Ferdinando Paolieri: Raccolta di opere
Ferdinando Paolieri
Novelle agrodolci
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SPETTATORI ED ATTORI.

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SPETTATORI ED ATTORI.

 

Era un pomeriggio afoso d'agosto; non mi riusciva di pigliar sonno: la camera pareva un forno e io, benché mi fossi spogliato completamente, grondavo di sudore molesto, e mi sentivo la testa pesante e la lingua appiccicosa.

Dallo spiraglio, tenuissimo, degli scuri accostati, il cielo appariva incandescente.

Non potendone più, m'infilai i pantaloni di tela, calzai un par di scarpe di corda, mi cacciai sul capo un cappellaccio bianco e uscii sul porto.

Il porto, minuscolo, era deserto. All'ombra d'un barcone enorme dormiva a orecchi bassi un ciuco mezzo mangiato dalle mosche, insensibile certamente a qualunque legnata o puntura, e un cane rosicava un osso con accanimento ingiustificato perché non c'era più attaccato nemmeno un brincello di carne, guardandomi ogni tanto con un occhio rosso, in tralice.

Ma accovacciato sopra un grossissimo trave di «princepaine» un gatto guardava, alla sua volta il cane, socchiudendo gli occhi gialli con una mossa umana piena di falsa indifferenza tutte le volte che il cane mostrava di accorgersi di essere spiato nella sua dura fatica.

Più avanti, sulla spiaggia, lungo il mare di cui il cobalto profondo dava un senso di freschezza nonostante il risucchio debole che appena sbavava la rena sporca, vidi una bambina vestita di rosso, con un enorme cappello di paglia in capo, seduta in terra dove aveva formato dei minuscoli castelli con dei sassolini e delle conchiglie vuote.

Dietro di lei un bambino, forse più grande di un anno, completamente nudo, con una gran testa rapata a pera, dalla fronte bassa e con naso camuso e labbra sporgenti, stava a guardare, con le manine gravemente incrociate dietro la schiena rossa di rame, mostrando di pigliare un portentoso interesse al giuoco della piccina.

In pieno sole non sentivo il caldo come quando ero chiuso fra quattro mura e neanche mi molestavano le mosche, così petulanti all'ombra, e siccome non ho paura degli elementi, soffro il mal di capo, accesi la pipa e rimasi dov'ero, fermo, ad osservare alternativamente il ciuco, il mare, i ragazzi, il gatto ed il cane.

Per quella infame abitudine che fa di ogni uomo un animale, pur troppo, metafisico, pensai subito che in pochi minuti su quel meraviglioso  scenario tutti i personaggi presenti, me compreso, avrebbero cominciato a rappresentare la propria parte nella torbida commedia della vita, e non m'ingannai.

Dopo qualche istante comparve un colono con in mano un enorme randello.

Il cane non si scomodò, il gatto neppure; ma il ciuco smise di dormire e rizzò le orecchie.

L'uomo slegò la bestia dalla barca a cui l'aveva precedentemente avvinta con una fune e invece di pigliar l'asino, obbedientissimo, e menarselo dietro, gli suonò a caso, sulle costole grame tre o quattro legnate con quanto fiato aveva.

Il ciuco s'avviò avanti, l'uomo gli andò dietro e, ogni tanto, giù legnate.

Il ciuco non mutò mai il passo; tanto sapeva che era lo stesso, soltanto alzò la coda e scodellò un'offerta retrospettiva al suo padrone quasi in segno di disprezzo supremo.

Poi seguitò a trotticchiare, e l'uomo a dare, senza ragione.

Allora m'avvidi che la bambina aveva smesso di fabbricare i suoi castelli di sassolini e conchiglie e rideva a più non posso divertendosi al martirio dell'animale.

Ma, quasi subito, spinto come da una molla, il bambino ignudo, con un salto, afferrò il cappello della bambina e lo scaraventò in mare.

Il risucchio, benchè stanco, lo travolse e il cappello prese a navigare, come il fiore della ninfea in un padule, in mezzo all'acqua semi-immobile e putreolente del porto.

La bambina, la quale era vestita, con le calze e le scarpe in piedi, non potè buttarsi al salvataggio del suo cappellino e cominciò a urlare con quanto fiato aveva in gola: «Pappello! pappello! pappello!».

