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LA POSIZIONE DI CENTOPELLE
La povera bestia allungò il collo a guisa di giraffa, cogli occhi, appannati da un velo azzurro, fuori dell'orbita e, forse per abitudine, distese le gambe deretane; ma nel far così le si piegarono quelle davanti e cascò sui ginocchi, bernoccoluti come bronchi di cerro.
Il povero Centopelle sostenne, finchè potè, il muso lungo della sua brenna bolsa, poi alzò gli occhi al cielo e allentò le braccia.
La testa del cavallo s'adagiò sul suolo; poi tutto l'enorme corpo dalle costole sporgenti come manichi di panieri posò di quarto sopra uno stanghino, che si ruppe, e rimase, immobile, sollevando i fianchi e abbassandoli faticosamente, nel fango.
Centopelle cominciò a sfibbiare i finimenti, rotti e rappezzati malamente collo spago, liberò il cavallo dalle stanghe, senza che passasse un cristiano a dargli un po' d'aiuto, tirò il barroccio sul margine della strada, lo addossò al ciglione con due ruote nel rigagnolo e due fuori e infine, ritornato dalla sua bestia, le passò delicatamente la coperta sotto le gambe anteriori.
Quindi si fece due passi indietro, agguantò il cavallo per la museruola e gli gridò: «Oooh! suuu....u!»
Il cavallo fece uno sforzo e ricadde.
Dalle narici turchinicce gli colava giù lentamente un orribile moccio verdastro.
Tra i denti gialli, dal morso arrugginito, ciondolava un filo di paglia. Centopelle si battè la fronte coi pugni.
Lungo la via provinciale, diritta, a perdita d'occhio, fra le due siepi basse, colla fila dei paracarri, goffi, come tanti pinguini in parata, dalla parte del fossetto, non si vedeva un'anima viva e le nuvole bigerognole, gravide di pioggia, erano basse, così basse che strofinavano sui tetti delle case lontane, sul campanile aguzzo dipinto di rosso, le loro pance mostruose.
Ad un tratto a Centopelle parve d'udire un rumore.
Aguzzò gli occhi e riuscì a distinguere un puntolino nero che appariva in fondo alla linea diritta e violetta della strada fangosa.
Il puntolino crebbe, ingigantì, s'avvicinò; Centopelle intese il rumore delle ruote, distinse la sagoma d'un barroccino, e si piantò, a gambe aperte, nel mezzo della via, facendo colle braccia lunghissime dei gesti disperati.
Il veterinario (si trattava per l'appunto di lui) si fermò indispettito.
Era un giovinottaccio grande e grosso, biondo, cogli occhi chiari di ladro; faceva a mezzo coi macellari, chiudendo un occhio e anche tutti e due, ma le seccature senza utile immediato le aveva al naso come la senape.
- Questa bestia non va più avanti e io son rovinato.
Il veterinario fece un verso colle spalle come a significare: «Ma che cosa posso farci, io?» Però, siccome spuntava gente da un casolare non lontano, là, al gomito della strada maestra, scese di barroccino e s'accostò al cavallo.
Lo tastò, gli alzò il muso, gli rovesciò le palpebre.
Centopelle seguiva, trepidando, tutti i movimenti del medico.
Questi lo guardò in faccia e gli disse: Brutto male, ha il tuo cavallo....
- O cos'ha?
- Ha un male per cui non ci son medicine, caro mio! almeno fino ad oggi, che sappia io, non le ha inventate nessuno....
- Gesummaria! O che malaccio è?
I tre o quattro, che erano arrivati e avevan fatto circolo, sbottarono in risatacce sguaiate.
- Sei persuaso?
- Più che vecchi....
- Non si può campare!
Il veterinario risalì in barroccino e disse a Centopelle, mentre ripigliava la frusta e le redini: - Mi raccomando! codesta carogna ha anche il moccio.... non c'è nulla da fare. Caricala sopra un barroccio, portala alla sardigna e ammazzala. Arrivederci.
Una stratta alle redini, uno sfaglio della cavalla e il veterinario sparì.
Il più vecchio di quei tre o quattro curiosi s'accostò a Centopelle rincitrullito e gli mormorò: Il tuo barroccio è grande, il greto dell'Arno è vicino e il ciuco te lo presto io. In qualche modo tu mi compenserai.
Centopelle non capiva più nulla.
Colle gambe larghe, le braccia penzoloni come il crocifisso del Chiacchiera, diceva, internamente, a se stesso: E ora.... come faccio?
Perchè a morirgli il cavallo, perdeva tutto.
Lui in vita sua non aveva mai fatto, non aveva saputo fare altro, che quell'accidentato mestiere del procaccia, e piovesse, nevicasse, tirasse tramontano o scirocco, o arrabbiasse il solleone, era sempre andato in su e in giù come le secchie con un cavallo più o meno arrembato che barattava quando prevedeva potesse diventare inabile al lavoro. Ma questo, il quale ora faceva una fine così tragica, gli aveva durato più di tutti, tanto che aveva finito coll'affezionarcisi. Da vent'anni ormai gli faceva il servizio ed erano, si può dire, invecchiati insieme.
Prima della guerra, ritrovandosi cento franchi in tasca, Centopelle venne tentato di disfarsi del fido animale, e, per dire il vero, traccheggiò pensando che bisognava a tutti i costi pigliare un cavallo più giovane rifacendo la differenza, ma quel traccheggiare fra il pensiero di restar senza un centesimo da parte per il caso d'una malattia, il dispiacere di abbandonare il compagno della sua esistenza e la necessità, si protrasse tanto che, perduta l'occasione, Cenlopelle restò colla sua bestia bolsa.
