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Quando la mattina aprii le persiane, e che il più bel sole entrò a illuminare la stanza dello zio prete, i vecchi mobili parvero risvegliarsi anch'essi a quell'ondata di luce. Quattro goccie cadute nella notte avevano rinfrescata e purificata l'aria per modo che l'occhio poteva scorrere e riposare sulla conca verde della valle dell'Adda e sulla grandiosa parete dei monti che, addossandosi l'un dietro all'altro, par che chiudano, oltre la riva del fiume, i confini del mondo. Il Resegone colle sue creste agitate e colle sue massiccie rugosità sorgeva davanti come un gran muro, a cui si appoggiassero le schiene e i declivi degli altri monti, quale d'un verde scuro, quale d'un verde trasparente, quale d'un azzurrognolo leggiero, che andava a confondersi a sinistra colle creste sfumate delle due Grigne di Lecco, che, rarefatte dalle nebbioline del mattino, parevan lì lì per sfumare nel cielo. Più morbida, più lenta si distaccava la linea del monte Albenza (quello stesso che vediamo a Milano sullo sfondo del corso di Porta Venezia), un gran pascolo verde senza una punta, su cui il sole, di man in mano che montava in su, andava stendendo una specie di tappeto luminoso: e più in basso ancora, più oscuro per l'ombra e pei boschi, il monte Canto, nel grembo sinuoso del quale Villa d'Adda si sparpagliava colle sue case, colle sue ville, in una fredda sonnolenza. L'Adda, nel fondo della conca verde, si vedeva or sì or no di mezzo ai fitti boschi di faggio e ai cespugli delle bassure, qua in un piccolo specchio turchino, forse il laghetto di Brivio, più in giù in una bella vena color smeraldo, e oltre ancora in una breve rapida agitata da ricciolini biancheggianti. L'oscurità verde, in cui giaceva ancora il fondo prolungato della valle, faceva ancor più comparire, come un teatro illuminato, il lontano territorio di Lecco e le chiesuole isolate su questo o su quel poggio meglio esposto ai raggi del sole.
Essendo la festa della Madonna di settembre, veniva dalla vicina Madonna del Bosco uno scampanare solenne, che risvegliava gli echi della valle e dava un non so che di gioioso e di sacro all'aria, in cui sentivi scorrere quasi il sentimento e la mitezza del giorno di festa. Dopo aver contemplato a lungo in una estatica inerzia i vari aspetti del paesaggio, uscii sulla loggetta, che alla luce del dì perdeva molto del suo bello fantastico, e andai a bussare all'uscio dell'amico filosofo.
- Vieni pure avanti, trapezio! ‑ gridò Giacomo dal di dentro; e quando ebbi spinto l'uscio: ‑ Bravo, - soggiunse - mettiti lì cinque minuti su quella sedia di paglia fin che abbia finito di leggere a Blitz questa bozza di stampa. La posta parte alle nove e non vorrei perdere una giornata.
- Fa conto ch'io sia il tuo cane - dissi sorridendo mentre mi mettevo a sedere in un cantuccio.
Giacomo, per riconoscere gli errori nelle bozze di stampa, aveva bisogno di leggere a voce alta la sua filosofia a qualcuno; ma, non essendovi alle Fornaci chi avesse la pazienza di stare a sentire le sue astruserie, obbligava Blitz a sedersi nel mezzo della stanza e a dargli ascolto.
- «Qual è la causa e qual è l'effetto? - leggeva il filosofo, alzando di tempo in tempo gli occhi verso il cane, che socchiudeva un poco i suoi. – È l'organizzazione il principio della vita o è la vita il principio dell'organizzazione? Quel che Claude Bernard ha detto della vita fisica, io psicologo posso dire della vita morale. Cosa meravigliosa in noi non è tanto la varietà e la molteplicità dei fenomeni spirituali, quanto il nascere e lo svilupparsi dell'uomo morale, che opera e cammina secondo un ideale a cui egli non può resistere».
- Ti giuro, Edoardo, che questa bestia capisce tutto, ‑ interruppe Giacomo per lasciare un po' di riposo al cane. ‑ Non solamente egli mi ascolta sempre con quell'immobile attenzione che vedi ora, ma cogli occhi mi dice quando l'idea lo persuade e quando non lo persuade, quando la sentenza è chiara e quando all'incontro è troppo filosofica. Se nel testo c'è poca evidenza, Blitz chiude gli occhi e par che si addormenti come un buon cristiano. Mi lasci andare fino in fondo della pagina? Intanto si scalda l'acqua nel gamellino.
