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La luna quasi nel suo pieno versava sulle campagne un bagliore latteo tremolante, che svelando qua e là delle stese e dei dossi di campagna, rendeva più misteriosi i luoghi occulti. Nello spazio chiaro del cielo erravano alcune nuvolette traendosi come di rimorchio sotto l'impulso del vento. Poco brillavano le stelle presso la luna. Era insomma una notte che non si finirebbe mai di descrivere! L'anima di Margherita si tuffava in quella infinità di luce molle e voluttuosa, provando quasi quel sapore che dà alle membra gentili d'una giovinetta un bagno tiepido di latte: Oh! anch'essa aveva sognato il giardino della sua vita illuminato da un continuo raggio di luna, e se si addentrava in ciò che oggi si potrebbe dire il fogliame de' suoi segreti desideri, udiva uscirne delle voci piene di tenerezze miste al fruscìo di molte foglie secche cadute anzi tempo.
Essa non era nata per consumarsi giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto nel congegno d'una vita uniforme come le ruote di un orologio: voleva essere molto amata, molto carezzata, molto adulata. Lo meritava.
Gli occhi fissi nella luna a poco a poco si riempivano di lagrime. Poiché erano rimasti soli nel vagone che cosa vietava che si facesse un po' di pace? Gli uomini sono spesse volte dei macigni grossi e massicci che a saperli spingere nel loro verso si muovono con un dito. Il peggior modo è di cozzarci dentro col capo.
Tratta a poco a poco a sentimenti più dolci e più umani, Margherita vinse l'ultima ostinazione dell'amor proprio, rimosse l'ultima pagliuzza, si alzò, andò a sedere sull'altro sedile, stese la mano verso quell'uomo che fingeva di dormire colla bocca cucita dal fil di ferro, gli prese la mano... Misericordia!
Margherita gettò un grido e saltò in piedi.
- Leopoldo! - chiamò essa lanciandosi verso la finestra.
Il signor Claudio (l'uomo che dormiva) si scuote, salta in piedi anche lui, non trova più sua moglie, ma un'altra donna che piange e si strappa i capelli. Il treno intanto va con la velocità del vento.
Per intendere meglio che diavoleria era accaduta, bisogna tornare indietro fino a Parabiago, dove la sora Ballanzini giace svenuta sul divano del capostazione. Accanto le sta il cavaliere Spazzoletti, cogli occhi fuori del capo, pallido di commozione, che non sa in che mondo si trovi.
Le cose erano andate precisamente così. Dopo aver cambiato di posto col suo vicino, senz'avvertirne la moglie in causa del pappagallo, alla stazione di Parabiago lo Spazzoletti era disceso, chiamando in un modo duro e sgarbato: Margherita! Ma anche la sora Ballanzini si chiamava Margherita (se non l'ho detto lo dico adesso). Sentendo il suo nome, ella si scosse da un sonnellino traditore che stava ghermendola per il naso, e non vedendo più l'uomo davanti a sé, tutta spaventata per ciò che era accaduto l'altra volta, senza riflettere, si lasciò cadere sopra di lui. Il topo non cade due volte nella medesima trappola. La sora Spazzoletti vide che i suoi vicini se ne andavano e tornò a fantasticare colla luna.
Si può immaginare ma non descrivere la scena che successe poi sotto il lampione della stazione di Parabiago. Col sangue sottosopra la sora Ballanzini corse dietro per un pezzo a colui che ella credeva suo marito e che si avviava nell'ombra verso il cancello; ma quando gli fu presso e che non riconobbe il suo Claudio, si voltò a cercarlo. Nessun altro era disceso.
- Ferma! ferma! - si mise a gridare al treno che già si sprofondava nella notte.
- Ferma! ferma! - gridò anche il cavalier Spazzoletti, agitando l'ombrello.
I due malcapitati si guardarono in viso un istante istupiditi. Ella cominciò a strillare come un aquilotto, egli a bestemmiare. Si domandò se c'erano altre corse per Milano, non c'erano corse fino alle sette del mattino.
- Maledizione! - esclamò fuori di sé il cavaliere Spazzoletti, correndo su e giù colla cappelliera in mano e coll'ombrello sotto il braccio. Margherita non aveva con sé né i biglietti dei posti, né le chiavi della casa, né i denari. Ad ognuno di questi pensieri il cavaliere Spazzoletti sentiva stendersi un nero velo sugli occhi. Tornò in cerca della vecchia signora, che la sorte gli aveva dato in cambio, e trovò che non parlava più, ma lunga distesa sul divano, non mandava che dei gemiti e dei sospiri.
