Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Giacomo l’idealista

PARTE PRIMA

II. Il signor Mauro Lanzavecchia.

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II. Il signor Mauro Lanzavecchia.

 

La cena era stata preparata all'aperto sotto un pergolato della vignetta, dal quale pendeva una lucerna a petrolio. Fu il signor Mauro che mi venne incontro colle braccia aperte:

Caro ingegnere, che bel regalo! ‑ disse, stringendo nelle sue mani corte e grassoccie i miei polsi, e storpiando, per far presto, il nome di Mordini in quel di Morandini. ‑ Venga qua, venga qua, sor Morandini, ‑ disse, tirandomi verso il pergolato illuminato ‑ lei deve avere una fame d'anticristo, immagino. Metta di essere in casa del patriarca Giacobbe... Santina, e il vino? chi mangia senza vino, senza archetto suona il violino.

Il signor Mauro era un vecchiotto ancor robusto, dalla testa grossa e quadrata sopra un collo grosso e corto, dai grossi sopraccigli che cominciavano a incanutire, dal parlare rumoroso e cordiale, in cui amava intercalare certi proverbi e modi di dire, che spesso non avevano che un significato approssimativo come i responsi delle antiche e misteriose sibille. Dove alle molte idee che gli bollivano in capo venivano meno le parole, egli suppliva con gesti espressivi e con un socchiudere malizioso degli occhi, che voleva dire: i furbi s'intendono... E veramente sarebbe stato come un usargli un'ingiusta scortesia il mostrare di non capire tutti i sensi riposti, che avevano certe sue parole cabalistiche, quasi erudite, e certi sottintesi profondi, pieni di una malizia sopraffina, che gli facevano fare gli occhietti piccoli e aprire le larghe narici di quel suo naso ben piantato nel mezzo della rubiconda faccia di galantuomo. Natura focosa e di primo impeto, più d'una volta questa sua malizia gli aveva impedito di vedere quella degli altri; e cadde nelle trappole che gli tesero i furbi che non parlano. Ma in compenso egli poteva dichiarare a voce alta che un Lanzavecchia non porta mai il cappello sugli occhi e può sempre dire pane al pane, ladro al ladro. Il Nonno Nicodemo Lanzavecchia aveva visto scappare i francesi nella famosa battaglia di Verderio; il padre Galdino Lanzavecchia aveva visto scappare i tedeschi nel quarantotto; e l'attuale Mauro Lanzavecchia sapeva quel che vale questo centauro che si chiama il regno d'Italia... Come chi possiede più idee che non parole per esprimerle, il nostro amico era costretto a concentrare in certi suoi vocaboli prediletti tutti i significati che non sapeva dove mettere; e siccome non c'è nulla che meglio si adatti a un'idea confusa quanto una parola che non si capisce, sa soltanto Iddio quel che egli intendesse dire, quando definiva il regno d'Italia un centauro... cioè un mostro mezzo uomo e mezzo bestia.

Provi questo diaspro, ingegnere, e mi sappia dire quel che ne pensa - riprese, porgendomi un tazzone colmo d'un vin rosso chiaretto. - È un vino che tiriamo da questi nostri ronchi, tutto vino, tutto d'un pezzo, senza ricchezza mobile: un vino che non ha mai tradito nessuno. In vinum veritatem, dillo tu, Giacomo, che hai studiato il vocabolario. Qualche volta ne faccio bere una tazzetta alla mia vecchia legittima, e vedesse come canta.

Va, va, chi ti crede? ‑ fece la Santina, crollando la testa in atto di rimprovero.

‑ Forse che il sor Morandini non sa come gira l'arcolaio? ‑ E qui, socchiudendo uno de' suoi piccoli occhi grigi, m'interrogò a lungo coll'altro su qualchecosa che io e lui dovevamo sapere. ‑ Il sor ingegnere ha studiato la meccanica e sa da che parte ha il manico la tazza... ‑ E rise forte; e risi anch'io per dargli gusto.

Nell'espansione di quel lieto istante m'invitò a togliermi la giacchetta, ché avrebbe fatto anche lui lo stesso, visto e considerato che tirava sotto il pergolato una bell'arietta fresca, netta anch'essa di ricchezza mobile. Durante questi discorsi ai quali mi ingegnavo di partecipare con eguale espansione, sforzandomi di alzare i toni per accordarmi all'intonazione alta del direttore d'orchestra, la mamma Santina finì di preparare la tavola, aiutata dalla Lisa, sorella di Giacomo, una ragazza lunga, ricca d'ossi, cogli occhi sporgenti, che portava un tuppè di capelli neri, irti, duri come lische.

