Emilio De Marchi: Raccolta di opere
Emilio De Marchi
Giacomo l’idealista

PARTE PRIMA

XIV. Le prime scaramucce d’una grande battaglia.

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XIV. Le prime scaramucce d’una grande battaglia.

 

Giacomo, dopo aver messo un po' di pace in casa e un po' d'ordine negli affari, aveva da qualche tempo ripigliata la correzione del suo libro sull'Idealismo, al quale stava per aggiungere una lunga nota sulla virtù educativa del dolore, suggeritagli dalle malinconie delle ultime esperienze. Facile a trovare nella ricchezza e nell'indulgenza del suo cuore la giustificazione di quel che è, si lasciava di nuovo dolcemente trascinare a un concetto roseo della vita, persuaso sempre più che gli uomini, anche quelli che passan per malvagi, sono cattivi più per la loro insufficienza a comprendere il bene che non per cattiva disposizione o per un odio dichiarato alla giustizia. Il dolore viene sempre a tempo, quando gli errori e gl'inganni nostri son maturi, maestro di logica morale, onesto giudice liquidatore nel gran fallimento delle nostre presunzioni. «Soffrire è conoscere, e conoscere è perdonare. La filosofia senza la dolorosa esperienza potrà essere un bel cartone, non sarà mai il libro della vita».

Questi concetti scaturivano ancora spontanei dalla sua penna, mentre il sole nitido delle ultime giornate di ottobre entrava a illuminare la stanzuccia del filosofo, che di tempo in tempo si moveva a cercare l'ispirazione e gli elementi del pensiero a due boccate di peppinetta, o andava a consultare Blitz, che sonnecchiava al sole sulla loggetta. Molte brighe l'aspettavano dentro e fuori dell'uscio, ma non disperava di saper col tempo e colla pazienza dipanare la matassa. Col signore della Rivalta, che si era fatto raccoglitore unico di tutti i crediti del fallimento, aveva concretato un affitto di sei anni, dietro il corrispettivo d'un proporzionale pagamento d'interessi. Ma Battista, che avrebbe dovuto prendere la direzione dell'azienda, indispettito di non poter sposare la Fiorenza, giurava che non avrebbe più toccato un mattone. Era difficile anche per un filosofo pacifico come Giacomo far entrare in quel testone, che i tempi non erano più quelli di prima, che bisognava fare di necessità virtù, rassegnarsi a lavorare per conto degli altri, e ringraziar Dio, se lasciava un tetto per dormire al coperto e un pezzo di pane tutti i giorni. Battista, coll'ostinazione delle teste dure, che vedono in tutto ciò che non capiscono una mancanza di rispetto alla loro ignoranza (e in questa fissazione poteva vantare un bel numero di compagni anche tra coloro che sanno leggere e scrivere), andava ripetendo che Giacomo, il sapientone, non era un asino, perché mirava a stringere tutto nelle sue mani per far la parte del leone; perché, dopo aver sempre vissuto alle spalle della famiglia, senza mai sporcarsi le mani colla terra, ora la moglie voleva prendersela lui e far lavorare gli altri a mantenerla. A questi patti egli non ci stava. Gli dessero la sua parte, ed egli se ne sarebbe andato fuori dei piedi. E per quanto Giacomo si martoriasse a dimostrargli coi registri alla mano che di parte da dividere non ce n'era più per nessuno, Battista opponeva sempre quel sorriso tra il fatuo e il sarcastico, che vuol dire: «A me non la si a bere!». Parlava anche lui di voler ricorrere agli avvocati, e intanto andava a cercarli tra i villani i suoi avvocati, tra i barcaiuoli della riva, tra i fannulloni dell'osteria.

Avendo una volta riscosso a insaputa di Giacomo, un vecchio credito da un cliente di Merate, si tenne le cento lire per sé, e, vestito coi panni della festa, passò il lunedì sulla soglia della Fraschetta a biscantare coi soldati coscritti e a dir peste dei filosofi intriganti. Tornò a casa col grugno torvo, col proposito violento, coll'occhio acceso dal vin cattivo, e, picchiando de' grandi colpi sulla tavola, cominciò a gridare che voleva veder la carta, cioè il testamento del , perché era nel suo diritto di prender moglie, come tutti gli altri, voleva andar fuori di casa e lavorare per conto suo; e mille altre cose voleva, che Giacomo non gli poteva dare in nessuna maniera. E quando questi, perduta la pazienza, gli disse una volta che, se voleva proprio andarsene, la porta era aperta, fu come dar fuoco a una bomba. Ferito nel suo diritto, acciecato dall'odio, Battista, dopo aver teso il pugno in aria, si scagliò sul fratello, urlando come un disperato:

‑ Ah, per te e per la tua smorfia i denari ci sono, brutto mangialibri: aspetta cane... ‑ Ma la Lisa, che aveva ormai fatto l'orecchio a questa musica, si cacciò in mezzo e, menando le lunghe braccia simili a due manichi di scopa, che giocassero di scherma, alzò la voce stridula come un vecchio telaio, lasciando cadere un tal diluvio di parole che i due uomini non ci sentirono più. Stordì l'ubbriacone, gli innaspò la vista con quelle sue mani che non finivano mai, lo spinse fuori dell'uscio, che chiuse con fracasso, facendo tremare la casa dai fondamenti; e voltasi verso Giacomo, fece capire anche a lui ch'era tempo di finirla.

