Ferdinando Paolieri: Raccolta di opere
Ferdinando Paolieri
Novelle selvagge
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IL VENTO.

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IL VENTO.

 

A Ferdinando Martini.

 

Sbaglierò, – dissi al vecchio bracconiere abbottonandomi frettolosamente la cacciatora, – sbaglierò, ma questo è un vero e proprio ciclone; tra poco sentirete che musica!

Il vecchio bracconiere non rispose, ma seguitò a camminare al mio fianco scrutando cogli occhi la sottoposta boscaglia dove aveva già lasciati scorrere i cani, mentre noi si cercava di raggiungere alla svelta la pòsta di Poggio Lombardo, un colle tutto scope e querciòli, più fitto d'una ragnaia e chi sa per quale ragione gratificato di quell'aggettivo.

Il monte era aspro, ma la pòsta era buona ed eravamo sicuri di vedere arrivare dal crocicchio qualche bella lepre di macchia respinta lassù dalla canizza, e per questo preferivo quel punto ai molti altri di cui è dovizia nella gran selva di Bifonica tutta macigni torrentelli e boschi opachi, sempre agitati dal vento.

Il vento!

La Bifonica pare il dominio scelto dal mitico re dell'aria per richiamarvi dalle montagne lontanissime dove urlarono e si sferrarono a gara colle saette e poi incatenarli tra i meandri capaci di smorzare il loro furore, i leggendari figliuoli alati e dalle bocche gonfie; forse dal vento che la imbocca e la percorre vittorioso da due foci diverse svegliando due echi opposti che nelle notti lunghe d'inverno si rimandano, moltiplicandoli, i latrati delle volpi in amore; forse dal vento che talvolta si arrampica leggero su pel dorso dei colli e, giunto in cima, afferra e arruffa e sparpaglia le loro grandi criniere arboree; forse dal vento che, sull'orlo del grande cratère di monti dove s'inabissa la selva, disperde le nuvole illuminandola tutta, o le rammonta l'una sull'altra rendendola oscura cupa terribile; forse dal vento che vi s'abbandona urlando o vi si rifugia gemendo e mormorando, ebbe il nome la Bifonica.

Sulla parete più aspra, in contro all'antica strada Romana, dove i sicari dei Bondelmonti calavano a predare, si leva ancora la costruzione grigia d'un romitorio abbandonato da qualche secolo.

Accanto v'è una casa da contadino fabbricata di pietre e di mattoni, un ammasso strano di sasso bigio e di cotto rossastro, vigilata da un fico sempre verde alla cui ombra siede spesso una fanciulla scalza, guardando con occhio distratto due o tre pecore grame in bilico fra le scope lungo il pendìo scosceso; e dietro spunta una corona di cipressi tetri dalle punte aguzze che paion richiami naturali de' fulmini.

stava e ci sta ancora Cirillo, contadino a tempo perso, pecoraio qualche volta, bracconiere sempre.

Era per quest'ultima qualità che lo avevo elevato al grado di mia guida e anche di confidente attonito e discreto, perchè quando la quiete sconfinata del bosco nei meriggi afosi e nei tramonti color viola mette addosso quello strano malessere, quel senso acuto di nostalgia ignoti a chi non ha vissuto la vera vita primitiva e selvaggia, fa bene, è necessario aver qualcuno a cui indirizzar la parola, vi ascolti o no, vi risponda a tòno o non vi risponda affatto, qualcuno che serva di pretesto a far risuonar la voce umana che assume dalla solitudine una sonorità inconsueta.

Cirillo, del resto, era buono e bravo.

Tarchiato, tozzo, una gran testa leonina di capelli grigiastri sopra un collo di toro, il petto sempre nudo, le braccia tonde e brune troppo lunghe in confronto alla statura e terminate da mani inverosimili, le gambe arcuate, il piede largo dal pollice divaricato uso alla presa per i pendii scoscesi durante le lunghe camminate scalzo, aveva davvero l'aspetto dell'uomo silvano; e mi compiacevo a vedermelo trottare innanzi reggendo colla sinistra sulla spalla il fardello dei viveri e colla destra, armata di un fruscolo stroncato a qualche pianta giovine, andar battendo scope e mortelle per farne schizzar la lepre.

Quel che però mi colpiva sempre in Cirillo, come se lo vedessi per la prima volta, era lo sguardo.

Aveva gli occhi azzurri, incassati nell'orbite e protetti dalle folte sopracciglia riunite, ma questa caratteristica che si vuole degli uomini truci o capaci di mal fare, metteva invece nelle sue pupille come un velo d'infinita tristezza, che si dissipava soltanto in certi momenti.

