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IL CIECO
Piove: lentamente, uggiosamente, l'acqua cola dal cielo color cenere, mentre la moltitudine umana s'affretta su e giù per le proprie faccende, sotto gli ombrelli lucidi, rovesciando sagome incerte nel fango oleoso della grande via cittadina percorsa da automobili strombettanti e da carrozze silenziose.
Raggranchito dal freddo, con la mano destra stesa e appoggiata sul dorso della sinistra che stringe il bastone, incollato contro la soglia della chiesa, il cieco aspetta.
Dal tocco non s'è più mosso da quella posizione.
Le gambe gli si sono intorpidite sotto i ginocchi, non sente più i piedi, gelati dall'umido, lo stomaco illanguidito gli dà un senso di nausea.
Ha udito dire che i veggenti talvolta soffrono di vertigini.
Certo, se ci vedesse, gli parrebbe che i palazzi, attorno a lui, si muovessero.
Ogni tanto, molto raramente, un soldo o un nichelino, cade, diaccio, nella palma della mano rattrappita.
Il cieco stringe le dita, riconosce la moneta al tatto, se la caccia in tasca, e rimane così, qualche istante, godendo il calduccio che il proprio corpo ha comunicato alla fodera interna.
Ma dei passi s'avvicinano e la mano risale e si tende.
Ecco; è stato gettato nella palma offerta un soldo; però il soldo è caduto di mano al cieco.
Tende l'orecchio, sente che qualcuno si china vicino a lui, ma il soldo non ritorna alla palma che l'ha lasciato cadere.
Di dentro la chiesa giungono le note larghe dell'organo, i canti dei fedeli.
Il movimento che da un'ora ha raffittito, facendosi insopportabile, ora comincia a languire e spiove.
Due persone parlano vicino al cieco.
- Magnifico!
- E monte Oliveto l'hai osservato?
- Una meraviglia, un gioiello....
Si sentono dei passettini cadenzati, rapidi, seguiti da altri passi più autoritarii, più marcati....
- Signorina, una cena e cento lire....
La tromba d'un'automobile vela il resto del discorso, o la risposta, se è stata data.
Una signora discorre con un'altra sulla porta di chiesa.
- Le donne di servizio? che disperazione! Mi raccomando alla Madonna perchè me ne faccia trovare una a garbo, da tanto tempo, ma non mi vuol far questa grazia....
- La mia è tanto brava, ma ora si sposa....
- Oh! povera signora! la compatisco....
La porta di chiesa si spalanca e n'esce una folata di litanie, mentre un signore aprendo l'ombrello, brontola: Accidenti! piove!
La folla dei fedeli si riversa fuori, la novena è finita.
Ma nessuno si avvede del cieco; l'acqua ha ripreso a cadere a dirotto, e tutti scivolano via, come ombre lungo i muri, evitando gli scoli delle grondaie che scrosciano.
Certo ora la strada fangosa splende sotto le lampade ad arco e si va facendo deserta.
Un gruppo di ritardatari si saluta in fretta.
- Mi fermi un palco, passando, tu che stai da quelle parti?
- Volentieri....
- Ho gente a pranzo e vorrei farli divertire, dopo desinare....
- Scappo perchè mi hai fatto venire appetito. Arrivederla signora!
- Arrivederci a tra poco....
- Ciao!
Il cieco pensa alla zuppa di pane fagioli e cavolo, al quartuccio di vino, che la vecchia a quell'ora gli ha già preparato; la vecchia operosa come una pecchia che ha legato, da tempo, con lui, la propria miseria e che egli ha sposato, per non urtare nei cànoni di Santa Madre Chiesa sotto la cui grande ombra passa, rannicchiato, la vita, alla mercè del cuore dei passanti.
Ce n'è ancora del cuore; più in basso che in alto. I pedoni soli naturalmente, fanno l'elemosina e, fra i pedoni, soltanto la gente abituata a lavorare, (nota il cieco) calcola mentalmente che due soldi non rovinano il bilancio di nessuno, e si piglia la fatica di sbottonarsi il soprabito, sia pure d'inverno. Così lui può vivere.
Anche quella sera ha la tasca destra del pastrano piena di soldi e di ventini; e mangerà.
Una buffata d'odore caldo di stracotto emanante da un portapranzi recato da qualcheduno che ha fretta, finisce d'illanguidire lo stomaco al cieco il quale traballa, e, inquieto, batte sulle lastre il bastone.
Lo scaccino s'è affacciato due volte, impaziente, sbirciando il cieco sempre immobile al suo posto e non ha osato dirgli nulla.
E ora gira per le navate buie, paurose, del tempio, battendo le chiavi, passando in rivista i confessionali e sbirciando l'unica porta rimasta socchiusa.
Il cieco per consolarsi pensa ai lunghissimi pomeriggi d'estate, quando non passa nessuno e lui va a frescheggiare dentro la chiesa, girando al tasto fra le colonne che sono gli alberi dell'unica foresta che lui abbia conosciuto in vita sua.
