... lei dipinge così, come vede?

- O come vuol che dipinga? Oh! questa è bella! Mi dispiace di non averci il dipinto che ho fatto lo scorso agosto, da questo medesimo punto di vista. Si contavano i tegoli del tetto e l'ho venduto a un amico del babbo... Dio mio! venduto proprio, no.... mi ha regalato quest'anello d'oro.

- Ma Fosca! - riprese il giovine con aria annoiata. E al pittore, offrendo il pacchetto: - Vuole una giubek?

- Grazie.... ma.... non ho mangiato.

- Capisco. Allora, buon appetito. Andiamo, Fosca.

Si allontanarono e il pittore sentì che Fosca diceva: - Peccato! perché i colori li trova bene....

Il pittore rimise a posto i tubetti di colore streminziti, la tavoletta, pulì i pennelli con un resticciòlo d'acqua ragia che trovò in fondo a una boccetta e s'avviò giù per la viottola.

Poi, vedendo che s'avvicinava alla villa, tutta dipinta di celeste, con i cani di terracotta, tornò indietro e si cacciò per i campi.

Un cane gli si fogò incontro, ma per fortuna il contadino lo agguantò per il collare e con una pedata lo mandò a cuccia.

L'artista, digiuno da tante ore, saranno state almeno le tre del pomeriggio, ebbe un rimescolamento di sangue, diventò bianco come un cencio di bucato e mancò poco non cascasse svenuto sur una proda.

II contadino gli chiese: - O che ha avuto paura?

Il pittore si guardò intorno, e rispose a occhi bassi: Per dir la verità, non ho mangiato da ieri.... se vi contentate mi satollerei con quelle mele cadute dall'albero che vedo in terra.

- Ma che gli pare! - rispose il contadino - venga a casa con me, se lei si degna, ci ho un boccone di minestra di magro diaccia e un bicchier di vinello. Via! non faccia cerimonie.... la fame i birbanti e i vagabondi non la patiscon di certo e lei m'ha l'aria d'un galantòmo.

II pittore mangiò come un lupo, mentre il contadino lo guardava, compiaciuto, dando ogni tanto una pedata al cane che non si voleva assuefare all'ospite e ringhiava, di sotto una panca.

Come l'artista ebbe terminato di mangiare, il contadino gli disse: - E ora, fra me e lei, si deve combinare un affare. Nella stalla delle vacche mi ci manca Sant'Antonio. Me lo vuol dipingere, per bene, col maiale (non pregiudicando nessuno) e ogni cosa? Gli venticinque lire.

Il pittore non rispose. Prese la cassetta, l'aprì, e fece vedere al committente che aveva finito i colori!

Questa storiella io la riseppi dal contadino il quale riconobbe molti anni dopo, in casa dei medesimi padroni, la tavoletta rossa, violetta, azzurra e dorata che il povero pittore aveva dipinto quel giorno e che, dopo la sua morte, fu loro venduta da un negoziante per parecchie migliaia di lire.

 

 

 


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