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Agli idealisti e agli innamorati.
I cani dormivano come ciocchi intorno al fuoco, di fuori infuriava lugubre il vento della montagna e noi si continuava a ciarlare, col fiasco davanti e le pipe in bocca, intorno alla rozza tavola di quercia tagliata coll'ascia.
Era una scena pittoresca.
Noi due cacciatori, in maniche di camicia (le giubbe fumavano dinanzi alla fiamma insieme coi gambali intinti); il guardacaccia adusto, segaligno, tutto rughe e tutto colore, e quel bel giovine pallido, dalle spalle quadre, ma dallo sguardo spento e le gote emaciate come un viveur di città e che non aveva pronunciato mai una parola; su e giù per la stanza andava e veniva l'Adelaide, rintronandoci colle sue risate grasse e lunghe che ci costringevano a buttarci via anche noialtri per un nulla, fosse pur detto senza malizia.
– Sì, signorino! – e giù una risata pazza.
– La mi fa rider lei!
– Io? o che son buffo?
– Ma che le pare?
E giù un'altra risata lunga, convulsa, alla quale si faceva eco tutti, meno il giovine pallido.
A furia di risate, quando il pònce fu mesciuto nei bicchieri, dalla facezia salace, si era entrati a piene vele nel "mare magnum" dei discorsi allegri e dei doppi sensi.... Si parlava di donne!
Allora il giovine pallido si alzò, con una strana fiamma negli occhi, bevve il pònce che bolliva, bruciandogli la gola, come se avesse paura di far tardi ad andar via e con una "buona notte" smozzicata fra i denti che parve una maledizione, s'alzò di scatto, infilò l'uscio e fuggì.
– O cosa gli piglia a quello, – feci io, – che è impazzato?
– Mi pare anche a me, – disse il mio compagno.
– Eh! – sclamò l'Adelaide dall'acquaio, – a pena lo toccano su certi tasti lui se la dà a gambe....
E si torceva dal gran ridere, colla bocca che le arrivava fino agli orecchi, col viso rosso congestionato sotto i capelli scompigliati come quelli d'una versiera, facendo sobbalzare informi ammassi carnosi che un tempo lontanissimo erano stati forse e seno e fianchi.
Il vecchio guardacaccia la sbirciò di traverso, tutto arrabbiato:
– Ti vuoi chetare, – la rimproverò, – metti-bocca?
– Io? – rispose la donna, soffocando sulle labbra col grembiale ruvido di canovaccio le risate che ora sibilavano e mugolavano facendo sforzi prodigiosi per uscirle dal naso, –– io? se ne sono accorti tutti oramai, l'è storia vecchia.
– O vecchia o no, – ribattè il guardaboschi, – a te non ne dovrebbe importar nulla.
– Scusate, – azzardai io incuriosito, – il sor Alberto, forse, non è di qui?
– Ma nemmeno per idea! È di giù, della città, è una persona istruita e distinta.... e un signore davvero.
– Tutto l'anno. E ogni sera viene a cenar qui, baratta una parola a mala pena con me; poi va a letto.
– E dov'è la casa sua?
– Eh! signorino, lei mi vuol far discorrer troppo; maledetta quella pettegola (e si voltava, minacciando colla sua mano aperta verso l'Adelaide) – che non sta zitta un minuto.
– So di molto, – urlò la donna rigirandosi colle mani sui fianchi, – so di molto! credevo, anzi, che questi signori avessero sentito dir qualcosa!
– Ma noi non sappiamo proprio nulla, – esclamai più incuriosito di prima, – non sappiamo proprio nulla!
– Sicchè, lì sotto, – disse il mio amico Aristide ravviandosi colla mano nervosa i capelli precocemente bianchi, – lì sotto c'è un mistero
– E lo vogliamo conoscere! – concludemmo con energia, battendo sulla tavola i bicchieri del pònce che avevamo vuotati di colpo, come si fa abitualmente quando si vuol dar forza ad un discorso.
