Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Giacomo l’idealista

PARTE PRIMA

IX. Angoscie materne.

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IX. Angoscie materne.

 

Donna Cristina giunse alla villa di donna Fulvia di Breno verso le tre, come aveva scritto.

Quantunque donna Fulvia fosse di alcuni anni più giovane, la loro amicizia, che risaliva fino ai tempi del collegio, conservava tutta la freschezza d'una simpatia d'anime sorelle. Entrambe erano state educate dalle dame inglesi di Lodi, dove avevano lasciata una memoria molto diversa, frutto del temperamento molto diverso del loro carattere, che gli anni e la pratica della vita avevano forse potuto modificare ma non cambiare. Quanto donna Cristina era inclinata ai pensieri alti e alla compostezza della vita morale, altrettanto la Breno amava prendere la vita da' suoi lati meno tristi e meno didattici, spingendosi non di rado fin dove l'allegria si confonde colla spensieratezza. Alta, bruna, asciutta, dal suo viso magro, tutto profilo, e più ancora dagli occhi di falco spirava una tale noncuranza per le cose monotone di quaggiù che le stesse afflizioni non osavano, sto per dire, accostarsi, quasi temessero di non essere prese sul serio. Maritata a quello spirito freddo e prudente di don Lodovico di Breno, che fu per molte legislature il deputato indispensabile del suo collegio, aveva trovato nelle molte relazioni politiche di suo marito e nel suo salotto di Roma l'acqua chiara, che cercava il pesce per guazzare. Non aveva avuto figliuoli e non se ne lamentava: e per quanto la cronaca dicesse che, tra una legislatura e l'altra di suo marito, avesse trovato il tempo di cedere a qualche tentazione, non aveva mai abusato né di sé stessa né degli amici.

Pare che in certi momenti di contrizione le avesse giovato l'assistenza della più santa delle sue amiche, la quale, come soleva fare in collegio amava esercitare sulla fantasia sbrigliata della Fulvia un'azione correttiva, dolce e materna, che aveva sul diavolino di casa di Breno un potere spirituale non privo di fascino. E dall'altra parte un po' per simpatia, un po’ per forza di contrasto, donna Cristina si lasciava volentieri trascinare a cercare nella Fulvia un segno di quelle ribellioni di spirito e un sapore di tutte le dissipazioni, che essa aveva severamente proibite a sé stessa. Il diavolo ha il suo fascino anche lui sull' dei santi. Ora si vedevano di rado, anche per riguardi politici. Per quanto il di Breno fosse un cavouriano all'acqua santa, tuttavia nella questione di Roma, quel suo accettare, senza una restrizione, i così detti «fatti compiuti» non poteva essere il programma né dei San Zeno, né di monsignor vescovo, che aspirava a far carriera, né della clientela pia e clericale, che dava e riceveva forza da questi nomi.

Questa differenza politica non impediva che le persone si stimassero reciprocamente per le loro virtù e che le signore si scrivessero spesso e si ritrovassero volontieri tutte le volte che una circostanza rendeva il ritrovarsi necessario o piacevole.

La missione spirituale di donna Cristina sull'anima ribelle dell'amica non era ancora finita, quando donna Fulvia (fu verso la metà di settembre) ricevette una letterina di Cristina con queste parole: «Ho bisogno del tuo consiglio e del tuo aiuto per una tremenda disgrazia, che minaccia la mia povera famiglia. Verrò giovedì verso le tre: procura di essere libera. Non lasciar capir nulla a tuo marito di ciò che ti scrivo, e prega, prega per me».

«Che mai può essere accadutocontinuò per due o tre giorni a molinare nel suo capo donna Fulvìa, che aveva sempre avuto bisogno che pregassero gli altri per lei. E quantunque il sospetto corresse subito a Giacinto, di cui si sapevano certe sue nuove e poco gloriose imprese con una principessa romana, pure aspettò con ansiosa incertezza e con viva trepidazione questa annunciata visita di Cristina.