Quando finalmente, dopo un gran consumo di aceto dei sette ladri, la sora Ballanzini riprese i sentimenti, il cavaliere Spazzoletti cominciò a interrogarla e a sgridarla in mal modo, a rovesciarle insomma sul capo tutto l'ampollino del suo fiele e del suo dispetto. Sebbene fosse già un'ora di sera, molta gente alla prima notizia dell'avventura, uscendo dalle osterie, era venuta alla stazione per godere lo spettacolo: fra gli altri il Caldara aveva pronta sulla via la carrozza che doveva condurre gli sposi alla sua casa in cima al paese. Ma il cavaliere Spazzoletti non vedeva niente, non conosceva più nessuno. Egli pensava a sua moglie in balia di un altro uomo. Povera Margherita! il pensiero dello spavento che essa avrebbe provato, vedendosi a un tratto abbandonata, l'interpretazione che un tale abbandono poteva ricevere dopo le aspre parole barattate in vagone, tutto ciò, misto a un inconsulto sentimento di rabbia, di gelosia, di compassione, lo cacciarono a corsa per un cinquanta passi sulla via ferrata, al chiaro di luna; ma la ragione gli dimostrò subito come fosse sciocco quel correre alla ventura e ritornò in stazione, che, quella notte, rappresentava un punto importante nella geografia della sua vita. Fra gli altri pensieri il più pungente era che Margherita avesse fatto apposta per dargli una lezione.
Ma se per lo Spazzoletti era un'agonia, per la sora Ballanzini, quando rinvenne, l'idea che il suo Claudio viaggiava solo solo con quella bella signora, che sarebbe giunto con lei a Musocco, che l'avrebbe per necessità, per pietà, per cortesia, ricevuta in casa a passare la notte, che... che... quest'idea era la morte addirittura. Ricuperate le gambe, voleva ad ogni costo che le si procurasse una carrozza; ma nessuno si mosse, e le fu dimostrato che nessuno avrebbe voluto scomodarsi in quell'ora, che le strade erano cattive, piene di pericoli: che non valeva il conto per poche ore di differenza d'intraprendere un disastroso viaggio nel pieno della notte, mentre all'alba sarebbe passato il treno di Arona. Volere o no, dovette rassegnarsi anch'essa. Tornarono a guardarsi in viso. La luna nella sua stupida placidezza pareva che ridesse sgangherando la bocca. La strada ferrata si prolungava deserta e luccicante a destra e a sinistro in una lontananza piena di ombra e di misteri. Per tutto era un gran silenzio e una grande solitudine. Entrambi sentirono riempirsi gli occhi di lagrime e una cosa alla gola che minacciava di strozzarli.
Il Caldara, che, non vedendoli uscire, era venuto a cercarli, dopo aver riso dell'avventura, invitò gentilmente anche la signora in casa sua, molto più che i Ballanzini di Musocco non erano persone sconosciute a Parabiago, anzi...
Stavano quasi per avviarsi verso la carrozza, quando il capostazione gridò:
- Signori, è annunciato un telegramma da Musocco.
Fu come se sparasse una fucilata. Il cavaliere Spazzoletti e la sora Ballanzini accorsero con tanta trepidazione, con tanta indiscrezione, che a stento il capostazione poté persuaderli a non toccare la macchinetta, e a sedersi, e a star zitti e quieti.
- Il telegrafo non è una campana - brontolò quel buon uomo del Capo.
Si rassegnarono ad aspettare con pazienza. La punta dell'ago cominciò a picchettare la striscetta mobile di carta con un movimento nervoso e balzano, come il polso dei nostri due disgraziati. La stanza era illuminata da una lucerna posta sulla tavola telegrafica, coperta da un paralume che lasciava nell'ombra il soffitto e le pareti. Il tic-tac della macchinetta non era accompagnato che da un grave e lento toc toc d'un grande orologio a muro rincantucciato dietro uno scaffale.
Quando la punta dell'ago cessò di scrivere, il Capo trasse dall'astuccio gli occhiali, li inforcò sulla punta d'un naso che pareva l'insegna del vin buono, e aggrottando due folti sopraccigli bianchi e due baffi irti come due fascetti di fieno, si accostò alla lucerna. I nostri viaggiatori naturalmente gli si misero alle costole.
- Ma che stagano al loro posto, benedetta pazienza! - esclamò il pover'uomo fuori di sé. - Già loro non ghe capiscono un'acca allo stesso. Dunque el dice: «Musocco, ecc. Strada libera, spedite vino...»
Io credo che i due vedovi sarebbero rimasti stupefatti cent'anni a guardarsi in faccia, se il Capo non soggiungeva:
- Ho capito. Questo viene a noi, e riguarda un carico di vino che abbiamo in magazzino; ma che sentano...
Infatti il campanello annunciava che un altro telegramma urgente era in viaggio da Musocco. Questa volta diceva: «Cambiata moglie, dormiremo a Musocco, venite prima corsa».
Lungo sarebbe descrivere tutti i vari sentimenti che queste parole destarono nel cuore del cavaliere Spazzoletti e della sua dolce compagna: più a lungo ancora il descrivere l'accoglienza che le sorelle e la moglie del Caldara fecero alla sora Ballanzini e a' suoi papaveri. Dirò solo che l'amico per festeggiare gli sposi aveva fatto preparare il the, dolci e vin bianco, e una stanza imbiancata apposta con un letto di piume d'oca. Ma nessuno poté chiudere occhio per tutta la notte. Chi pianse, chi rise e chi pianse per troppo ridere. Spazzoletti si sdraiò vestito sopra un canapè e divorò un mezzo cuscino per la rabbia. Il cuscino gli fe' passare il pappagallo.