La povera mamma che ci poteva fare? Seduta nel cantuccio del camino, non aveva gli occhi che per piangere e la voce che per sospirare. Dopo la scomparsa del suo Mauro, che in quarant'anni di matrimonio le aveva levata ogni energia di pensare a qualche cosa la quale non fosse già stata pensata e comandata, ora rimaneva , come un orologio, a cui sia stato tolto il meccanismo, che puoi ancora far andare col dito; ma da sé, l'indice fermo sopra un'ora, non si moverebbe in cent'anni. Dal che la discordia era entrata nella sua casa insieme alla miseria, essa non aspettava che d'essere mandata via da un momento all'altro dai creditori. In ogni faccia nuova, che comparisse sull'uscio, credeva di vedere un esattore, o un usciere, o un nemico, che venisse a portar via l'ultima sedia; e non ci voleva che la parola autorevole di Giacomo per persuaderla a non lasciarsi morire di tristezza.

Ad onta di tutte queste tribolazioni, Giacomo non disperava di vincere la dura partita. Se quel bestione di Battista non voleva più lavorare, avrebbe lavorato lui in suo luogo. À la guerre comme à la guerre. Il dirigere una fornace e il far cuocere dei tegoli non è poi un mestiere più arduo che l'inventare una spiegazione probabile del mondo. Qualcuno aveva già riconosciuto in lui il bernoccolo degli affari, e veramente, senza ch'egli osasse insuperbire per questo, sentiva che a far meno male di chi fa peggio non occorre un genio particolare. L'ingegno serve in ogni cosa, tranne qualche volta che a far dei libri. Col lume della retta osservazione, col provvedere a tempo, coll'ordine nelle piccole cose, che sono i mattoni delle grandi, in men d'un mese poté raddrizzare il baraccone, che suo padre aveva lasciato molto sconquassato. Pacificato il mugnaio del Lavello, ritirata una ricevuta definitiva dall'oste della Fraschetta (e in questi bisogni il denaro anticipato dai suoi benefattori del Ronchetto fu una vera provvidenza), accontentato qualche altro creditore più inquieto, egli aveva visto ritornare a poco a poco gli antichi clienti e i carri carichi di materiale passare e ripassare davanti alla casa, come ne' tempi migliori. Dove egli avesse potuto trovare tanto credito e tanto denaro era per tutti un mistero. La gente sa benissimo che la scienza e la filosofia non hanno mai fatto farina; anzi coi libri si lavora sempre a perdita. Fu l'oste della Fraschetta il primo a scoprire l'arcano che il denaro veniva dal palazzo. Il sottocuoco l'aveva saputo da altri, o aveva visto, o, quel ch'è lo stesso, aveva creduto di vedere. V’era chi, tra il dire e il non dire, lasciava capire qualche cosa di più, come se la Celestina, quella furbona, c'entrasse; tanto che Giacomo in questa faccenda aveva tutto quel che voleva avere. Per qualche altro, all'incontro, che si credeva non meno bene informato, Giacomo Lanzavecchia aveva stretta una lega con quel bel mobile della Rivalta, che sarebbe stato felicissimo di dargli la Norma in moglie. Si arrivò fino a far credere che Giacomo fosse l'amante della bella contessa, e allora, si capisce, si fa presto a pagare i debiti...

Il nostro filosofo era troppo occupato nelle cose vere per andar dietro alle verosimili, con cui si fabbrica la storia del mondo. Non pensava nemmeno che la gente potesse occuparsi de' fatti suoi. Se gli affari camminavano, il merito in parte l'attribuiva a sé, in parte alla fiducia che ispirava la sua onestà e il suo buon volere.

