Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Due anime in un corpo

PARTE SECONDA

V ARRESTO DEL SULTANO

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V

ARRESTO DEL SULTANO

 

Il Sultano aveva lasciato villa Carnica verso le prime ore della mattina e gli era toccato anche di vedere i due carabinieri, che salivano; i quali, sicuri di sorprenderlo in letto, per una di quelle idee fisse, che hanno spesso lo splendore della certezza, non osarono chiedere notizia di questo viaggiatore notturno. Si noti però che la strada era molto battuta, e che il Sultano, fiutando, per una specie di magia, il pericolo nell’aria, procurò di passar oltre come una saetta, finché non si arrestò a mettere un po’ di pace nei sensi all’osteria del signor sindaco.

Non saprei dire se egli mi riconoscesse a tutta prima, ma forse sì, perché l’anima sua era già inclinata a vedere in ogni uomo un nemico, e lo sguardo del signor delegato aveva un modo fastidioso di osservare il prossimo, che te lo sentivi addosso tre miglia lontano. Il mantello col pelo, e il cappelletto verde traveduto a quell’ora nell’ombra, in una specie di deserto, dopo avvenimenti spaventosi, e col rimorso nel cuore, se anche gli sembravano giuochi di sua fantasia, non erano giuochi piacevoli e che potessero trattenerlo.

Infatti si vide com’egli partisse di galoppo, e ad ogni colpo di frusta andava ripetendo una frase fra l’ironico e lo spaventato, che rispondeva a quei progetti precipitosi e arruffati che almanaccava in capo.

O io sogno, o quel cappelletto è del... – Non osava ripetere neppure a mente il nome del poveretto, ch’egli aveva fatto uccidere, perché nel garbuglio della sua coscienza non sapeva nemmeno se considerarlo come nemico o come figliuolo.

Egli era giunto a villa Carnica, sperando di salvare almeno, fra tanta distruzione, la bellezza di Marina; ora tornava col capo nelle spalle, l’occhio smorto, e con un continuo rantolo nella gola, che riassumeva tutti i lamenti e le strida della coscienza.

Sentiva di essere cercato e forse inseguito.

Naturalmente i due gendarmi, non trovandolo a villa Carnica, sarebbero tornati sui loro passi, e all’osteria avrebbero intese altre notizie.

Era un’ombra colui? – domandava con voce sotterranea tutte le volte che l’imagine del Linucci o la mia gli passava innanzi.

Sentiva d’essere inseguito e il suo sgomento si sarebbe potuto paragonare alla trepidazione del cammello all’appressarsi del leone.

[176] Bisognava giuocare l’estrema partita; quanto gli rimaneva di meno triste sulla terra era quel po’ di libertà, per cui frustò rabbiosamente il suo bel puledro attraverso l’orecchie: questo balzò due o tre volte e prese la fuga. Il Sultano non voleva di meno, ma lo tenne incatenato colle redini e si compiacque di quella corsa vertiginosa, non pensando al pericolo di essere sbattuto contro un sasso della riva; niente, niente, egli avrebbe rigato di sangue tutta la strada a patto di correre sempre.

Lo scopo era di guadagnare tanto spazio in avanti che desse tempo di raccogliere i pensieri e di formare un progetto, e noi sappiamo che il carrozzone del signor delegato era troppo pesante e i suoi cavalli troppo affaticati per vincere la sfida.

Il delegato, che si era mosso dall’osteria quasi un quarto d’ora dopo, e vedeva il piccolo trotto delle sue rozze, non si alterava per questo, né bestemmiava, come avrebbe fatto un uomo di testa leggera. Ma come feci in appresso anch’io, al lume di un fanale prima, e poi meglio alla luce chiara del giorno, seguì la callaia lasciata dietro dalle ruote del carrozzino e pareva un erudito che investigasse i segni d’un’iscrizione. A lungo andare doveva cessare anche quella striscia a meno che non si sprofondasse nella laguna.

Egli aveva lasciato ordini precisi al signor sindaco, cioè che al ritornare dei due carabinieri, ripetesse il comando di inseguire il carrozzone ed il carrozzino.

Infatti appena i due soldati giunsero all’osteria – erano circa le sette – e intesero l’avviso, balzarono a cavallo, e con due tocchi di sprone si buttarono al galoppo. I cavalli, che sentivano la necessità di non perdere tempo, non toccavano terra e andavano soffiando dalle nari dilatate immensi globuli di fumo, finché in meno di mezz’ora ebbero raggiunto il carrozzone.

Noi siamo già in perdita di cinque o sei migliadisse il delegato – perché il cavallo di Sua Eccellenza è giovane, e furbo come il suo padrone. Voi seguitelo, e quando l’avrete sotto mano, stategli alle coste, finché piacerà al Signore ch’io vi raggiunga.

E i due cavalli partirono ancora di galoppo, lasciando indietro le due rozze, che tiravano più il collo che il legno.

Infatti, in meno di mezz’ora, scopersero il carrozzino che correva a precipizio per una discesa, vista che fece sorridere di un’infantile compiacenza i due soldati.

Il puledro del Sultano faceva del suo meglio, ma non poteva vincerla su quei corridori di buona gamba, che sentivano l’odore degli sproni.