‑ Leggi pure: mi sforzerò anch'io di capire, se non ti par troppa superbia.
Giacomo cambiò il foglietto, e, dopo aver richiamata l'attenzione di Blitz, ripigliò a leggere con un tono alquanto declamatorio: «Questo moto verso il miglioramento è la condizione necessaria della nostra vita morale che, nell'inerzia, troverebbe la morte. Ogni passo dev'essere necessariamente un passo avanti nella via del progresso ideale, che è la risultante benefica di tutti gli altri progressi economici e scientifici». Ti pare, Blitz?
Il cane mosse un poco il muso e fece dondolare le orecchie.
«L'uomo d'oggi è senza dubbio migliore di quello di ieri...» sta attento, Blitz... ‑ E volgendosi a me con uno scoppio di serena ilarità ‑ Guarda, ‑ disse ‑ si direbbe che il vecchio scettico è poco persuaso di questa verità. ‑ «Domani sarà ancor migliore, finché, reso padrone della verità, potrà un giorno sedere ottimo arbitro, giudice conciliatore tra sé e la natura. Dal suo idealismo, come da un trono inarrivabile, il piccolo re dell'universo stenderà sulla natura lo scettro ch'egli tiene per investitura divina e formolerà le leggi eterne della felicità...».
Blitz, eccitato dal gesto e dallo sguardo ispirato del suo padrone non seppe più stare alle mosse, e protestò, se non sbaglio il commento, con due o tre abbaiamenti sgarbati e dispettosi.
‑ Vedi se in lui non c'è lo scettico pessimista? ‑ proruppe Giacomo, abbandonandosi a ridere sulla sua seggiola, che perdeva le paglie per il di sotto. ‑ Tutte le volte che io assicuro all'uomo una qualche superiorità, il mio cane abbaia. Ma abbi pazienza, Blitz: ancora una cartella e poi ho finito.
Mentre Giacomo leggeva, e mentre l'acqua del caffè muggiva nel gamellino, sopra una fiamma a spirito in mezzo a un trepiedi di ferro, feci con l'occhio il giro delle quattro pareti di quell'umile cameretta, da dove usciva tanto orgoglio filosofico e tanta fede nella missione conquistatrice dell'umanità. Un letto con un pagliericcio imbottito di foglie secche, quattro sedie scompagnate, un vecchio trumò del settecento, pieno di libri, un tavolino zoppo di tre gambe tenuto ritto da un vecchio Rimario del Ruscelli, ecco tutto l'arredamento. A capo del letto pendeva un quadretto della Madonna del Bosco, di un gusto molto campagnuolo, circondata da un rosario a grani grossi come le noci, e da altri piccoli segni religiosi, che svelavano una mano affettuosa e forse una pia sollecitudine. Se il pensiero è il diavolo, i grani di quel rosario non erano ancor grossi abbastanza per cacciarlo via; ma Giacomo aveva troppa fede nella bontà, per togliere alla sua mamma un'illusione. Dall'imposta della finestra pendeva la borraccia, che gli aveva servito nella disgraziata campagna del 1866 nel Trentino, piccolo fasto, che, insieme al gamellino, ricordava una storia segnata di patimenti e forse di eroismi, di cui non si doveva mai parlare. Anche la vecchia chitarra pendeva attaccata a un chiodo, coperta da un dito di polvere, tra due sacchi di grano, un sacco di carbone e un arcolaio fuori uso.
L'indole di Giacomo, così facile ad arrendersi ad ogni piccolo bene che parlasse un po' forte, non pareva nemmeno accorgersi della mediocrità e dello squallore, in cui era nato e cresciuto. Abituato fin da ragazzo ai gusti semplici e a cercare nelle reali compiacenze della meditazione il sapore squisito anche delle cose che non si possono avere, non solo non provava alcuna invidia per chi si pasce dei lauti favori della fortuna, ma il non vivere di idee parevagli la più compassionevole sorte che potesse toccare a una creatura ragionevole. - Scarpe rotte e la testa in paradiso... era il motto della sua nobiltà di spirito. Questa soddisfazione tutta interiore, come lo rendeva indifferente e spensierato nelle cose contingenti di questo basso mondo, lo rendeva altrettanto paziente nel sopportar i piccoli inconvenienti della povertà, le umili molestie e i pregiudizi de' suoi di casa, i piagnistei frequenti della mamma, che vedeva precipitare la sua casa, le fantastiche declamazioni di suo padre, che attribuiva al governo anche gli spropositi della sua ostinazione, le scontrosità di sua sorella Lisa (che, per far presto, in casa chiamavano Spaventapasseri), la povertà intellettuale di Battista, che vedeva in lui un prediletto il quale andava spesso a tavola in casa dei signori, perché gli ripugnava la polenta e il merluzzo di casa sua.