Lasciò dunque che Battista andasse in cerca dei suoi avvocati, collocò Angiolino alla direzione delle fornaci, ritenendo per sé l'amministrazione, e scrisse allo zio prete a Celana che per il nuovo anno scolastico credeva più utile rinunciare al posto del collegio per attendere all'azienda. Tutte le mattine si recava egli stesso sul lavoro, incoraggiava i vecchi operai, nei quali trovò buone disposizioni d'animo e i conforti dell'esperienza. Se il caso richiedeva, non si faceva scrupolo di mettersi egli stesso in maniche di camicia e di dare una mano a caricare un centinaio di mattoni, coi piedi nella polvere, colla polvere nella gola. Una volta che un ronzino stentò a levar le ruote d'un carro dai solchi, l'autore dell'Idealismo dell'avvenire non si vergognò di attaccarsi alle stanghe e di gridare anche lui uh uh, per indurre nell'animale quel grado di emozione volitiva, per cui non era bastata la frusta.

‑ Lei, sor Giacom, se mi lascia dire, ‑ osservò un giorno il Manetta, il più vecchio dei lavoranti ‑ lei fa fin troppo dopo tutto quel che ha studiato. Si guasterà la scrittura.

Questa povera gente, che aveva visto da vicino il pericolo di restare senza pane, in un paese dove ai bisogni della disoccupazione non si provvede sempre facilmente, dimostrava verso el sor Giacom una stima e un'affezione particolare, come merita chi ci salva dagli stenti e dalla fame. La povera gente non va a cercare da che parte le caschi il pane, né chi l'abbia cotto: el sor Giacom aveva fatto il miracolo di far rivivere le fornaci; viva la faccia del sor Giacom!

Una sera dei primi di novembre, Giacomo incontrò presso la strada di Sabbione il signor Ignazio della Rivalta, che, venendogli incontro tutto cerimonioso, gli disse:

‑ Ho parlato col ragioniere Riboni, e forse non siamo lontani dall'intenderci intorno a quel fondo della Colombera; ma anche il Riboni dice che una sua parola, signor Giacomo, alla contessa potrebbe rendere la cosa come fatta.

‑ Una mia parola... ‑ chiese Giacomo meravigliato.

‑ Il Riboni sa che la contessa a lei non dice mai di no.

Via, è un po' troppo! ‑ soggiunse, respingendo scherzosamente questa graziosa malignità.

‑ Eh! lei è più filosofo di quel che pare, ‑ ribadì l'ometto della Rivalta, stringendolo amorosamente sui fianchi e guardandolo sottecchi con cipiglio compunto: ‑ lei sa spennacchiare le suo galline senza farle strillare. Coraggio: s'intende che, se l'affare si fa, ognuno avrà la sua provvigione. Se poi si persuadesse quel buon uomo del conte a sbarazzarmi la casa da quei vecchi imperatori romani, son disposto a dare al mediatore il venti per cento sul prezzo.

‑ Oh che mi piglia per un sensale costui? ‑ ruminò tra sé il figlio di Mauro Lanzavecchia ‑ e che cosa pensa, quando dice ch'io so spennacchiare le mie galline? ‑ Ma forse avrebbe dimenticate anche queste parole se, tornando qualche giorno dopo da Brivio, non si fosse trovato faccia a faccia con Brandati, il dottore, che scendeva dall'aver visto un malato alla cascina Bruschetta.

Con Brandati erano stati compagni all'Università di Pavia, per quanto possono essere compagni due studenti di facoltà diverse, uno dei quali ami, più che i libri, il fiasco e la compagnia allegra. Giovine di temperamento robusto e gran mangiatore al cospetto della terra, più che a logorarsi sui cadaveri, il Brandati aveva portato da Padova, sua patria, un grande amore per le donne e per le brighe politiche in favore della repubblica, ch'egli intendeva come un'istituzione, in cui si avesse a venir spesso alle mani, finché non fosse schiacciato l'ultimo cappello a cilindro. Bonario e tenero di cuore come una donna, passata la sbornia repubblicana, aveva messa molt'acqua nel suo vino, e ottenuta una laurea a Macerata, cercava colla diligenza, colla carità, con una intuizione naturale, di supplire alle lacune della scienza; anzi ai contadini era simpatico, e gli volevano bene, non tanto per il suo sapere, quanto per l'arte ingegnosa con cui sapeva farne senza.

Appena il dottore vide venir Lanzavecchia, fece un movimento, come se cercasse una scappatoia a destra o a sinistra; ma, essendo la stradetta chiusa tra due muricciuoli e senza uscita, venne avanti e finse d'avere una gran premura di andare a casa. Camminando nel fossatello di scolo lungo il muro, ‑ Buona sera! ‑ disse brevemente, mentre toccava col dito la tesa del cappello.

Buona sera, sorr... ‑ rispose Giacomo, strascinando l'erre e voltandosi a seguire coll'occhio l'illustrissimo, che mostrava quasi schifo a salutarlo, e stava per tirar dritto anche lui, quando sentì una forza, che lo condusse indietro. Raggiunse il Brandati poco distante dal cimitero, lo fermò, gli domandò a bruciapelo.

‑ Ti ho fatto qualche cosa io a te?

