IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
«IL LELLA»
Guardandolo passare (benchè ci passasse raramente) per le strade del paese, le comari che spettegolavano facendo svelte la treccia, sedute sulle conche rovesciate o sulle seggiole di paglia, dicevano invariabilmente: Aveva ragione la povera Argene!
La povera Argene era una vecchia senza nemmeno un dente, incartapecorita dagli anni e còtta dal sole in modo tale da parere una lucernina etrusca, ma che aveva serbato fino ai giorni estremi una lucidità di memoria da sbalordire. Lei si ricordava di tutto e sapeva vita morte e miracoli d'ogni abitante del borgo, d'ogni contadino della campagna, d'ogni pigionale dei casolari sparpagliati fuori mano; e, fino all'ultima ora, quando si spense proprio come fa un lume quando non c'è dentro più olio, badò a battere che «il Lella» era pericoloso, perchè sua madre, che lo partorì alla macchia da padre ignoto, quand'era incinta di lui aveva guardato fisso, alla fiera, uno scimmione gigantesco che si grattava le natiche sopra una scala davanti al serraglio delle bestie feroci.
Visto da lontano il Lella non differenziava troppo da un urang-utang.
Nessuno sapeva che età avesse; la povera Argene l'avrebbe potuto dire, ma non ci fu uno che pensasse di domandarglielo, e così codesto segreto rimaneva inesplicabile.
Ne poteva aver trentacinque, quaranta, cinquanta... Di più no, perchè ancora non si decideva a buttar fuori i peli bianchi nei capelli o nei baffi, benchè nella barba, sempre incolta, fossero spuntati di già.
Di statura sarebbe stato altissimo se non avesse avuto il vizio di camminar curvo, quasi si fosse rialzato allora dall'andatura a quattro zampe; e perchè aveva le braccia lunghissime colle mani enormi, a vedergliele ciondolare in quel modo pareva proprio di trovarsi di fronte un animale selvatico ritto sui piedi di dietro.
Le sue spalle erano quadrate perfette, parevano un armadio, e di mezzo vi spuntava, attaccata a un collo triangolare con dei muscoli grossi come canapi, la testa colla fronte alta tre centimetri sotto i capelli setolosi, le sopracciglia folte e ritte come punti interrogativi, l'orbite fonde in cui affogavano due occhi rossi piccolissimi, il naso camuso con le narici aperte e frementi, la bocca larghissima con tutti i denti sani, candidi, arrotati, in mostra, non si capiva bene se per ridere o per ronchiare, e le mascelle, quadre come le spalle, capaci d'un movimento convulso di rotazione che, invece del pan casalingo duro più dei mattoni, avrebbe maciullato la mola d'un frantoio.
Questo, fisicamente, il Lella; così chiamato da tutti fin dalla nascita e a cui non si conosceva altro nome.
Stava in una stamberga fra il bosco e il sòdo dove lavorava per conto d'un fittavolo; e non ci teneva che un po' di paglia sopra un giaciglio da cani, la brocca dell'acqua e una cassa dove aveva due camice e due paia di calzoni; ma quando non pioveva o non nevicava dormiva sull'erba d'un prato, d'estate, e in una grotta, fra certi burroni, d'inverno.
Mangiare, mangiava dove si trovava, ma sempre solo e meno che potesse fra quattro mura.
Quando (raccontava la povera Argene) lo portarono alla visita, e fu scartato per deficenza mentale, si lasciò condurre spogliare e rivestire dai coscritti del paese, masticando sempre. Aveva portato un'intera ruota di pane di quattro chili e la sminuzzò tutta con quelle màcine di denti che aveva in bocca! Non volle andare in trattoria, per quanto tentassero di trascinarvelo; ma s'impuntò e in otto o dieci non furon buoni neanche di smuoverlo d'un passo! poi si ritirò nella straduccia, vicino all'osteria, e nella quale era la rimessa del diligenzaio che li doveva riportare in su e stette costà fino all'ora della partenza tappandosi con tutt'e due le dita gli orecchi per non sentire il rumore della città.