- Ho bisogno che questa dissertazione sull'Idealismo sia stampata presto, perché il premio non si può ritirare se non si presenta l'opera stampata. E non mai, come in questi tempi, ho sentito il bisogno di denaro, non tanto per me, quanto per questa mia povera gente...
Giacomo, mentre parlava, andava rimestando con un cucchiale il caffè bollente nel gamellino, come soleva fare in collegio Ghislieri, quando c'invitava a una discussione metafisica nella sua camera.
- A mio padre, come forse avrai capito, manca il senso e l'indirizzo della vita moderna. Egli crede che negli affari basti essere galantuomini, e, quel che è peggio, immagina che gli altri siano tutti galantuomini come lui. Già da qualche anno si è lasciato trascinare in una falsa speculazione con un certo signore che abita quassù a un sito detto la Rivalta, un ex impresario che si è dato all'usura, un chiacchierone che incanta con la sua parlantina. Costui, col pretesto di un impianto d'una sega a vapore, credo che a quest'ora abbia già mangiato a mio padre una ventina di mila lire, e continui a mettere ipoteche su quel po' di terra che abbiamo al sole. Il male si è che il povero pà, per non spaventarsi, si sforza d'illudersi e, abilmente raggirato da quel furbo di professione, crede che il suo denaro abbia a fruttare domani il cinquanta per cento. Non volendo, per un senso d'orgoglio, confessare i suoi torti a persona pratica, cova i suoi pensieri dentro di sé, cerca di stordirsi colle barzellette, se la piglia cogli italiani, coll'esattore, colla ricchezza mobile, ch'egli crede causa della sua rovina. Se noi potessimo aiutarlo... ma Battista non ha che le spalle di buono, e ora si è fitto in capo di voler sposare la figlia dell'oste della Praschetta, che è stata l'amante di tutti i carabinieri di passaggio. Angiolino è un ragazzo che dovrà presto andar soldato. Ci sono io, il dotto... il sapiente... vale a dire il più inutile. Se fosse greco, potrei dare un suggerimento; ma che vuoi che m'intenda io di mattoni, di tegole, di sega a vapore, di mutui e di ipoteche?
Giacomo sorrise e cantarellò sull'aria del Crispino e la Comare: - Maledetto il mio troppo saper.
Levò il gamellino dal fuoco, tolse dal trumò due chicchere che collocò sul tavolino, dopo averne rimossa la gran montagna di libri e di fogli scritti che vi stava sopra, e, sedendosi accanto a me, dopo avermi battuto famigliarmente colla mano sui ginocchi, riprese:
- Ecco perché ti ho invitato, caro Edoardo, a passar qualche giorno alle Fornaci. Mio padre, che ha della simpatia per te, non avrà difficoltà ad avviare un discorso su questi benedetti suoi interessi, e tu potrai dargli un buon parere. Cerca di vedere un po' in fondo a questa birboneria della sega a vapore e delle ipoteche, e, se è possibile, di arrestare il male prima che diventi cancrena.
- Lo farò volentieri.
- Io ero tornato quest'anno con molti progetti, ma li metteremo in guardaroba con pepe e canfora fino a un altro anno.
- Tu pensavi forse a prender moglie...
Giacomo si fece subito rosso in viso, come soleva facilmente quando appena un'emozione un po' forte gli passava nel cuore. Versò il caffè nelle chicchere, tenendo delicatamente il gamellino per un'orecchietta, e, quando ebbe finita la delicata operazione, soggiunse:
- Sai che io son legato da un'antica promessa...
- Se non ricordo male, si chiamava Celestina questo tuo vecchio idealismo.