Sì come egli non parlava mai, se non veniva interrogato ed anche allora molto sobriamente, così io avevo avuto modo di osservarlo con attenzione, con una curiosità, oserei dire, quasi da scienziato; e si rifletta che questo dilettantismo psicologico è più che naturale in uno che, già uso a ragionar sulle cose, sia costretto al raccoglimento assoluto dei boschi.

Così, con mio sommo stupore, potei constatare un fatto inesorabilmente controllato (mi si passi la barbara espressione) da cento riprove: che, cioè, quando si saliva di pari passo l'uno accanto all'altro, qualche erta faticosa, Cirillo accelerava il passo via via che ci si avvicinava alla cima e che il vento raddoppiava di violenza dandocene quasi l'avviso; quando poi si era in vetta, avesse tirato anche il più strapazzone dei tramontani, il mio compagno di caccia si fermava, facendosi ravvolgere dalle raffiche quasi con voluttà e il suo occhio passava con rapidità indicibile da una cupa espressione di ferocia che non gli era abituale, anzi che divampava un attimo a guisa di baleno in quelle pupille profonde come una pozza limpida, alla consueta espressione di calma serena velata un po' da un languore triste che s'avvicinava moltissimo al pianto.

Cotesta mattina, accorgendomi che il vento tirava in modo eccezionale, mi fermai a un terzo del sentiero ripidissimo che conduceva alla pòsta ed avvertii Cirillo come non mi paresse consigliabile il proseguire.

Cirillo mi guardò in modo così strano che non lo dimenticherò mai, campassi mille anni, poi aggrottò le sopracciglia, corruscò le pupille, quasi con rabbia feroce e abbassando la testa nuda coi lunghi capelli che s'agitavano in tutti i sensi, mosse ancora qualche passo innanzi, senza rispondermi.

Ma io lo seguii rapido, e battendogli con ira sopra una spalla e accennandogli col fucile impugnato il largo giro dell'orizzonte: – Ma siete pazzo stamane, – gli dissi brusco, – Cosa vi piglia? Credete proprio che voglia capitombolare nel borro per il vostro capriccio?

Contemporaneamente i querciòli presero a dimenarsi in modo tremendo agitando le foglie, a scricchiolare, a torcersi, come una frotta di spiriti, e una folata sibilante, piegando le scope, sbucò dalla cima del colle, arrivò fino a noi, sfiorandoci la faccia, ributtandoci indietro con braccia invisibili, mentre il mio cappello floscio, raddirizzate di colpo le tese che avevo abbassato sugli occhi, mi si sollevò sul capo, roteò per aria, invano seguìto dalle mie mani annaspanti, tanto che corsi il rischio di ruzzolare dal margine giù per la scarpata, poi preso da un mulinello furibondo, girando come una trottola in mezzo a nuvoli di fuscelli e di palèo, scomparve dalla nostra vista in meno che non direi amen.

Perdio! – bestemmiai alzando la voce per farmi sentire fra mezzo ai sibili della bufera, – non siete persuaso ancora? fischiate i cani, e torniamo addietro! Non vo' mica rimetterci la pelle per una lepre, sapete?! fischiate i cani.... via!

E dètti volta.

All'ordine perentorio Cirillo si fece di bragia, ma ubbidì con prontezza meravigliosa, scendendo di corsa verso di me, poi affacciandosi all'orlo del dirupo emise colle due dita cacciate in bocca un fischio lungo, acuto e bizzarro, al quale di lontano rispose un latrato lungo, di lupo.

I cani abbaiavano "a padrone". Avevan capito.

E si cominciò a calare, incespicando nei sassi, cogli occhi al suolo per non cadere, mentre il colore del terreno rincupiva sempre più e l'erbe si rovesciavano dalla parte chiara, indizi sicuri che il cielo sopra di noi doveva esser nero come la bocca del forno.

Arrivati al piano, vedemmo giungere i cani di gran galoppo, strafelati, colle lingue rosse penzoloni dalle labbra floscie, il pelo irto, la coda raggricchiata fra le gambe; alzammo gli occhi e subito li percosse il bagliore d'un gran lampo bianco e silenzioso che parve su tutto il cielo d'un bigio rossastro una subitanea vampata calda; a destra, contro uno strappo chiaro, il campanile di Bagnòlo, rosso rosso, si profilava esiguo quasi stesse per essere schiacciato dalla cappa plumbea che si stendeva di sopra.