Poco dopo l'uomo, che aveva fermato il cavallo in corte, mise in tavola una grossa polenta tonda, che oscurò col suo fumo la luce della lampada e alla polenta tenne dietro una larga tegghia di rame con dentro stufato e con un contorno di salsiccia annegata nel pomodoro. Le donne presero posto su una panca di legno, mentre sull'altra panca in faccia, accanto a Giacomo, vennero a sedersi i due fratelli, uno di nome Battista, detto per far presto, Battistella, e l'altro, quasi ancora un ragazzo all'aspetto, chiamato, in onore dello zio prete, Angiolino.

Tornavano allora allora dalle fornaci, nel loro succinto arnese di lavoro consistente in una grossa camicia di tela aperta sul petto, colle maniche rimboccate, che lasciavano vedere due belle braccia rinforzate dalla fatica e colorite dalla polvere rossa del mattone cotto, e i calzoni tenuti in vita da una cintura di cuoio. Questi due giovinotti, dopo avermi salutato con un segno duro del capo, tuffarono subito il viso nel piatto. Giacomo, seduto sull'angolo della panca, voltò il suo piatto al rovescio sulla tavola per dimostrare che non era per mangiare.

‑ Ecco tutta raccolta la sacra famigliadeclamò il vecchio Lanzavecchia colla voce piena e soddisfatta. ‑ Lavoratori da una parte, filosofi dall'altra, galantuomini tutti che non temono concorrenza. È la quarta generazione, che cresce all'ombra delle fornaci, e spero di veder la quinta, se questo centauro di governo mi lascierà respirare. Giacomo scriverà un giorno la storia dei Lanzavecchia e dirà come su tutti i muri delle Fornaci sia scritto: «Poveri, ma onesti»... Solamente vorrei che Giacomo mangiasse di più alla tavola di suo padre. Dacché s'è messo a rovistare nella filosofia, fa troppo il patetico. Che bisogno c'è di viver magri? La gloria è una bella cosa e anch'io in gioventù ho sognato di diventar maresciallo; ma sacco vuoto non regge. Glielo dica anche lei, ingegnere.

‑ Sarà innamoratodissi celiando per stare in armonia.

Giacomo arrossì, sorrise, e mi pregò con gli occhi di non insistere su questo discorso.

‑ Se è innamorato, fa quello che fan tutti per mantenere questo cataclisma di mondo, e non sarà mai suo padre che gl'impedirà di mettere un cuscino sotto la testa se si sente basso. A ognuno la sua volta. Che cosa dice il proverbio? Vicende umane, oggi la lepre domani il cane. Se non provvedono i giovinotti al meccanismo, chi mangerà il nostro frumento? dico bene, ingegnere? E, se non fosse stata quella legnata tra capo e collo della Rivalta, gamba d'un cane... ‑ soggiunse aggrottando le folte sopracciglia, rannuvolandosi in viso.

Lascia stare le malinconie quando si mangia... ‑ interruppe la Santina, tagliando e quasi spazzando l'aria con un gesto frettoloso.

Giacomo è il maggiore de' miei figli, ed è giusto che vada avanti agli altri. La sua posizione è fatta, e ora che il mondo dei professori sa chi è, non è necessario che sposi una mugnaia...

‑ Ci son tante contesse in giro... ‑ scappò detto quasi a dispetto suo alla Lisa, che non aveva mai aperto il becco fin qui, e a cui mi parve di vedere che quel discorso irritasse le lische.

‑ O che mi vuoi tirar su le calze tu? ‑ rispose il vocione di . ‑ Io non ho mai negata la mia minestra a nessuno de' miei figliuoli. Chi è nato a portar farina, chi è nato a portar crusca, per tua regola, la mia mai pettinata. Se Giacomo ha avuta la fortuna di trovare dei benefattori che l'hanno fatto studiare, non è una ragione perché egli abbia a mangiare dei sassi. Non sarà mai un disonore che il nome d'un Lanzavecchia sia stampato sul cartone d'un libro. Io non so che cosa è la scienza, perché la vacca quando ero un ragazzo mi ha mangiato l'abbecedario, ma mi diceva il conte Lorenzo, quando sono andato ieri a portargli le tegole per la rimessa, mi diceva che a Bergamo e a Venezia son rimasti di princisbecco per quel che Giacomo ha scritto su quel cataclisma dell'avvenire: dillo tu come si chiama quel tuo libro per cui ti hanno dato un premio. Né io, né tua madre non ne capiremo mai una saetta, perché siam nati quando andavano ancora in processione le formiche; ma don Lorenzo non è un'oca, e, in intuito, istruzione, sa quel che pesano le lasagne. Io non so che cosa sia la scienza, ripeto, ma fosse anche una scopa, il merito è di saper adoperarla. E se quei signori di Venezia dànno un premio di tre mila lire a un Lanzavecchia, capisci, scarmigliona...

‑ Mi dànno meno, molto meno, ... ‑ interruppe Giacomo sorridendo.

