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XII
Per quanto riguarda il mio processo, trascrivo alcuni brani di giornali cittadini che l’hanno riportato, sopprimendo tutte quelle spiegazioni che per noi sarebbero di troppo. I lettori guadagneranno senza dubbio nella semplicità dello stile e della grammatica.
(L’accusato è un giovane di ventitré anni, non pregiudicato: il suo aspetto è un po’ grossolano, ma veste abbastanza civilmente: è pallido, e guarda qua e là come smarrito. Il pubblico è scarso. Alla difesa siede l’avv. G. Del Fosco).
Presidente. Il vostro nome?
Accusato. Io sono un’anima doppia. (L’accusato sorride stupidamente).
Presidente. Come vi chiamate?
Accusato. Non lo so, Cogito ergo sum.
Presidente. Se questo ritenete un buon mezzo per la vostra difesa, vi avviso, Marcello Marcelli, che v’ingannate. Il nome di vostro padre?
Accusato. L’uno Graziano Marcelli, e l’altro non lo conosco che di vista, perché in me sono due anime, due principii equipollenti.
Avvocato della difesa. L’accusato è febbricitante e non sa quel che si dice: domando che il processo sia rimandato.
(La Corte concede e la seduta è prorogata).
Presidente. (dopo le solite formalità alle quali l’accusato risponde regolarmente). Sapete perché foste arrestato?
Accusato. Credo dietro sospetto.
Presidente. E dietro una lettera che vi accusa. Si dia lettura della lettera pervenutaci.
Segretario. (cerca la lettera e legge): «Avverto questa onorevole Pretura che l’autore dell’assassinio contro Giorgio Lucini è il sedicente Lucini, che abita presentemente sul corso Vittorio Emanuele, [130] al terzo piano della casa N. 35: egli è in possesso non solo della biancheria, ma di alcune migliaia di lire lasciate dal defunto. Pare che lo stimolo al delitto sia stata la gelosia per una donna, di cui si troverà il ritratto in sua casa. Sarà facile scoprirvi anche le traccie di un vecchio delitto di falsificazione di biglietti di lire cinquecento della Banca Nazionale, con indicazioni utilissime a scoprirne i complici. Firmato: Il Sultano».
Accusato. Chi? (Si alza rabbiosamente).
Presidente. Il Sultano.
Accusato. (cade sulla panca come colpito da un fulmine: mormorio nel pubblico).
Presidente. Cos’avete a rispondere a codesta lettera?
Accusato. È un tradimento, una menzogna.
Presidente. Conoscete la persona che vi accusa?
Accusato. No.
Presidente. Cioè... badate a non imbrogliare i fili della vostra rete.
Accusato. Posso supporlo, ma non lo conosco. Del resto è una accusa anonima, che non può aver nessun valore.
Presidente. Ma le prove che la lettera ci addita sarebbero contro di voi. Punto primo, come spiegate il fatto che il giorno stesso che noi riceviamo la lettera voi cercate fuggire da Milano?
Accusato. Un semplice caso. Io non fuggivo.
Presidente. Dov’eravate diretto?
Presidente. (fa verificare il biglietto della ferrovia trovato indosso all’accusato. È un biglietto di seconda classe per Venezia).
Presidente. Perché andavate a Venezia?
Accusato. (esita a rispondere).
Presidente. Avete voi ricevuto in quel medesimo giorno una visita?
Accusato. Mio padre e il padre del defunto Lucini.
Presidente. Si domandino questi testimoni. Come conoscete il padre del defunto Lucini?
Accusato. Venne per trovar suo figlio, ignorando ch’egli fosse morto.
Presidente. Vi ha lasciato il suo indirizzo?
Presidente. E anche il nome?
[131] Presidente. Come? un indirizzo senza nome?
Accusato. (si accorge della sua contraddizione e la corregge così): Avrei cercato del signor Lucini, sebbene questo forse non sia il suo nome.
Presidente. Che ne pensate voi della morte di Giorgio Lucini?
Accusato. Che fu ucciso per gelosia.
Presidente. Come lo supponete?
Accusato. Da alcune lettere che io trovai nel baule del defunto.
Presidente. Queste, che vi trovammo indosso? (Presenta alcune lettere che l’accusato riconosce). Questa dunque sarebbe la donna per cui... (Presenta un ritratto di donna: l’accusato si turba visibilmente),
Presidente. Da codeste lettere risulterebbe che questa signora abita a Venezia, e che è maritata. Voi dunque eravate diretto verso Venezia per trovarla?
Accusato. (con un fil di voce). Si. (Sensazione).
Presidente. Amate voi questa donna?
Accusato. (si asciuga la fronte).
Presidente. Va bene. Voi pure scriveste qualche volta da Milano a questa... signora. (Il pubblico ride della reticenza).
Presidente. L’indirizzo era ad Anzela Marzani, via Cavalletto, n’è vero?
Accusato. Sì
Presidente. Benissimo. Noi abbiamo avuto il piacere di leggere questa vostra lettera: è scritta in nome del Lucini, cinque o sei giorni dopo la sua morte. Caso nuovo per i morti! (Ilarità). La calligrafia è evidentemente alterata... Eccola. La riconoscete?
Accusato. Sì. (Sensazione).
Presidente. Se ne dia lettura.
(Si legge la lettera del falso Lucini: è piena di espressioni tenere e annuncia una necessaria separazione).