Cirillo si cacciò risolutamente per il viottolo fra i macigni spezzati che menava diritto per la parte più ardua, ma più breve, a casa sua e mi disse, cominciando a salire:

– Ha ragione lei, signorino, vuol esser proprio un affare serio!

– Finalmente! – esclamai, – hai sciolto la lingua.... ma, per carità, ora va' piano tu, chè non voglio schiantare per risparmiarmi due gocciole d'acqua.... – E, camminando sempre, seguitavo: – Cosa diavolo ti pigli certe volte, non lo so; oggi poi ti credevo ammattito! Vedrai di qui a un quarto d'ora che roba! Questo è un ciclone vero e proprio. La Bifonica è pericolosa e famosa per questo....

Scusi, o come fa a saperlo, lei?

– Come fo? Ti devi figurare che perfino uno scrittore antico, del Cinquecento, un certo Machiavelli, racconta d'un ciclone che si partì, come questo, dalla punta di San Casciano, investì Bagnòlo, scoperchiò il tetto della chiesa e tutte le case e scaraventò quaggiù in questi burroni un povero barrocciaio co' suoi muli e ogni cosa!

Cirillo mi stava a sentire, trasognato, senza batter palpebra, poi si picchiò la fronte con una mano ed esclamò con voce strangolata:

– E ci ho quelle due creature, capisce? e non ci pensavo!

Dopo di che prese a correre per l'erta con passo talmente veloce che, quando arrivai davanti alla casupola, ero di già bagnato dalle prime gocciole cadute mentre lui aveva bell'e acceso il foco e dato da bere ai cani che s'erano sdraiati sotto la tavola con tutte e quattro le zampe distese, come se fossero morti.

Intanto Cirillo mi faceva, a modo suo, gli onori di casa, scusandosi e dandosi un gran da fare, mentre io l'ammonivo di non pigliarsi soggezione e l'aiutavo a tirar fuori le provvigioni e apparecchiare alla meglio.

Non ero mai stato a casa sua, perchè lo trovavo tutte le mattine puntuale come un oriólo, al principio del bosco, dove mi pigliava la sacca delle provviste e scioglieva i cani.

Mentre si mangiava, la bufera scoppiò davvero in modo che pareva proprio che scrollasse la montagna intera dalle fondamenta e l'embrici ballavano sul tetto, alla rabbia del vento, con un rumor di gragnuola; il bimbo e la bambina, ad ogni soffio di baleno che inondava tutta la stanza lasciandoci negli occhi un barbaglio di scintille e dopo, d'intorno, buio e silenzio, si stringevano alle ginocchia del babbo che li guardava con una tenerezza infinita, un po' strana in quell'uomo selvatico, e li baciava sui capelli; poi, come i tuoni rotolavano sempre da grotta a grotta con fragori sinistri, i fanciulli bruciavano un po' d'ulivo benedetto al lume della Madonna e, co' loro pezzi di pane e di companatico, si ritiravano in un cantuccio alternando un boccone e un'invocazione alla Vergine.

Mescendo il vino, mi venne fatto di guardare que' due ragazzi e, nel cercare invano la donna che li avrebbe dovuti custodire, di domandare a Cirillo se era vedovo, e da quando.

Alla domanda, il vecchio bracconiere abbassò il capo sul petto, rimase brevi istanti come pensieroso, poi tracannò d'un colpo il bicchiere del vino e mi disse, guardandomi bene in viso:

– Lei è un uomo e a lei posso dire ogni cosa.... Dianzi.... quell'altre volte.... insomma, sempre quando il vento soffia così, io provo un non so che, sento un affare.... come faccio a spiegarglielo? Tutto per via di lei, che è sempre viva, capisce? sempre viva!!

Rimasi col bicchiere a mezz'aria, senza finirlo di portare alle labbra.

– O cosa c'entra il vento? – rincalzai.

– Glielo spiego in du' parole.... benchè mi faccia un certo effetto.... benchè mi metta un gruppo, qui alla gola.... ma lei è un uomo e poi, sfogarsi, qualche volta, fa bene....

"O senta! L'ha mai vista la Madonna, lei? no? e neppur io; ma se c'è, può essere come quella, salvando il paragone, più bella no. E dire che sotto a quell'aspetto di santa levata dagli altari.... Basta! io che discorro con lei e mangio e bevo e quelle due creature innocenti, siamo qui per un miracolo del cielo, lo creda a me, per un miracolo del cielo!

