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Lo conobbi qualche tempo fa, per caso.... E, da principio, fui crudele con lui, senza avvedermene, senza comprendere che cosa facevo.... ed ebbi a pentirmene amaramente.
Ma veniamo al fatto.
Volevo vedere alcune pitture antiche, dipinte sul muro, in una chiesa d'origine remota, ma tutta rifatta e sciupata, sperduta in mezzo al verde tenero della pianura che s'adagia sulle sponde dell'Arno, in primavera feconde d'una vita addirittura prodigiosa.
Sulle grandi praterie, che l'autunno e l'inverno trasformano in padule, trillavano le allodole con una ebbrezza che mi rinnovellava come le piante imperlate di gemme tiepide lungo i canali melmosi, quasi asciutti; e il cielo, d'un turchino abbagliante, era veleggiato da enormi flotte di nuvole gonfie come le poppe di fantastiche navi colle attrezzature piene di vento.
Io, smarrito fra tanta bellezza, vagavo tra muriccioli bassi ed argini altissimi sotto i quali stagnavano pantani screpolati tutti fumanti di moscerini e non riuscivo, fra la vegetazione rigogliosa di pianura, uniforme come nel basso Veneto, a raccapezzare dove si nascondesse il campaniletto della chiesa che avevo vista, nella fotografia d'un giornale illustrato, accovacciata umilmente, a fianco di tre o quattro gelsi.
Finalmente, stracco e sudato, vidi un uomo vestito di nero che dipingeva seduto sopra un panchetto basso e mi avvicinai per domandargli qualche informazione.
Intanto detti un'occhiata a quel che faceva, e mi scappò da ridere.
Aveva dipinto un albero, un pioppo, con intorno un po' di verde e i monti in fondo con delle nubi, ma tutto così biaccoso e sporco e senza ombra di forma nè di colore, che io mi chiesi perchè mai un individuo, così negato alle più elementari attitudini alla pittura, s'arrabattasse, sia pure per diletto, in quell'arte difficilissima.
Nonostante, ringoiai il riso che mi zampillava sul labbro, e chiesi allo strano imbrattatele, se conoscesse la chiesa di cui andavo in traccia.
S'offrì, cortesemente, di guidarmici lui stesso, ma, prima, mi chiese se mi piaceva quel che aveva dipinto.
Gli risposi, franco, che mi pareva fosse fuori di strada, e che quella roba lì non aveva senso; era nulla, nel senso assoluto del vocabolo.
Feci di più, mi posi a sedere al suo posto, presi i pennelli e, sopra una tavoletta pulita che aveva nella cassetta, gli segnai, con pochi tocchi, i valori, in modo che, subito, dai piani buttati giù con giustezza, balzò fuori qualcosa dove almeno si leggeva l'intenzione di esprimere un albero sur un prato, con dei monti lontani e delle nuvole rosee dietro al cobalto nebbioso dei monti.
- Perchè, - dissi all'individuo che mi osservava mortificato dietro a due enormi lenti da miope, - perchè m'ha fatto rosso il prato invece di farlo verde, o tutt'al più, giallo?
- Ma gli è, - mi rispose - che io vedo rosso anche il colore che ha buttato giù lei! Se lei m'assicura d'avere stemperato sulla tavoletta del verde sono disposto a crederle sulla parola, ma io vedo rosso.
- Allora lei è un daltonico.
- Può essere.... non lo so, non mi domando mai che cosa faccio.... butto giù, a caso.... per passare il tempo; ma venga con me, la porterò alla chiesa....
Andammo e parlò sempre lui; non dette al parroco, accorso assai premuroso, il modo di fornirmi delle spiegazioni; chiacchierò, continuamente, come una macchinetta caricata, anche in archivio dove il prete sfogliava delle filze ingiallite, poi mi trascinò verso casa sua, dicendomi che lui faceva il maestro elementare, per vivere, odiato dai ragazzi, dai colleghi, perseguitato dal direttore, tacciato di pazzo.
E pazzo pareva, mentre mi sciorinava sotto gli occhi delle pitture spaventose, delle cose inimmaginabili.... Donne di biacca con occhi di blù minerale e capelli verdi, nude, ma senza forma, lune tonde, mucchi osceni di colore viscoso e gialliccio, mani più grandi dei volti, teste colossali come cocomeri o piccine come noci su corpi eseguiti con giri e rigiri furibondi di pennellesse intrise, a caso, nelle ripuliture della tavolozza.
- E questo, diceva il maestro parlando svelto - è il mio capolavoro!
Guardai e vidi quattro palle di spinaci, sette od otto sbarre nere contorte come saette, una croce tutta piegata e una specie di carota rossa.
- Questo è il cimitero!
- Quando me lo dice lei.... Non le piace? non lo capisce?
- Ecco la parola esatta.... non lo capisco.
- E allora, stia a sentire, glielo descrivo in versi.
E giù una valanga di endecasillabi di trenta, cinquanta, cento sillabe, e dei tronchi, e dei quinarii, e dei versi bisillabi e in fondo uno strano accozzo di parole in libertà, ma parole senza senso, suoni e basta: zu, zu, tun, tun, cra, cra.... no! no! tin! stà! pun! to! oh!
- Ma che roba è?
- Come? non ci sente il Pascoli?
- Io no.