- Vedi che non è un amore di ieri. Celestina è figlia d'una nostra povera parente, che, dopo essere stata mal maritata a uno scucito sarto di Oggiono, morì nell'estrema miseria. Il pà, col suo gran cuore, si prese la bambina, che rimase sempre con noi, ed è cresciuta con noi, come una sorella, fino all'anno scorso, quando la persuasi a entrare al servizio della contessa Magnenzio. Gli anni non sono più quelli di prima, e in queste angustie la poverina non voleva più restare di peso a' suoi benefattori. E poi per metter su casa non fa male l'aver un po' di quattrini in disparte. Un po' di quattrini lei, il premio dell'Istituto io, i mobili dello zio prete, che me li cede volentieri c'era abbastanza per fare in modo che il nostro ente ideale diventasse sussistente; ma anche per quest'anno non si potrà far nulla. Ieri il pà mi fece capire, che se gli potevo prestare cinquecento lire, gli avrei levata una spina dal cuore. Gli ho dato tutto quello che avevo su un libretto della Banca Popolare; e dico il vero che, se l'Istituto volesse anticiparmi i denari del premio, vorrei procurarmi questa consolazione di dire a mio padre: Prendete, è roba vostra. Sarebbe proprio una cosi grande consolazione per me, di poter rendere qualche cosa a questa povera gente, che, se coi libri si potesse far quattrini, vorrei scrivere e stampare tutto quel che mi passa qua dentro...
Giacomo si toccò la fronte colla mano, e rimase un istante cogli occhi fissi alla luce della finestra. Poi lentamente, come se parlasse a sé stesso, soggiunse: - Tutte le volte che vedo mio padre sudar sotto il sole, intento a caricare e scaricare mattoni, che lo sento litigare cogli operai e coi capimastri, quando torna dai mercati rauco, spossato, abbattuto, mentre io sto qui di sopra a conciliare i nominalisti coi realisti o a sostenere il concetto dell'anima universale, provo una tale mortificazione di questo sapere che non sa far nulla...
- Scusa, Giacomo, - interruppi con grave intonazione - tu lavori a sminuzzare la grammatica ai ragazzi, e ad elevare un edificio morale...
- Ben, bene... lasciamola li. ‑ soggiunse con un sorriso tra il lieto e il melanconico. - Intanto anche per quest'anno: cara Celestina addio.
Quantunque si sforzasse di cantarellare sul suo patimento, una tenera commozione tremolò nella sua voce. Povero Giacomo! a questo suo amore aveva consacrato la parte migliore della giovinezza, quando la donna è per la maggior parte dei giovinotti allegri o una lieta scapestreria o una bambola divertente. Nel suo ascetismo filosofico aveva accesa una lampada davanti a una cara immagine, e in questa luce mite che emanava dal suo cuore, insieme alla sua virtù aveva potuto trattenerlo un santo rispetto per la celeste creatura, che l'amore monello piglia col vischio. Il tempo che egli aveva occupato in aspettare non era stato perduto per lui e nemmeno per la bella Celestina, se è vero che anche la donna migliori nel pensiero dell'uomo che l'adora. Ma perché l'aspettare sia bello, è necessario che non sia infinito. Se Giacomo, dunque, si doleva del suo destino non sapevo dargli torto.
‑ Non conosco questa tua Celestina, ‑ gli dissi compassionandolo ‑ ma procuro di vederla co' tuoi occhi.
‑ Per il momento non potrebbe essere collocata più bene. Conosco casa Magnenzio fin da ragazzo, e quel che sono lo devo alla protezione di questi bravi signori. Fu per un legato di questa buona famiglia, che ho potuto avviarmi agli studi nel Seminario di Cremona e bussare alla porta della sacra teologia. Speravano di cavare da me un buon prete, e quando, per non ingannare la loro buona fede, ho dovuto confessare che non ne sentivo la vocazione, non mi tolsero per questo la loro benevolenza. La contessa Cristina è una donna d'animo e di coltura superiore, che sa unire a una grande delicatezza un sentimento elevato del dovere. In casa sua Celestina non può che migliorare.
‑ E c'è anche una contessina?
‑ Donna Enrichetta è una bambina alta, bionda, semplice come una figura di frate Angelico. A proposito di lei, mi fai ricordare che le ho promesso un sonetto per i suoi quindici anni. Tu le vedrai stamattina alla messa, perché per tua norma al Ronchetto e alle Fornaci si è tutti buoni cristiani.
- Celestina vale una messa, dirò come Enrico quarto.