E in città non rimise più piede.
La mattina compariva in paese appena fatto giorno e aspettava che aprissero le botteghe. Si faceva dare la solita ruota di pane, che era la sua paga quotidiana, e con quella sotto il braccio ritornava al sòdo.
Lavorava, quanto cinque uomini almeno, sino alle nove, poi quando il doppio della campana cessava indugiandosi con una lunga vibrazione d'oro nell'aria celeste, andava qua e là per i campi e raccoglieva per terra quante mele marce trovasse o, secondo la stagione, altre frutte, compreso i fichi acerbi e col lattificio, o le more di sulle siepi, e se ne empiva il grembiule.
Allora pigliava la ruota di pane, se la spezzava sopra un ginocchio, e cominciava a mangiare, lento, alla guisa d'un ruminante, coll'occhio fisso a terra, senza pensare a nulla; e le frutta le divorava colle bucce e coi bachi, e le more delle siepi colla polvere e le ragnatele....
Tanto, non aveva avuto mai un dolore di corpo.
Bere, beveva acqua; ma se gli regalavano un fiasco di vino, lo alzava davanti alla bocca e, a garganella, senza versarne una gocciola, lo trincava tutto di un fiato. Poi si buttava a dormire e quando si svegliava aveva più fame di prima.
Perchè il suo unico tormento era la fame; una fame bestiale che non si saziava con nulla, che lo spingeva a spellare e divorar vivi i ranocchi, e perfino le serpi acquaiole, a inghiottire i funghi crudi e terrosi, le radicchielle selvagge coi peli e ogni cosa!
Per questo le comari, quando capitava in paese, gli davano da mangiare, gli empivano il paniere o il corbello d'ogni ben di Dio.
E lui pigliava ogni cosa, senza dir grazie, senza rispondere, perchè non apriva mai bocca se non per mangiare e bere, e se ne andava col suo passo tranquillo.
Ma se la donna che gli dava codesta roba era giovane e bella, allora lo scemo rideva.
Rideva, ma prima di ridere, la guardava in un modo curioso, fissamente, a lungo, senza tradire nessuna commozione; soltanto gli occhi rossi, nella cavità dell'orbite buie, s'accendevano come il culo d'un bruco in una macchia appena è scesa la notte.
Ecco la ragione per cui le comari dicevano, quando il Lella spuntava, di lontano, in fondo alle strade del borgo: Aveva ragione la povera Argene!
Ora è bene sapere che l'Argene, buon anima, avvertiva le ragazze che se quell'uomo aveva davvero dentro le vene il sangue della scimmia (e qui la vecchia si faceva il segno della santa croce) dovevano star molto attente a non toccarlo o a non farsi toccare perchè c'era da vederlo diventare una belva e sarebbe stato capace anche di strangolarle.
Figuriamoci il chiacchiericcio e le congetture quando il fittavolo del Sòdo prese a opra l'Adelasia e la mise a lavorare insieme col Lella, soli tutt'e due, per delle intere giornate, in quel fondo dove s'arrostiva dal sole e dove non passava mai anima viva!
Ma l'Adelasia, nonostante fosse in là col conto, era ancor ben portante e formosa, tranne nel viso che aveva deturpato da una parte da orribili ustioni, e non aveva paura di nulla, perchè come forza di braccia, se non faceva il paio col Lella, ci correva poco.
Lavorava a guisa d'una macchina, senza posa, e cantava tutto il santo giorno, mentre il Lella, rintontito, l'aiutava come un automa.
Poi, la sera, tornava in paese dove dormiva, e, prima d'andare a letto, rigovernava i piatti dell'osteria di Baco dove, in ricompensa, faceva una bella cena cogli avanzi e beveva un litro di vino; e costì eran risate da scarrucolarsi a sentirle raccontare la sua vita col Lella, perchè tutti gli avventori la eccitavano a entrare in particolari scabrosi o le facevano domande equivoche, e lei teneva testa a ciascuno e per ciascuno ci aveva la sua risposta pepata e pronta.