Presidente. Qual era la vostra intenzione scrivendo questa lettera?
Accusato. Di evitare a Marina l’annuncio della morte del Lucini.
Presidente. Potrebbe essere se in voi non fossero tutte le tendenze al falso. Vestiste abiti altrui, v’insinuaste in una casa non vostra, ingannaste la portinaia, fingeste un altro nome, alteraste scritture, e tradiste perfino vostro padre. Noi saressimo più proclivi a credervi, se non esistessero tutte queste menzogne.
[132] Accusato. (è in preda alla più viva emozione).
Presidente. Vorreste indicare quali rapporti esistono fra voi e questa donna?
Accusato. Non esistono rapporti.
Presidente. Almeno la conoscerete.
Accusato. (risoluto). Non la conosco.
Presidente. Il defunto Lucini l’amava?
Accusato. Le lettere lo dimostrano.
Presidente. E voi in che rapporto eravate col Lucini?
Accusato. Di semplice amicizia.
Presidente. E di rivalità, n’è vero? Dite un po’ perché subito dopo la morte del Lucini prendeste il suo luogo?
Accusato. Per eseguire la volontà del defunto.
Presidente. Voi eravate disoccupato in questo tempo.
Accusato. Aspettavo un impiego.
Presidente. Ma indosso vi furono sequestrati libretto di risparmio, molte chiavi e un moccoletto di cera. A che scopo?
Accusato. (fa un atto di dispetto).
Avvocato della difesa. S’interroghi questa signora Marina.
Presidente. Le nostre ricerche andarono infruttuose: è un nome falso anch’esso, come quel di Lucini, come quel di Sultano; siamo in una congrega di falsari. All’indirizzo di via Cavalletto nessuno sa che esista una sign... una donna di questo nome.
Avvocato della difesa. S’interroghi l’Anzela Marzani.
Presidente. Questa era conosciuta, ma è morta. (Sensazione),
Avvocato della difesa. Nelle lettere si parla del marito di Anzela...
Presidente. È latitante. (Mormorio nel pubblico).
Presidente. Questa dama, che non si trova, ma che tiene a bada due amanti, avrà avuto la cura di distruggere delle prove.
Accusato. (sottovoce). È orribile.
Presidente. E v’è di peggio, ma ormai travedo il filo del garbuglio. Nella lettera anonima vi è un altro capo di accusa, cioè di falsificazione di biglietti da lire cinquecento. Questo signor Sultano, che scrive un po’ alla turca, penso che non sia un santo, ma è però un furbo. Noi trovammo nella camera abitata dal sedicente Lucini, e precisamente in uno stereoscopio posto sulla specchiera, una veduta di Canal Grande di Venezia, tre vecchie lettere, ripiegate, diverse prove di biglietti falsi da lire cinquecento, in cui è mal riuscita la firma del cassiere. Anzitutto domando all’accusato se questa veduta di Canal Grande ha qualche relazione col processo.
[133] Accusato. (risoluto). No, del resto io sono matto.
Presidente. Ora si dia lettura delle tre lettere suaccennate.
Cancelliere. (legge la prima lettera, che è un biglietto molto sucido; essa dice): «Non fidatevi di L... È troppo positivo per imbarcarsi in questa faccenda. La firma, come vedrete, non è riuscita. Deludete [sic per: Deludente?]. Il miglior sistema è di nascondere l’apparecchio in una finta stufa. Distruggete questa lettera. G. P.».
Presidente. Che sapete dire intorno a questa lettera?
Accusato. (non risponde, sembra allibito),
Cancelliere. Seconda lettera: «Mia figlia non sa nulla ancora... (Mormorio nel pubblico che crede d’aver capito).
Presidente. Raccomando il silenzio alla sala.
Cancelliere. (legge): «Ella potrebbe aiutarci, perché scrive bene, ma non ho il coraggio di esporla a questo pericolo. So che avevate parlato in via generale a L... di questo progetto. Fate in modo che non sospetti. G. P.».
Lettera terza: «Le firme sono riuscite perfette. Voglio che metà siano almeno di buon valore, altrimenti sarebbe troppo il pericolo a confronto del vantaggio. Avete parlato con L...? Dal giorno che me lo avete nominato non dormo più quieto. G. P.».
Presidente. A chi son dirette queste lettere? non si sa: si sono distrutti avvertitamente gli indirizzi. L’accusato forse potrebbe dirlo. Abbiamo sottocchio due prove mal riuscite di biglietto falso... Accusato, (mostrandogli il biglietto) che ne sapete voi in proposito?
Accusato. (alzandosi). Signor Presidente, io sono matto. (Ilarità).
Uscendo dalla sala si commentava in cento modi questo strano processo, e il solito vecchietto del gilet verde che spiega il verbum ai frequentatori del parterre, diceva: – È chiaro: quel G. P. è il padre della famosa Marina: quell’L... è il Lucini; avendo costui subodorato l’intrigo dei biglietti falsi e facendo forse troppa paura al G. P., cadde in una rete. La figliuola finse innamorarsi di lui e quando fu sicura del fatto suo, trac... L’accusato è un complice, meno furbo di tutti e che paga la pena per tutti. – Non giuriamo che il vecchietto del gilet verde abbia ragione, ma certamente è il caso di dire: “Cherchez la femme”.
[134]