Il guardaboschi si schermì, con vivacità.
– Ma se non so nulla, – gridava, – glielo giuro, signorini, nulla di nulla....
– Ma sì!
– Ma no!
– O sentano, – interruppe l'Adelaide che moriva dalla voglia di udir raccontare; – lui – (e accennava il vecchio) – lui la sa lunga! Perchè qui sotto c'è un mistero, un mistero grosso da non averne un'idea! Si devono figurare che il sor Alberto quando venne quassù era grasso, fresco, roseo come una pèsca matura; era qui per andare a caccia e stava da me, a mangiare, a dormire, sempre allegro, sempre burlettone.... credano, un piacere!
"Un bel giorno non si vide più, scomparve; poi ritornò, e nientedimeno, andò a stare nel Palazzo, come si dice noi, un castello mezzo diroccato, ritto lassù sopra un pinnacolo fra due rupi in mezzo alle montagne, che pare un nido di falchi....
"E da quell'epoca tutte le volte che sente discorrer d'amore o che vede una donna, fugge come un dannato.
"Ecco la verità, e chi ci capisce qualcosa è bravo."
– O allora come mai, – fece Aristide, – viene a mangiar da te? o cosa sei te, per lui, un uomo?
– Io? – urlò l'Adelaide mostrando il viso color cinabro, bitorzoluto, tumefatto, devastato, – io? o se paio lo spauracchio! – E giù a ridere all'impazzata: poi, facendosi seria, a mo' di conclusione, aggiunse, accennando il guardacaccia: – L'unico che possa sapere come stanno le cose, eccolo lì; ma il difficile consiste nel cavargliele di bocca.
E ritornò a sciacquare i piatti con un impeto che pareva li volesse spezzare.
Il vecchio rimase un momento pensieroso, mentre noi lo esortavamo a discorrere, assicurandolo che dalle nostre bocche non sarebbe uscita una sillaba, poi guardandoci attentamente, con quei suoi occhi furbi, rispose adagio:
– Giacchè si tratta di loro, cioè di due persone serie e ammodino, discorrerò; ma ad un patto.
– Qualunque patto! – urlammo noi, oramai esasperati dalla voglia di sapere.
– A patto che l'Adelaide se ne vada; perchè, vedano, quella ha mangiato il fegato di capra e quante se ne racconta, tante subito ne svescia!
– Pover'uomo! – rispose la donna, scrollando la testa in atto canzonatorio; – del resto.... per me? credete che me n'importi qualche cosa? guardate come si fa.... – E rimesso l'ultimo vassoio nella piattaia, si rasciugò le mani e presa per l'uncino la lucernina di ferro; – signori, bonanotte! – ci disse, – e se ne andò, ridendo sempre.
– La vòl morire! – esclamava il guardacaccia caricando la pipa, mentre noi si faceva altrettanto; poi, dopo averla accesa, e dopo cacciate, giusta l'uso, le solite due o tre boccate di fumo, incominciò
– Certe cose, le racconto a loro, perchè son gente di città, pratici del mondo e abituati a non meravigliarsi di nulla, specialmente da parte delle donne! Le donne, io, le credo capaci di tutto.... fuorchè di far del bene.... basta! torniamo a noi. Dunque, stamattina, non siamo passati per andare a cercar di quella beccaccia nella palina di sopra, da una strada ripida, a picco, fra i castagni, sotto il castello di Mugnana?
– Ce ne ricordiamo benone.
– E poi s'è preso quell'erta, dove i sassi consumati dallo scolo dell'acque tagliano come rasoi e che porta a quell'altro castello, a Serzate....
– Già, già! quei due castelli neri appollaiati su due poggi aguzzi l'uno di faccia all'altro, che pare si guardino in cagnesco.
– Precisamente; perchè, dicono, costì, in antico, si combattevano i padroni d'un castello con quelli di fronte.... roba da tempi barbari....
– Tirate avanti!