Giacinto non era a' suoi primi spropositi, e mai la madre aveva scritto con tono così lugubre! Che don Lorenzo, quel gran traviato, avesse fatto un torto a sua moglie? o che ci fosse ordine di arrestarlo per sospetto d'anarchismo? Per fortuna don Lodovico da una settimana era a Roma relatore di una commissione del catasto, e quindi fu possibile mantenere il segreto così gelosamente imposto: altrimenti sarebbe stato un chiedere troppo alle forze di una povera donna.

Non c'è nulla che avvilisca tanto i fatti, quanto il non poter parlare con chi si vuole e quando si vuole.

‑ Ebbene, che cosa è accaduto, madre santa? ‑ esclamò, quando ebbe fatta sedere la contessa nel suo gabinetto bianco ed ebbe chiusa la doppia porta che metteva verso il salone. ‑ Tu hai una faccia malata, mia cara! Forse don Lorenzo...

Donna Cristina si affrettò a rispondere di no con un forte diniego dei capo: ma non poté parlar subito, perche si sentiva la gola piena di lagrime. Siccome era fuggita, si può dire, da casa sua per cercare un rifugio, dove potesse liberamente dar corso a questa sua opprimente passione, al primo sfogo ch'ella fece per parlare, ruppe in un pianto così sfrenato che la povera Fulvia rimase fredda e come allibita.

‑ Che cosa c'è? ‑ domandò di nuovo con una voce che sentiva le lagrime. E, afferrate le mani della desolata donna, se le tirò a sé, se le pose sui ginocchi, aspettando in silenzio che quel gran fiume di dolore traboccasse tutto. Quando l'amica poté ricuperare la padronanza di sé, fu ancora la Fulvia che, insinuandosi, l'aiutò a parlare: ‑ È per Giacinto che piangi? C'è ancora qualche novità? non è bastato farlo traslocare a Caserta? è ancora per colpa di quella principessa maritata?

Peggio, peggio, quanto di peggio si può immaginareproruppe la Magnenzio con una forza quasi di protesta.

- O Dio, s'egli fosse morto!...

- Peggio ancora! E doveva toccare proprio a me.

E, coprendosi il viso colle due mani, soggiunse:

‑ O Signore, voi sapete che io non ho mancato al mio dovere. Ah che castigo, che castigo tremendo!

Raccontamisussurrò la di Breno, facendosi più vicina e girando un braccio intorno alla vita della compagna. Dopo aver inghiottiti amaramente i suoi singhiozzi, donna Cristina riprese a dire: ‑ Sai che ho in casa una povera ragazza, quella Celestina...

- Ho presente.

- Già fin da questa primavera, quando Giacinto fu a casa in licenza per alcuni giorni, mi sono accorta che le usava qualche confidenza; ma siccome la ragazza è onesta e ha il cuore occupato, non ho creduto che ci fosse pericolo. Ma il mese scorso, quando Giacinto venne a casa per le corse di Erba, credette di tormentarla ancora, e non pensò, non pensò il disgraziato che ci perdeva tutti.

Scusa, ‑ fece la Fulvia un po' accigliatafin dove devo pensare?

Pensa tutto quel che di peggio può accadere.

‑ Tu dici che la ragazza è onesta...

‑ Sì. Una notte che tornò al Ronchetto alquanto alterato dalla festa... me l'ha confessato lui... non sa, non si ricorda come sia avvenuto... trovò aperta la stanza... la ragazza dormiva. Ah che disonore per la mia casa! ‑ tornò a gemere, fremendo con una irritazione mal repressa, che inaspriva la sua voce in singhiozzi rauchi e poderosi.

Povera me! ‑ balbettò donna Fulvia, che dal suo posto di spettatrice poté abbracciare con uno sguardo tutte le conseguenze che un passo falso di questa natura poteva trascinare con sé. ‑ Non era questo il momento, povera me... ‑ E dopo un istante di riflessione soggiunse lentamente: ‑ L'hai saputo da lui?