- Il sole è pericoloso... fa dei brutti scherzi!
- Fortuna che tu dormi in paese!
- Eppure,... ci piacerebbe di vedere la razza!
E l'Adelasia, reggendosi i fianchi e scuotendo il seno enorme che le ballava sulle risate scroscianti come se fosse stato di gelatina, rispondeva a diritta e a mancina, e sempre a tempo.
- Dimmi la verità, lo piglieresti?
E l'Adelasia: - Meglio qualcosa che nulla!
- Dimmi la verità: ti ha mai abbracciato?
- E l'Adelasia: - S'avrebbe a provare! con un sorgozzone chi lo sa dove sarei capace di buttarlo!
- Eh! ma allora cara Adelasia, se non t'ha mai dato nemmeno un pizzicotto, a vederti così appetitosa (qui dalle risate qualcuno cascava perfino sotto la tavola) è segno che il Lella è ermafrodito,
- Sarà manfruìto, sarà quel che voglion loro, ma me mi ha fare il piacere di lasciarmi stare!
E su questo orribile bisticcio d'emme, calava la tela, perchè l'Adelasia andava a letto.
Quando che è, che cosa non è, si sparse la voce in paese che il Lella dimagrava a vista d'occhio; e che, viceversa, l'Adelasia ingrassava in modo indecente; finchè lo scandalo scoppiò, clamoroso, e ci dovè metter le mani il proposto.
Ma pareva che discorresse col muro!
L'Adelasia spergiurava su tutti i santi che era rimasta gonfia in quel modo dopo una memoranda scorpacciata di baccelli e di cacio salato, e il Lella, a chi lo interrogava, cacciava in faccia quei suoi due piccoli occhi di porco, e poi tirava innanzi, diritto, senza rispondere. Intanto funzionavano i totalizzatori e il paese s'era diviso in due parti.
I cattolici affermavano che il Lella era un uomo e non una scimmia e che da quell'unione sarebbe scaturito un cucciolo brutto, ma di razza umana; i socialisti, i liberi pensatori, etc. dicevano invece che l'uomo proviene diritto dalla scimmia e che il prossimo parto (mostruoso certamente) dell'Adelasia ne avrebbe fornita l'ampia riprova.
Finalmente però il proposto era riuscito a preparare ogni cosa, e il Lella, come quando andò alla visita militare, fu rimorchiato in chiesa e dal sindaco, dove non riuscirono a fargli dire di sì nè a fargli fare la croce sul registro, e poi, sempre muto, fu condotto colla sposa, incoronata di sèdani, a un banchetto luculliano dove mangiò in un modo spaventevole e s'ubriacò a morte, tanto che lo portarono di peso sul letto dell'Adelasia dove dormì ventiquattr'ore di seguito!
Era la prima volta che gli succedeva di dormire sopra un saccone...
E, finalmente, nacque il ragazzo, anzi la ragazza, una bambina meravigliosa, colle labbra di corallo e i capelli nascenti color dell'oro, una cosa da sbalordire, che fece cascare all'indietro, dallo stupore, il medico, la levatrice, tutti. Figurarsi la gioia dei cattolici!
Fu inscenata una dimostrazione, con delle rificolone dove il proposto aveva fatto scrivere: «Abbasso Darwin!» che qualcuno, per dir vero, confondeva con Lenin....
La verità non fu saputa che dopo tre o quattro anni, quando fu palese, come la luce del sole, a chi somigliava la bambina del Lella!
Ma chi avrebbe creduto, che un uomo serio come quello.... un padre di famiglia.... si mettesse a far certe cose? E lo scandalo fu tale che del povero Lella, così iniquamente giocato, non se ne ricordarono più, altro che quando morì di una indigestione di fichi.