– Dunque, dietro Serzate, non s'è trovato un viottolo il quale accompagna l'acqua di quel borro che fa un romore tra i massi come se ci fossero dieci mulini?
– Sì, e lì, a una svoltata, nella gola del monte, contro uno sfondo nero di boscaglia, in bilico sopra un macigno spettacoloso c'è apparso un terzo castello in rovina, tutto rilegato dall'edere, nero, gocciolante, fantastico!
– Bene; e loro si son messi a gridare che quella era una allucinazione, che quella era roba edificata la notte dagli spiriti, che non poteva essere opera d'uomini; bene! il sor Alberto da un pezzo in qua s'è stabilito di casa lì!
– Sarà come dicon loro, ma a noi ci pare impazzato, e, dato il caso, il suo perchè ci sarebbe....
– Sentiamo.
– Io, sia per esser vecchio, sia per il fatto che fino da' primi giorni aiutavo il sor Alberto a raccapezzarsi su per questi poggi, cominciai a diventare il suo confidente (capiranno, a trovarsi nella selva in due soli per delle giornate intere, si finisce per raccontarci ogni cosa) e dàgli oggi, dàgli domani, mi disse che i suoi lo volevano sposare a una ragazza che gli piaceva poco, ma che era ricca, ricca da far paura; che a lui però non gliene importava nulla perchè ci aveva tanto da campare e poi mi disse che in vita sua non aveva mai trovato nessuno che gli volesse bene davvero, e che, avendo dovuto sempre vivere nelle grandi città, aveva preso a noia il mondo e gli uomini, e che si sarebbe fatto frate le mille volte e che se non fosse stato quel gran bisogno di voler bene a qualcheduna (e non gli riusciva di trovarla!) a quest'ora avrebbe detto addio a ogni cosa per chiudersi in un convento e bonanotte!
"L'anno scorso a metà novembre, successe un caso straordinario; una mattina il sor Alberto volle passare di sotto al castello, al Palazzo, come si dice noi, ma proprio di sotto, bàdino! Io non avevo coraggio, perchè quassù ci si tiene tutti a una certa distanza da quella rovina, ma lui tanto disse e tempestò che mi fece fare come gli parve.
"A pena vicini (si scorgeva tutto il muraglione di cinta, in piedi, intatto, co' suoi merli e, dietro, la torre con una finestra doppia a vetri tondi e un colonnino nel mezzo) si sente un suono come di pianoforte, ma più dolce, una cosa divina che non gliela posso spiegare e poi si leva una voce di donna.... di donna? Ma cosa dico? gli angioli del paradiso, lo credano a me, possan cantare a quel modo.
"Il sor Alberto si turbò tutto, rimase lì inchiodato, pareva che ci avesse messo le radici; ed ecco spalancarsi una porticina a muro, e uscir fuori un servitore, moro, capiscono? proprio come gli africani, e tutto vestito di rosso!
"Loro non possono credere lo spavento che provai; ma quello venne avanti e ci domandò la strada per andare alla più vicina bottega (discorrendo male, ma colla voce come abbiamo noi) e il sor Alberto, tutto gentile, gliela insegnava e poi lo volle accompagnare, con mille attenzioni e cortesie che il servitore pareva diventato lui!
"Si figurino, quassù! noialtri! L'Adelaide, io, il postino, tutte le volte che quel còso rosso veniva a bottega, facendo scappare i ragazzi, si tempestava di domande. Lui comprava i generi (poco pane, e casalingo, qualche fiasco di vino, uova, polli) e zitto. Una sera soltanto in cui ci riuscì di fargli bere due o tre bicchierini di certosino, ci disse che quel castello l'aveva comprato a Firenze, senza vederlo nemmeno sulle fotografie, e a porte chiuse, da' vecchi padroni, la sua signora, un'americana ricca come non se ne può avere un'idea e che aveva girato tutto il mondo. Nè ci fu versi di cavargli altro di bocca.