Ora non so imaginare la dissoluzione di un’anima presa dallo [177] spavento. Se fosse dato indovinare, direi che il Sultano sentiva mescolati al sangue degli umori rabbiosi. Era astuto, coraggioso, ricco, ma non rimaneva che un tratto di via, e qui doveva risolvere molti problemi, prendere grandi risoluzioni, svilupparsi insomma dalle strette in cui la società e la giustizia lo stringevano. Balzare di carrozza, e darsi a una precipitosa fuga, volgare, giù per le campagne, se anche non gli fosse sembrato inutile, sentiva di non aver le gambe e lo spirito pronto. Cacciò la testa rapidamente e travide in confuso, anzi quasi suppose quell’ombra minacciosa, che gli galoppava dietro e di cui sentiva risonare un top top eguale e monotono come un processo verbale, inesorabile come una sentenza.

Vengono – mormorò con una voce interna profonda, sommessa, come il gorgoglio di uno che sta per affogare, voce che il Sultano non avrebbe voluto sentire.

Si fece la domanda se gli conveniva voltare in una porta, deviare dallo stradone, o tirar dritto, oltre la città di Mestre, che già discerneva, o fermarsi e affrontare a viso aperto il pericolo, se v’era pericolo, tentare insomma di corrompere, di persuadere, di provare a quei buoni signori il grosso abbaglio in cui erano caduti; belle parole a dirle, ma dopo tutto era meglio tirar via, lesto, senza pietà dei passeggieri, dei villanzoni testardi, delle donne, dei bimbi distratti. Perché aver pietà? Un pitocco, che stava rannicchiato sui piedi di una colonna, sopra un crocicchio, vedendo quella figura e quel bagliore di armi, alzò un viso giallo, solcato dai grossi muscoli, e sbarrò gli occhi bianchi, mentre salutava i passanti con un grugnito selvatico. Il Sultano avrebbe frustato quel miserabile, che si pigliava beffe di lui: passò oltre maledicendolo.

Ora piegava la testa, ora stringeva le labbra, ora fischiava raucamente nella strozza, ma nel cuore al coraggio irritato sottentrava la viltà: le mani stanche e indolenzite non volevano più reggere la testa del cavallo, che volentieri accettava le concessioni del padrone.

Quella fuga durò quasi un’ora, perché i carabinieri, ubbidienti al comando, non volevano disturbare Sua Eccellenza prima del tempo.

Sono persone educatediss’egli fra i denti senza ridere, ma con un sarcasmo doloroso, che è la paura travestita.

La strada non era più quella di prima, larga, difesa e piana, ma diventava più tortuosa, più profonda, più angusta, man mano che discendeva in un vallone arenoso poco discosto dal mare. Come, quando e perché avesse lasciato la strada maestra per ficcarsi in quel viottolo, egli stesso non sapeva dirlo; era giunto al punto che le cose si sfiguravano, e nella nebbia confusa dei pensieri non gli rimaneva che una specie di istinto per andar sempre innanzi.

[178] Ma la strada ingombra di sassi, anzi di ciottoloni, premuta dalle due parti da rive scoscese e da cespugli spinosi, sdrucciolevole pel ghiaccio, parve alla povera bestia un cammino irragionevole: onde cominciò a impennarsi e a respingere il legno.

Il Sultano si accorse d’aver innanzi una cava di sabbia, dove moriva appunto la stradicciuola, e chiese un ultimo aiuto al cielo, con uno sguardo fuggitivo, e cristallizzato. Però due piccole lagrime, le ultime, scintillavano negli angoli delle pupille.

Più che altro sentì la ridevolezza dell’avventura, l’impotenza in cui era caduto, la sciocchezza della sua malvagità; e nel tempo che uno dei carabinieri si sbarazzava delle staffe, il Sultano, quasi riassumesse con un impeto di volontà tutta l’ipocrisia d’una vita senza onore, si sforzò di sorridere, e ci riuscì, nell’atto che balzò di carrozza.

Strano! – esclamò una voce alta e sicura, rivolgendosi a colui che gli veniva incontro con troppa sollecitudine. – Strano! Hanno voluto farmi ammazzare a discendere fin qui per la stima d’un carico di sabbia e non trovo nessuno.

Il modo, col quale queste parole venivano pronunciate, lasciò alquanto perplessi i miei due amici; ognuno è soggetto ad errare, e Sua Eccellenza parevatranquillo, e sì preoccupato del suo carico di sabbia, che anch’io, confesso, sarei rimasto.

È lei – domandò il più eloquente dei due compagni – è lei il signor...? – e qui disse quel nome ch’io non posso trascrivere.

Per l’appuntorispose imperturbato il Sultano. – In che posso servirli?

Vorrebbe ella seguirci per un piccolo tratto di strada?

Me ne rincresce; aspetto l’agrimensore e non vorrei... Però se è necessario, io non ricuso un piacere all’autorità. So bene che nella vita si danno dei casi stravaganti e... ah! ah! –- Il Sultano rideva come un buon vivente, a cui ne sia accaduta una bellina assai.

Intanto, preso il cavallo per il morso, cercava di farlo voltare in quel piccolo spazio, con certi modi educati che indicavano un uomo, il quale fa di tutto per tirare alla lunga.

È strano! bisogna che io abbia un viso poco galantuomo, perché è la seconda volta che mi pigliano in sospetto e... va , anima mia... – gridava al cavallino con dolce accento veneziano; poi con maniere obbliganti pregò uno dei carabinieri a montare in carrozza.

Il Sultano rideva di quell’ilarità che fa buon sangue, ma vedendo che non v’era più scampo, cominciò a combattere fra sé una lotta grottesca; il suo bel ridere pareva una maschera scempia sopra il volto attratto e rigido d’un moribondo.

[179]

 

 

 


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