Alberi freddi di pietra, selva marmorea senza vita e senza luce, dove egli si muove come uno spirito.
Quando si abbandona in quella solitudine buia, subito il resto del mondo s'inabissa intorno a lui.
Il rumore della vita umana giunge alle sue orecchie attenuato dalle pesanti coltri che pendono giù dalle porte, come un rombo lontano di cose che svaniscano, e tra le palpebre secche la luce non filtra.
L'acqua ormai viene a torrenti, scende, a vento, sbacchiata dallo scirocco della fine d'inverno, e il cieco rabbrividisce.
Dal suo angolo, dove non può rimanere, sferzato com'è dalle raffiche, s'è ritirato nel tamburo del portale.
Indebolito, s'appoggia all'uscio che gira sul cardine unto e quasi lo fa cadere all'indietro sopra una delle figure giacenti, livellate dallo scalpiccìo dei fedeli, sul pavimento di marmo.
Vien sostenuto dallo scaccino che passava di lì, per caso, la centesima volta.
- Coraggio! l'avete bell'e saputo?
- Che cosa?
- Nulla.... dicevo così per dire.... la vostra moglie non può venire a pigliarvi stasera....
La voce del sagrestano trema.
- Grazie.... ma, come faccio? potreste, voi, accompagnarmi?
- Sarà meglio che aspettiate, a recarvi a casa.... vostra moglie sta poco bene.... intanto io chiudo la chiesa e vi accompagno dalla parte dei chiostri, in casa del curato....
- Mentite! mia moglie sta male.... è morta!... lo sento.... lo so! Ditemi la verità! Ditemi la verità!
Il cieco, nell'ombra (non ha che i capelli d'argento luccicanti per qualche filo sfiorato dalla luce rossa, guizzante davanti alla Pietà) col bastone e il cappello stretti nel pugno, gesticola, come ossessionato, poi, col bastone, urta in una panca e vi casca genuflesso, gemendo: Portatemi a vederla! voglio vederla un'ultima volta!
Lo scaccino non sorride; agita le chiavi e il rumore appare, subitamente, immenso, nella penombra sempre più folta; come un fragore di catene sbattute, formidabile, moltiplicato dagli echi.
Una mano si posa sulla spalla del cieco e una voce dolce, buona, parla al suo orecchio e alla sua anima.
Poi il curato e il sagrestano fanno dolce violenza all'infelice per trascinarlo in casa, a rifocillarsi, a scaldarsi.
Il cieco ora vede. Per la prima volta, dacchè ha perduto la vista, vede, limpidamente, quello che non vedono neppure gli uomini illuminati: il proprio avvenire.
È solo, e non oserà mai più, avventurarsi, cosi, in mezzo al tumulto del mondo dove lui, cieco, vedrà tutti, senza che nessuno, fra tanti veggenti, s'accorga di lui. L'unica che lo avesse veduto, e che, vedutolo, gli avesse steso una mano, è morta; per la sua miseria presente non ha più nessuno, non spera, non crede che in una ricchezza futura e siccome codesta ricchezza è rappresentata da Dio, il cieco non vuole più staccarsi dal tempio.
Lo contentano.
Lo lasciano in chiesa, a piangere e a pregare.
Ritorneranno, fra qualche tempo, quando si sarà potuto sfogare, e tenteranno di persuaderlo d'andar con loro, di prendersi qualche ristoro....
In punta di piedi se ne vanno, perchè egli lo vuole e lo ha detto con accento a cui non si resiste.
Il cieco è solo.
Sdraiato sul pavimento, fra due figure tombali giacenti, singhiozza senza lacrime, davanti all'altar maggiore.
La chiesa ora è perfettamente buia, tutta nera; soltanto le grandi vetrate dell'altar maggiore s'aprono in una luce azzurra d'una trasparenza cupa, fosforescente, irreale.
L'anima del cieco pare discerna quella luce che sola si accorda al buio che fascia i suoi occhi. E a poco a poco il cieco si irrigidisce, insensibile, si fa di pietra fra quelle pietre gelate dal silenzio.
Ma vede la sua donna, la vede in una grande luce; essa è lassù vicino all'ostensorio abbagliante che egli non ha mai contemplato; e tutto il tempio è pieno di luce, le lampade elettriche, i ceri, si sono accesi, da sè; dalle vetrate turchine piovono torrenti di raggi corruscanti.
Fuori, il ritmo della vita cittadina ripiglia e il rombo va ad infrangersi, come le onde del mare sopra incrollabili scogli, contro le porte monumentali, serrate ermeticamente, che guardano dalle teste dei loro santi, dei loro angeli, dei loro mostri, defluire alla foce invisibile l'umana corrente che non si rivolge mai verso le scaturigini e che, travolta dai flutti, non vede lo sbocco, vicinissimo, nel gran mare infinito.
Una folata di voci è soffocata, rapita lontano, da una folata di vento e di pioggia.
La chiesa è muta come una sfinge, buia come la notte, ma gli occhi del cieco, per la prima volta, son pieni di sole.