"Io, ma il sor Alberto più di me, ci si struggeva di saperne di più; quando una mattina, a brùzzico, venendo qui alla bottega a prendere il signorino per andare a caccia, mi sento dir dall'Adelaide ch'era uscito la sera avanti, dopo cena, e non era tornato più!
"Mi si rizzarono i capelli sulla testa!
"Pensavo a mille pericoli, a mille casi.... che fosse ruzzolato nel borro, che si fosse sperso nella palina, che l'avessero affrontato i fuorusciti.... Tutta la notte si battè il monte colle lanterne; si saliva su questi poggetti e colle mani alla bocca s'urlava a perdifiato: Sor Alberto! Oh! sor Albertoooo!... e l'eco pareva che ci pigliasse in giro; rispondeva da tutte le grotte: ....bertooo!! ma non si trovò nulla e all'alba, pallidi, stanchi, morti, si ritornò dall'Adelaide colle trombe nel sacco. Costì, però, ci aspettava una sorpresa. Il moro era venuto presto presto, e aveva detto, esprimendosi alla meglio col suo parlare forestiero, che la sera avanti s'era imbattuto nel sor Alberto che scendeva giù verso la via provinciale e che gli aveva dato un bigliettino pregando di recapitarcelo, e sul biglietto c'era scritto: "Vado a casa, torno presto, saluti; Alberto". Si tirò tutti un respiro.... Dio! che paura ci aveva fatto!
"Per quasi un mesetto si stette tranquilli, ma nuove del sor Alberto non si avevano; quand'eccoti, una mattina, prestissimo, si sente giù nella strada provinciale la tromba d'un'automobile e di lì a mezz'ora, tutto sudato, arriva quassù un signore che ci domanda del sor Alberto.
"E noi: – È in città, da' suoi....
"– Come da' suoi? o se io sono suo fratello – (e difatto lo somigliava come una gocciola d'acqua a un'altra) – e vengo a posta a cercarlo perchè non ne ho più notizie da un mese!
"Se lo imaginano, loro, come si rimase noialtri?
"Quel signore cominciò a piangere e a disperarsi, e noi a calmarlo, a fargli animo, arzigogolando supposizioni con supposizioni.... sarà qui, sarà là, avrà fatto, avrà detto.... ma, in fondo al cuore, si faceva bell'e morto, sfragellato in fondo a qualche precipizio in un di quei momenti di melanconia che lo rendevan mutolo come la tomba.
"Non so a chi, forse a me, venne in mente, a un certo punto, il moro vestito di rosso. Che fosse rinchiuso nel Palazzo? e si disse ogni cosa al fratello del sor Alberto; ma quello, con gran meraviglia di tutti, ci rispose che proprio per la via provinciale, distante forse otto o dieci miglia, aveva incontrato sul far del giorno, un'automobile rossa, guidata da un moro vestito di rosso, con dentro una signora tutta rinvoltata in veli azzurri e che non aveva potuto vedere se fosse giovine o vecchia, bella o brutta, perchè andavano come il vento, e anzi le due vetture avevano corso il rischio di cozzarsi insieme e capitombolare giù dal Pontaccio.
"Nessuno di noi sapeva più che pesci si pigliare.
"S'andò col fratello del sor Alberto fino al Palazzo, e lì chiama, urla, bussa.... si spararono fucilate in aria, si fece il diavolo a quattro. Nulla! Soltanto al rumor degli spari, una gran frotta di falchi si levò a volo sopra la torre e si perse di là dal crinale della montagna.
"Era mezzogiorno, il sole principiava a picchiare e si decise d'andare a mangiare un boccone e seguitar le ricerche.
"S'era a pena a tavola, quando si sente un urlo dell'Adelaide: Eccolo! è lui! e di lì a poco il sor Alberto, in persona, entra in bottega, pallido, cogli occhi cerchiati di nero, barcollando come un ubriaco.