"Si deve figurare che io mi levavo la notte per andare a tagliar la legna, mentre il giorno cercavo di far fruttare questo terreno che è tutto galestro e alberese, glielo giuro! galestro e alberese, e ora c'è la sua vite, il suo olivo, e il fico e l'ortaggio e ogni cosa!... A tavola il miglior boccone era per lei; aveva il vezzo di corallo, aveva l'anello, aveva le buccole d'oro, capisce?

"E quando la raccattai dalla polvere della strada era una zingara, nuda bruca senza neanche la camicia addosso! nulla!

"O perchè ebbi compassione di quella ragazza, tanto più giovane di me?

"Ma era così bella! e io me ne tenevo, la festa, quando mi rimpannucciavo un po' e andavo a giocare alle bòcce sul sacrato e la vedevo discorrere, alla lontana, con l'altre donne, mentre tutti quelli che passavano me la divoravano cogli occhi.

"Poi lo spirito maligno la prese per il collo, chi lo sa come, l'accecò....

"Ma si figuri che io, a lui, più che a un fratello gli volevo bene, e per lui c'era la porta aperta e il fiasco a disposizione.... Sì! perchè non si vergognava neanche a mangiare il mio pane.

"Ma quando li sorpresi, , vicino alla macchia, quel giorno di luglio, un giorno come oggi, me ne ricorderò sempre, rimasero diacciati dallo spavento, diacciati! Era la paura ed era il rimorso, perchè non avevano scuse, non c'era remissione, per un'infamia, un'iniquità come quella!

"Io ridevo, ridevo col pianto in gola, vedendoli fuggire giù per il dirupo, ruzzolare fra le scope, insanguinarsi tra i sassi.... ridevo! Cos'era, per me, raggiungerli e freddarli?

"Come un fulmine, traversai l'orto a salti di lupo, montai le scale, staccai lo schioppo dal muro.... maledizione! era scarico....

"Colla bacchetta tra i denti, strappavo colle mani tremanti li stoppacci.... poi li calcavo.... con un furore!... se avesse visto, che carica!... da far scoppiar le canne.

"Finalmente agguantai lo schioppo e giù, a fittoni, per il burrone. Li vedevo sempre annaspare, incespicando, arrampicandosi colle mani, coi piedi, lui senza giubba, senza cappello, lei con tutti i capelli biondi che sventolavano.... perchè s'era levato il libeccio e il cielo rincupiva come oggi, tal quale, e non fui a metà dell'erta che sentii i querciòli fischiare e urlare tutti insieme come dianzi; poi scoppiò un tuono, tutte le scope si piegarono e tremavano che pareva fuggissero, e loro scomparvero lassù dalla cima avanti che ci arrivasse il turbine che veniva da San Casciano, diritto, come ha detto lei poco fa.

"Prese me in vece il turbine, mi prese in pieno petto come un gran pugno, mi rovesciò; mi rialzai, tornò a ributtarmi in terra. Io piangevo, bestemmiando, attaccato a una ceppa di querciòlo colla sinistra, dondolato sul baratro come uno straccio trattenuto da un chiodo e colla destra cercavo di mirarli, alla meglio, mentre apparivano e scomparivano fra le scope alte sul poggio di fronte, più bassi di me.

"Non c'era versi, non mi riusciva. A un certo punto, proprio quando m'era parso di esser arrivato a imbracciarmi, una folata tremenda mi rigirò con le spalle contro l'albero portandomi, nel tempo stesso, un belato e un grido, fiochi e lontani.

"Di faccia, tra 'l velo dell'acqua, vedevo le pecore fuggire su verso casa e la bambina, sotto quel diluvio, colle mani nei capelli, che si disperava, lassù....

"Allora rifeci la china, m'arrampicai per il poggio, col cuore in gola; arrivai qui, fradicio, intinto, disperato; buttai il fucile in un canto, presi la bimba sulle ginocchia, mi tirai il ragazzo sul petto e piansi, non mi vergogno a dirglielo, ma piansi tanto....

"Vede? Fu il vento, fu proprio il vento che non volle ch'io mi vendicassi, e mi salvò, me e quelle creature innocenti...."

E scrollando la testa con aria rassegnata, accennò a' bambini i quali, finito il pane e le preghiere, s'erano arrampicati sopra una seggiola e avevano spalancato la finestra dalla quale entrò una buona ondata di odor di bosco e di luce fredda.

Babbo! babbo! guarda! – esclamò il più piccolo battendo le mani tutto felice, – bello, l'arcobaleno!

Ci alzammo entrambi, ci si fece sulla porta, respirando a pieni polmoni.

Davvero! – disse Cirillo, accennando intorno a noi il bosco tutto fradicio e scompigliato, – e il vento resta.... la bufera, ormai, è passata.



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