‑ Poiché Dio ti ha dato il dono di maneggiare bene la penna, dovresti, gamba di un cane, scrivere qualche diaspro su questa porcheria dell'esattore, che ogni anno ti aumenta la ricchezza mobile. Sotto il cessato governo austriaco, prima del sessanta, si pagava il pane in questi paesi non più di cinque soldi la libbra, e per cinque soldi avevi un boccale di vino di Mondònico che avrebbe fatto cantare i morti. Oggi questi italiani ti fanno pagare sette soldi la libbra il pane, e dico soldi di cinque centesimi l'uno; e a stento per ottanta o novanta centesimi ti dànno uno scongiurato vin di Barletta che ti abbrucia le viscere. Sotto il cessato, un onesto padre di famiglia, che non avesse il capo alla politica, era sicuro di lasciare un po' di dote alle sue figliuole, fare una posizione a cavallo ai maschi, e salvarsi un bicchier di vin vecchio. Sotto questi che comandano adesso, uno non salva nemmeno i denari del suo funerale. E voglion che si gridi viva l'Italia! Grideremo: Viva i ladri! Che se domani volessi, per citare un caso, maritare quella povera cristiana, ‑ e nel dir queste parole il vecchio fornaciaio andava segnando colla punta della forchetta la ragazza lunga e liscosa, ‑ dopo quarant'anni di sacrosanto lavoro, mondo scongiurato, non ho quasi da comperarle un paio di scarpe..

‑ O caro il mio , se lo dite un po' più forte, vengono a cercarmi i tre re magiprotestò la Lisa, ridendo nel piatto con un fare tra l'amaro e il dispettoso.

‑ Sì, sì, cara la mia ricchezza mobileseguitò quel rumoroso padre di famiglia. ‑ Oggi l'aver dei figliuoli non è più una consolazione. Ecco quel che dovresti scrivere in bel volgare, Giacomo, scriverlo e stamparlo sulle loro gazzette a questi italiani, che il diavolo porti sulla forca...

Ohibò, un uomo che ha avuto un figliuolo garibaldino... - provai a dire per far sonare un'altra corda meno stridente; ma il vecchio impetuoso, che cominciava a sentire le tazzette del suo vecchio diaspro, e che da quel ch'era facile capire, sedeva su vecchie piaghe, mi tagliò la parola in bocca per dirmi, strillando come un'oca:

‑ Eh, eh, si è ben creduto che il Garibaldi e compagnia bella dovessero portar l'abbondanza. A sentire gli italianoni d'allora si dovevano legare le siepi colle salsiccie e l'Adda doveva correre vin di Piemonte. Mondo scongiurato, che fallimento! per ogni garibaldino morto per la patria, son spuntati dieci esattori vivi che ti mangiano vivo... ‑ E come se cercasse di spegnere un gran fuoco interno, Mauro Lanzavecchia tracannò la sua quarta o quinta tazzetta.

In mezzo a questi discorsi, nei quali però né Battista, né Angiolino non misero mai parola, la cena finì presto. La mia presenza forse dava ombra ai due giovani, che, finito appena d'ingoiare l'ultimo boccone, dettero una selvatica buona sera e se ne andarono pei fatti loro.

‑ Non tornare a casa come l'altro sabato, Battistella, se non vuoi che ti rinfreschi col secchio del pozzogridò il verso il maggiore dei due che si allontanò zuffolando. Poi, voltosi a me, soggiunse: ‑ È un ragazzo un po' corto di cervello, che si lascia facilmente ingarbugliare dal vino. Forse non è tanto la quantità che fa male, quanto il meridionale che ti vendono quest'italiani di osti.

Più tardi venne a sedersi intorno alla tavola, nella frescura del pergolato, che tremolava teneramente al caldo riflesso della lampada, il maestro della banda, e quel don Andrea, padrone del «Roccolo», un prete bergamasco, che avviò il gran discorso della caccia, delle allodole, dei fringuelli, delle quaglie, dei cani da naso, dei cani da fermo, con quella gravità di sentenze, che ogni buon bergamasco mette in questa speciale istituzione della sua provincia. Essendo sfuggito al prete un giudizio alquanto avventato sulle correnti d'aria della riva lombarda, dove la passata degli uccelli in certe stagioni è quasi nulla, tale da non pagare nemmeno la spesa delle reti, il patriottismo del sor Mauro si risvegliò di botto come un leone affamato; e tra lui e quel pretucolo ruvido e nero come un carbonaio, il battibecco durò un pezzo con tanto calore che bisognò rinnovare il fiasco. La sera passò d'incanto, e non mi parve vero che fosse l'ora d'andare a dormire. Prima di salire a sognare la polenta colla ricchezza mobile, mi lasciai condurre da Giacomo a fare un giretto intorno alle fornaci, su cui batteva una bella luna d'agosto in ritardo.

 

 

 


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