- E allora proviamo con Carducci, perchè io, perdio! sono italiano.
Fece un passo addietro, si arruffò le chiome assalonniche e cominciò ad esaltare la bandiera italiana con furore selvaggio, agitando le braccia, lunghe come gli avvisi dei passaggi a livello.
Nel gesticolare inciampò e fece traballare qualche cosa che pareva una statua, sopra un trespolo di legno.
Corsi ai ripari e la statua non cascò.
Allora la guardai.
Impossibile descriverla; era un ammasso di creta presa a zuccate da un delirante, frugata inconsciamente dalle dita d'un ragazzo, tutta bitorzoli, buche, e con degli stecchi infilati, a raggèra, sulla sommità.
- È il genio - mi spiegò il maestro.
Io cominciavo a sentirmi male.
- È il genio, e l'ho modellata stanotte. Alla una mi sono alzato.... ascolti bene!
Mi afferrò con una forza di cui non l'avrei creduto capace e proseguì:
- L'anno passato io non dipingevo, non scrivevo poesie, non modellavo.... perchè non ci ho attitudine. Ci crede?
- Si figuri!
- Tutt'al più leggevo.... ma il tempo mi passava veloce perchè dopo la scuola mi mettevo nell'orto a guardare il cielo, a toccare i fiori o le piante, a fantasticare.... e intanto sentivo mia moglie che cantava in cucina.... capisce? mia moglie! Era incinta.... ed era bella... troppo bella per me... e fedele... e buona.... Io vivevo per lei e per la creatura che doveva nascere e mai, mai sentivo il bisogno di far qualche cosa, che non fosse strettamente necessaria....
«A scuola tenevo l'orologio sulla cattedra per non rubare un momento di più del tempo che dovevo a mia moglie, e da scuola a casa facevo la strada di corsa....
«Poi, arrivato a casa, mi mettevo in cucina, o nell'orto, e stavo ad ascoltarla cantare, mentre sfaccendava....
«Si aveva appena appena il bisognevole, signore, appena quanto occorreva per mangiare e coprirci; ma si era felici!
«Ed ecco giunse il giorno del parto.
«Tutto andava bene, quando a un tratto sopraggiunse la febbre e mia moglie non potè sgravarsi....
«Vennero a prenderla con una automobile grigia, e la portarono all'Ospedale e poi mi dissero che era morta, e mi chiesero se volevo andare a vederla.
«Io rifiutai.
«Domandai se l'avrei sentita cantare e mi guardarono con degli occhi strani.
«Qualcuno disse: Come deve fare a cantare, se è morta?
«Da allora in poi ho bisogno assoluto d'azione. Guai, guai se mi mettessi fermo, anche cinque minuti soltanto, a riflettere, a fantasticare, come facevo quando, nella stanza accanto, c'era lei che cantava....
«Ora bisogna che faccia qualche cosa e presto, senza pensare, senza riflettere....
«Faccio, a caso, quel che mi viene in mente, ma senza una sosta. Mi comprende? Agguanto i pennelli, strizzo un tubetto e via.... comincio a lavorare, senza neanche distendere gli altri colori sulla tavolozza.... oppure, con un lapis, principio a buttar giù versi....
«Se la notte mi sveglio, balzo dal letto, mi getto addosso un pastrano, scendo in salotto, accendo la luce e mi metto a lavorare....
«Giorni or sono, da una fornace, dove ero passato per combinazione, mi feci dare un po' di creta vagliata e molle e stanotte, essendomi destato a un tratto, ho messo su quell'affare. Non avevo mai modellato, non so come si faccia, di dove si cominci.... che importa? Quel che importa è «agire»; se mi fermassi bisognerebbe che mi uccidessi, subito. Eppure sento che è fatale, che è inevitabile, che è scritto! Un giorno o l'altro rimarrò imbarazzato, non saprò che cosa inventare, sentirò, a un tratto, il silenzio. E allora dovrò ammazzarmi, perchè tutto si può tollerare, fuori che il silenzio».
- Ma, come fa per trovar sonno?
- Non lo so.... sto tanto in piedi che, alle volte, m'addormento ritto; non mi spoglio, del resto, quasi mai, non faccio a tempo, il sonno mi fulmina, così, quando proprio non ne posso più, e non me ne accorgo....
«Ma lei, ancora, non ha visto nulla..... guardi!».
Spalancò l'uscio d'una specie di rimessa enorme, entrò dentro, al buio, inciampando non so dove, aprì una finestra dopo aver cempennato un pezzo e inondò di luce una caterva spaventosa di mostri dai colori mai pensati, dipinti con furia selvaggia su cartoni, tele, pezzi di mattone, tavole di legno mal pulite, sui muri, sul soffitto, da per tutto....
Allora ebbi paura, perchè, finalmente, avevo compreso anche quegli aborti.
Il disgraziato era un «espressionista» senza saperlo, ma essendo profondamente sincero, i suoi pupazzi inverosimili, esaminati psicologicamente, divenivano, di conseguenza logica, dei capolavori; perchè in ciascuno di loro leggevo ora, distintamente, la disperata fretta dell'uomo inseguito dalla morte e che non si rassegna a morire, il destino dell'umanità obbligata a correre per non sentire il silenzio, il vuoto, nel quale si agita, credendo di vivere, mentre invece è già morta.