Entrò lui stesso la mattina nella mia stanza a confessarmi tutto, in ginocchio, nella stretta del letto. Che vale il piangere e il pentirsi, quando il male è senza rimedio? Se mi avesse cacciato un coltello nel cuore, per me era lo stesso. Egli crede ancora che io sia per trovare un accomodamento: ma che posso fare? c'è da impazzire, vedi. Se quel pover'uomo, che ha già il cuore malato, viene a conoscere questo scandalo, mi resta sul colpo. Un Magnenzio, capisci, un nome come il nostro, che ha una tradizione secolare di onestà! E i parenti? e mio zio monsignore? Se il popolo s'impadronisce di questo scandalo, se i nostri nemici vogliono servirsene come di un'arme per combattere noi e il partito ben pensante, se monsignore viene a sapere... O Dio, io perdo la testa solo a pensarci... ‑ E come se veramente una convulsa vertigine la rovesciasse, la povera contessa si lasciò andare colla testa sui ginocchi di Fulvia e riprese a piangere in un modo contagioso.

‑ Certo che è grossa... ‑ mormorò l'amica ‑ e anche per la sua carriera, se aveva un po' d'ambizione, non gli gioverà. E per maggior disgrazia siamo alla vigilia delle elezioni generali, nelle quali i partiti di questi nostri collegi combatteranno una fiera battaglia. Di Breno dice che il governo massonico tende a spazzarci via tutti quanti. Non era proprio il momento... ‑ così andava ripetendo donna Fulvia, come se parlasse a sé stessa, mentre il pianto straziante della povera disperata strappava anche a lei le lagrime dagli occhi. ‑ Comunque, la calma è il primo rimedio. Non è il primo caso e pur troppo non sarà nemmeno l'ultimo. La gioventù ha i suoi inconvenienti. In casa nostra è accaduto, anni fa, qualche cosa di simile; ma il povero papà con un poco di denaro ha messo tutto a dormire. Vediamo, ha parenti questa tua cara innocentina?

- È orfana, ma ha qualche parente.

- Bisognerebbe sapere che gente è.

- È buona gente, incapace di approfittare di una sventura.

- Se si offrisse una dote alla ragazza?

- Fulvia, che cosa dici? ti pare?

- Già, il tuo Giacinto non può mica sposarla.

Donna Cristina, abbassando la testa, acconsentì con un sospiro.

‑ Nemmeno monsignor vescovo potrebbe pretendere tanto. E allora non vi resta che di offrire un altro genere di risarcimento. Hai detto che la ragazza aveva già il cuore impegnato con qualcuno? Non si potrebbe persuadere questo qualcuno ad accettare una ventina di mille lire? il povero papà nel caso di Costanza, se l'è cavata con meno: perché, via, tu sei buona e fai bene a credere all'innocenza; ma ritieni pure che in questi nostri paesi le ragazze, più furbe del diavolo, sanno rappresentare a meraviglia la parte di vittima. Alle volte anche i parenti si mettono della partita e fan presto ad avere buon giuoco in mano. No? non credi che sia possibile persuadere Menelao a ripigliarsi la sua belle Helene? Che uomo è questo Renzo Tramaglino? Un contadino? un operaio?

A queste domande così incalzanti e taglienti, donna Cristina Magnenzio non seppe rispondere che con uno sguardo freddo e dolente, in cui si leggeva tutta la grande desolazione del suo cuore. Alla curiosità di Fulvia essa avrebbe dovuto opporre un nome, che non osava pronunciare, come se temesse di evocare tra loro un terribile giustiziere. Mai la bontà e la giustizia d'un uomo avevano parlato con tanta forza alla sua coscienza! e come se provasse in sé stessa l'offesa atroce che si recava all'assente, con un atto di nobile risolutezza, protestò:

- No, questo è impossibile!

- E allora bisogna raccomandarsi alla ragazza e farsene, se è possibile, una alleata. Se ti vuol bene, se non è una cattiva leggerona, se sente il suo stato, capirà che non ha a guadagnar nulla da uno scandalo. Procurate di allontanarla, di metterla per qualche tempo in un sito sicuro e di lasciare a lei l'incarico di persuadere il suo Tramaglino a voltarsi da un'altra parte. Questa gente non sta poi a far della psicologia troppo sottile, come si farebbe tra noi. Per loro tutte le donne son donne, e le ragazze dicono che un papa val l'altro. Se vuoi posso aiutarti. La sorella della mia maestra di piano è direttrice d'una Casa a Treviglio, una specie di rifugio, che ricovera appunto questi peccati, dove c'è anche un ospedale sotto la sorveglianza delle suore.