Poi, volgendosi al ragazzo, gli disse, tra le lagrime: «Butto! pappello, pappello!».

Il bambino si pose a ridere e la piccola cominciò a camminare, coi pugni agli occhi, incespicando, lungo la riva, gridando: «Mamma! mamma! pappello

Il ragazzo la raggiunse con due salti e le tirò i capelli biondi, con molta forza; poi le consegnò, coi piedi nudi, un calcio, s'intende facilmente dove.

Gli strilli della vittima presero un tòno acuto, d'argento, così lacerante, che una donna, sudicia, scarmigliata, oscena, scappò fuori da una delle tante case addormentate e che pareva avessero, invece di persiane, palpebre abbassate sopra occhi stanchi da tanto barbaglio di luce, e in meno d'un amen fu addosso alla bambina.

Senza stare a chiedere che cosa fosse successo l'agguantò con un braccio nervoso, lungo e stecchito come quello di don Chisciotte, la rigirò, la frullò addirittura per aria, se la cacciò col capino biondo nascosto fra le cosce, le alzò il sottanino rosso e le dette quattro o cinque colpi a mano aperta, colpi secchi che parvero scoppi di pistola, sulle cicce color di rosa tutte pieghe morbide; però, mentre picchiava, così macchinalmente, vide nel mezzo al porto il cappello di paglia e capì a volo ogni cosa.

Lasciò la bambina a bocca aperta come una rana, e che non riusciva a emettere il suono della voce per il rintronìo delle bòtte e lo spavento, corse a perdifiato addosso al ragazzo ignudo e poichè questo si buttò in acqua, c'entrò anche lei, tirandosi su le sottane lercie fino oltre l'anche.

Il ragazzo, spaurito, s'arrampicò lungo la fune d'un veliero e la donna, anche lei, in due salti fu a bordo.

Costì la scena divenne comica.

Il granocchio umano, nudo e stillante acqua marina, luccicando come uno specchio sotto il gran sole, a cavalcioni al pennone, faceva alla donna un mucchio di gesti indecenti.

Lei, di sotto, raccolto in pugno un mannello di funi, urlava al ragazzo di scendere perchè lo voleva spellare a forza di frustate e quello, naturalmente, se ne guardava bene, seguitando a scambiettare come una scimmia....

Finchè, a un tratto, un'altra donna, grassa bracata questa, con due enormi mammelle fuori d'un corpetto slacciato, esplose, come un bolide, di sotto all'angiporto, agitando nella corsa sfrenata le sue carnosità gelatinose e strillando come una calandra.

Le due femmine si maltrattarono per qualche minuto finchè la donna secca scese dal veliero e si slanciò colle funi per aria sulla sopravveniente la quale, rapida come il baleno, si sfilò, con un elegantissimo calcio all'aria, lo zoccolo destro che raccolse nel pugno.

E cominciò la battaglia.

Io vidi un arruffio di gonnelle, di carni grasse, di carni grinzose, di piedi, di capelli, di funi, di mani, di zoccoli e tutto il porto, come per incanto, si gremì di persone.

Tutti i sartiami, le alberature, i barconi rigurgitavano di monelli, le finestre si fiorirono di teste brune, bionde, rosse, quasi dovesse passare la processione, e in terra due gruppi d'uomini, formati dai mariti (e dai rispettivi amici che li reggevano) presero a ondeggiare come i fianchi d'un piroscafo rullante.

Il putiferio ebbe termine quando in mezzo a quello sfolgorio abbacinante di colori e di luci s'inquadrò, nera, quasi infernale fra tanta orgia di gialli, di bianchi, di rossi e di blu, la tricornata, adusta, alta figura del prete.

La causa di tanta guerra, la bambina e il ragazzo, si facevano le boccacce stando rispettivamente  ciascuno dietro una barca rovesciata; ma il cane, finito di roder l'osso, s'era acciambellato, al sicuro, sopra un mucchio di corde posto in cima a un barile rovesciato sul falsoponte del veliero più grosso, e il gatto s'era accomodato sulla pancia del cane il quale l'aveva ospitato generosamente; e tutti e due dormivano senza preoccuparsi per nulla di quello che era successo.

 

 

 


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