"E non volle dir nulla, e non si potè fargli aprir bocca in nessuna maniera; mangiò pochi bocconi, poi buttò via ogni cosa come se il pane gli paresse amaro e supplicò il fratello, se gli volesse bene, di lasciarlo in pace, di non venire più nemmeno a cercarlo quassù; volle ritornar subito al Palazzo, ci dichiarò che ora quel castello era suo e che ci poteva stare finchè volesse: ma il fratello (lui doveva conoscerlo bene!) mi si raccomandò che lo guardassi e non gli lasciassi armi cariche a portata di mano.
"Ma sì! quando s'era chiuso dentro a quella ròcca come si poteva saper quello che avrebbe fatto?!
"Per una fortuna (dico fortuna per modo di dire) si ammalò. Una mattina s'affacciò alla finestra della torre e mi buttò le chiavi della porticina pregandomi d'andare ad assisterlo. Obbedii e quel giorno scopersi il segreto.
"Avessero visto il Palazzo, dentro! un mucchio di rovine; colonne spezzate, capitelli infranti, vasi, statue, cornici, tutto ammonticchiato e dal tetto cadente ci pioveva e sopra ci vegetavan l'erbe e ci si posavano gli uccelli. Soltanto nella torre, a pian terreno e al primo piano, eran tre o quattro stanze belle, ma scure, coi muri massicci che le devon render fresche di state e calde di verno e una poi, mobiliata.... non gliela posso descrivere!
"Il sor Alberto era sdraiato in un gran letto alto, a colonne, tutto parato di rosso, e rosse erano le pareti della camera, rosso il tappeto in terra, il soffitto portava nel mezzo una bestia verde scolpita. Da una parte poi vidi una specie di pianoforte, ma più piccino, tutto pitturato e coperto di fogli di musica, alla parete un ritratto al naturale, bello, di donna, e di faccia uno specchio (grande come un uomo) che lo rifletteva....
"Il sor Alberto aveva la febbre, il delirio; mi si raccomandava che non gli chiamassi il dottore, se no si sarebbe buttato giù dal letto, avrebbe fatto chi sa quante pazzie.... insomma, affari seri! Come Dio volle, si calmò, ma stringendomi le mani con una forza da spezzarmi l'ossa, mi singhiozzava all'orecchio: – L'avevo trovata, capisci? la felicità.... e l'ho perduta!... per sempre!
"Non mi è riuscito mai di sapere come fosse successo che aveva incontrato quella donna; capii che l'aveva ammaliato, l'aveva rinchiuso con sè nel castello, l'aveva fatto impazzar d'amore, poi, stanca, era fuggita, non vista da nessuno, così come era venuta, a guisa d'uno spirito, lasciandolo addormentato nel letto. Mi fece vedere anche uno scritto, dove gli diceva che non l'avrebbe riveduta mai più.
"O cosa ci faceva, dico io, sola fra questi monti? chi era? E avrà avuto marito? Chi lo sa? Ha trovato quel bel giovine, gli ha fatto la fattura perchè non se ne potesse scordare, poi è fuggita, come le zingare quando hanno dato il malocchio.
"E quel bel giovine ora morrà di cattiva morte, tisico spolpo, consumato dal desiderio.... o perchè? me lo dicon loro, o perchè? Chi si raccapezza in questo rebus? Che gusto avrà provato a tormentare una creatura così, chi sarà stata quella donna?...
Il silenzio era alto nella cucinetta fumosa; di fuori il vento impazzava più furibondo che mai e, davanti alla mente, ci passò rapida la visione della camera rossa, in quel castello diroccato fra le montagne, dove un uomo agonizzava, giorno per giorno, disteso sopra un letto di damasco e circondato da magnifici fantasmi che si divertivano a torturarlo.
Ma l'Adelaide, che aveva ascoltato ogni cosa dietro al buco della serratura, spalancò di colpo la porta, ed affacciando sulla soglia la sua faccia ributtante, esclamò:
– Chi era quella donna, glielo dirò io, invece, che non ho mai visto fare al sor Alberto nemmeno il segno del cristiano.... quella donna, era il Diavolo!