‑ Potrò io persuadere la povera creatura a rinunciare al suo ideale, a lasciar la casa, a rinchiudersi in un ospizio? tu non sai la battaglia che io combatto da un mese in qua. Sì, finora ho potuto far tacere la ragazza colle carezze, colle promesse, colle preghiere, con tutto ciò che soltanto il cuore d'una madre sa trovare in queste disperate circostanze; ma vedo che l'impresa è più forte di me. Celestina oggi promette che non farà nulla, che non dirà nulla, che andrà dove voglio io, che non penserà più al suo passato, che mi vuol bene, che accetta la volontà di Dio; ma non arriva il domani e me la vedo tornar davanti tutta cambiata. Non dorme quasi più, non mangia quasi più; di notte scende dal letto, attraversa il corridoio e viene a piangere nella mia stanza, si strappa i capelli, dice che il diavolo la batte con una catena...

Taci! ‑ pregò donna Fulvia, impallidendo, con voce spaventata, rabbrividendo nelle spalle.

Vedi, Fulvia, dove siamo? ‑ domandò con lamento straziante la povera contessa, battendo forte le ciglia e cercando di attaccarsi alle mani dell'amica come se avesse avuto bisogno di chi la tenesse su. ‑ Vedi che cosa hanno fatto della tua povera Cristina? Il Signore non mi ascolta più, il Signore mi ha abbandonata.

‑ No, no, povero angelo, non dir cosi. ‑ proruppe la di Breno, compassionandola, e sorpresa in fondo all'animo di dover fare verso una tal donna la parte di madre consolatrice. ‑ Tu hai troppi meriti, perché il Signore ti debba abbandonare. Sono tribolazioni che ti manda per provare la tua virtù. Vedo tutta la gravità del caso e trovo che non c'è tempo da perdere. È necessario, assolutamente necessario, evitare questo scandalo, che darebbe i nostri nomi in bocca ai framassoni, che non aspettano che un pretesto per dar fuoco alle mine. Lodovico dice che quest'anno la lotta amministrativa sarà combattuta con accanimento, perché il governo, che è tutto nelle mani dei progressisti, vuol rompere la crosta clericale e moderata e sbarazzare il terreno per le prossime elezioni politiche. Converrà quindi fare un concentramento di forze dei vari partiti conservatori contro la falange abissina dei sovvertitori, dei radicali, dei massoni, dei socialisti, e di tutti quelli che amano pescar nel torbido. Siamo dunque interessati a difenderci e a riparare i punti deboli della fortezza. Vuoi che io ne parli a Lodovico? Può essere che colla sua influenza morale arrivi a tempo a scongiurare il pericolo. E se vedrò il tuo Giacinto, gli farò una predica coi fiocchi. Noblesse oblige, specialmente lui, che può contare sublimi trionfi. Ragazzacci! ‑ aggiunse, aggrottando le ciglia la bella magra, come se indagasse un mistero: ‑ È un'altra conseguenza di questo sordido sport, che hanno messo di moda. On s'encanaille, ecco!

Rimasero d'accordo che Fulvia, senza mettere fuori per il momento i nomi, avrebbe sottoposto il problema alla saggezza politica di don Lodovico, che in questo giuoco di elezioni e di partiti politici aveva sul banco la sua persona e la sua candidatura. L'esperienza insegna che in politica bisogna giovarsi specialmente dei peccati degli altri; e sarebbe stata una bella sorpresa che per il capriccio di un giovinotto ubbriaco fosse andato sommerso il lavoro paziente di dieci o dodici anni di candidatura incontrastata. La di Breno, che, non avendo figliuoli, amava anche lei, alla sua maniera alquanto nervosa, la politica, che le permetteva di passar l'inverno a Roma, non era donna da dormire in pace su questo peccato di Giacinto come aveva dormito sempre sui suoi.

 


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