Poi venne la guerra, colla guerra i prezzi cominciarono a salire e il centinaio di franchi del pover'uomo a scendere e, da ultimo, egli sì trovò povero in canna più di prima e con un ronzino che non tirava più il barroccio alle salite e si fermava ogni tanto colle gambe davanti puntate, a guisa d'arcucci, sul terreno, quelle di dietro divaricate, colla coda ritta e lo sfintere boccheggiante, coi fianchi ansimanti peggio de' mantici, ma senza che gli riuscisse di pisciare.
Centopelle la catastrofe se la sentiva sdrucciolare giù per il groppone da un giorno all'altro, ma non avrebbe mai creduto che dovesse succedere così presto.
Non ci credeva quasi nemmeno ora, mentre il cavallo stronfiava disteso nel fango, cogli occhi appannati da un velo turchino e il moccio verde che gli colava dal naso.
Frattanto i così detti pietosi radunatisi lì intorno avevano già trascinato fuori dal fossetto il barroccio, e inclinatolo a terra si studiavano di trascinarci sopra la mole inerte del cavallo il quale lasciava fare, rintontito, dando ogni tanto uno scrollone, che li faceva indietreggiare, impauriti delle pedate, per ricascar subito giù, sempre maggiormente disfatto e spiombante.
Era un affare duro quello di issare un peso morto a quel modo sul piano del barroccio, ma, finalmente, avendo messo un rullo sotto il ventre alla bestia, e i più forti sollevandola per la coda e con delle funi passate di sotto la pancia, riuscirono a portarla a metà del veicolo e subito altri quattro o cinque, chè ormai, erano accorsi da tutte le parti e i ragazzi, fatto circolo, si divertivano, abbassarono le stanghe pigiandole con tutta la persona, finchè il barroccio si sollevò e il cavallo vi sdrucciolò sopra.
Allora ci attaccarono il ciuco e andaron via, nella mota a quel modo, sotto il cielo color di piombo, lentamente, una carogna trasportandone un'altra, con Centopelle dietro che barcollava come un ubriaco e i ragazzi i quali si spinteggiavano per tirar la coda e spunzecchiare il cavallaccio moribondo, ormai immobile.
A un certo punto doverono fermarsi perchè una ruota stava per istroncare una zampa della bestia, che si era impigliata nei raggi di legno.
Lungo il greto turchino l'acqua gialla gorgogliava rapida trascinando sul dorso gonfio fuscelli, tronchi d'albero, la veste d'un fiasco, un gatto morto.
Il barroccino passò crocchiando sull'ossa dei muli, dei ciuchi, dei cavalli uccisi. Il fetore di sangue stagnante in una pozza, benchè fosse d'inverno, era insopportabile.
L'asino si fermò colle orecchie basse, ridicolo, in una posa di pazienza infinita.
Uno, liberato il ciuco dal pettorale, dette l'aire alle stanghe del barroccio che s'alzava di schianto lasciando scivolare il cavallo sul greto.
Boghe già si faceva avanti, sulle gambe sbilenche, colla pipa corta in bocca e in pugno un annoccatoio lucente. Ma Centopelle lo fermò.
- Povero a te se lo tocchi! la mia bestia l'ammazzo da me!
- Se non vuoi altro! - rispose Boghe ridendo - tieni! Serviti! E gli porse l'annoccatoio.
Centopelle lo prese, si fe' un passo indietro e lo piantò con quanta forza aveva nel collo al cavallo.
La povera bestia ebbe un soprassalto e riuscì a sollevarsi sulle ginocchia, guardando il padrone cogli occhi velati in cui s'intravedeva la stupefazione, poi ricapitombolò, scalciando all'aria coi quattro ferri, mentre un getto di sangue nero inzuppava Centopelle, (a cui era scivolato di mano l'annoccatoio) immobile, colle gambe divaricate e le mani ciondoloni dai fianchi.
- O cosa tu vuoi fare del barroccio, ora?
- Nulla.... hai ragione....
- Te lo compro io!
- E te piglialo!
- Con questi pochi andrai avanti qualche giorno....
- Già.... mangerò....
- E poi....
- Che scemo! ci s'accomoda.... ti do qualcosa meno e in cambio ti regalo una pala e un corbello....
- Per fare?
- Che merlo! per fare il mestiere di chi non ha più mestiere.... per raccattare il concio per la strada. È l'unica cosa sulla quale ancora non ci sia la tassa.
- Già! non ci avevo pensato....
- Ma ci ho pensato io! Diamine! non si lasciano gli amici nell'imbarazzo!
- Ma allora.... c'è il caso che mi possa riescire di seguitare a mangiare!
- Altro che mangiare! Diventerai un mezzo signore. Lo vedrai.... Andiamo, ragazzi!
Riattaccarono il ciuco al barroccio, gli tirarono una legnata nella pancia gonfia come quella degli affogati e il ciuco scrollò un orecchio e si mosse.
Montarono tutti sopra e Centopelle li seguì, a piedi, insanguinato e rimbecillito.
- Oggi, - disse quello che aveva comprato il barroccio, - Centopelle mangerà un boccone con noi, e deve stare allegro. Perchè ormai si è fatto una posizione!
Tutti schiantarono dal ridere e Centopelle rispose: - Grazie!
Il ciuco a orecchi bassi, con grande sforzo, fece risalire il greto al barroccio e imboccò il fango della strada maestra.
Gli tirarono un'altra legnata perchè ricominciava a piovere; ma il ciuco non mutò il passo.