‑ Se tu hai fatto qualche cosa a me? ‑ chiese alla sua volta il giovinotto grasso, per non saper per che cosa rispondere. ‑ A me tu non mi hai fatto proprio niente, mio caro punto e virgola! ‑ Era questo un vecchio nomignolo, con cui i compagni allegri dell'Università solevano mettere in burla la dialettica a distinzioni e a sospensioni del filosofo delle Fornaci.

‑ E allora che cos'è questo sussiego?

‑ Che sussiego! ognuno va per la sua strada, o bella!

‑ Che cosa t'impedisce di salutarmi?

‑ T'ho salutato. Del resto, ognuno ha il suo modo di vedere.

‑ E che c'entra qui il modo di vedere? ‑ riprese il Lanzavecchia sotto una fiammata di collera, pigliando l'amico per una orecchietta del bavero. Brandati nicchiò e cercò con un piccolo sforzo di liberarsi, ma Giacomo, afferrata anche l'altra orecchietta, lo tenne prigioniero, dicendogli con una certa solennità: ‑ O parlerai, bambino, o dirò che sei un vigliacco; e allora ti tratterò da vigliacco, ve'...

Aseo! ‑ esclamò il rotondo padovano, che parve quasi contento d'esser così forzato a parlare. ‑ Poiché tu mi tieni pel bavero, te digo subito che la gente te giudica mal.

‑ Siamo dei poveri falliti; e, cavallo magro tutte le mosche son sue.

‑ Son certe tue amicizie coi... cosi... che fan parlare la gente, ‑ spiegò il Brandati con quella maniera propria dei veneti, che ridurrebbero a un coso anche lo Spirito Santo.

‑ Forse vuoi dire i miei rapporti con quel signore lassù, della Rivalta? ma egli oggi è il nostro padrone.

‑ Non questo soltanto...

‑ E allora... ‑ insistette Giacomo su un tono di collera sorda.

Bada, vecio, io non credo niente ai... cos... voglio dire a tute le ciàcole, che vengon fuori dalla bocca dei marsupiali, ma capisco che alle volte la apparenze dànno il mànego alle supposizioni. Lo dicevo anche ieri sera a Brognòlico: Lanzavecchia è sempre stato un po' timido, un po' troppo punto e virgola, troppo amico dei cosi... dei preti e dei signori (mi te parlo franco); ma da questo al dire ch'egli vende il suo onore e la sua filosofia per qualche biglietto da mille, o fiol d'un can...

‑ Chi? Brognòlico ha detto che io...? ‑ interruppe vivamente Giacomo, sentendo venir meno le furie agitatrici all'immagine gonfia e arruffata dell'avvocato Brognòlico che per venti lire avrebbe venduta l'anima in fette. ‑ E tu credi a questi merli? ‑ disse al Brandati, tirandogli un pezzo la folta barba nera.

‑ Che gli dicevo? quando un uomo è stato una volta col... coso... con Garibaldi, come ci sei stato tu a Bezzecca, non sa nemmeno che cosa siano certe vigliaccherie. Son le apparenze...

- Quali apparenze, se si può sapere?

- È vero che hai ricevuto dei denari da questi signori del Ronchetto?

‑ È vero: ma non potrò onestamente restituirli?

‑ Allora non è vero che il... coso... come si chiama quell'ufficialetto? il contino possa essere l'amante di tua cugina, ahn!

Il Brandati pronunciò in fretta quest'ultime parole, come se volesse farle scomparire nella barba, e, quando si accorse che l'amico le pigliava bene, senza offendersi, sentendosi sollevato, infilò il braccio nel suo e lo rimorchiò un tratto di strada, parlandogli coll'animo sciolto:

‑ Non dicono forse che tu sei l'amante della contessa? Non ci sarebbe niente di male, fiol d'un can, se ti piacesse un bel pezzo di aristocrazia come questa: le beghine amano con fervore, specialmente se hanno il coso... il marito un po' vecchiotto; ma un conto è coltivare il genere, un altro conto è far degli affari. Giacomo Lanzavecchia può prendere denaro anche dal diavolo, dicevo anche ieri sera in farmacia, ma non sarà mai denaro che puzza. Lo conosco da un pezzo, razza d'ippopotami che siete tutti quanti! Non hai idea che lingue ha questo paese! Ma io ti aiuterò a frustare questi rinoceronti, se mi dai il segnale di incominciare. È un pezzo che mi sentivo qui in gola il prurito di parlartene, ma temevo sempre di seccarti in mezzo alle altre tribolazioni. Ma ora che mi hai preso per il bavero, caro punto e virgola, e che mi autorizzi a parlare, vieni qualche sera alla Fraschetta, quando c'è il mugnaio colla solita compagnia del magnano, del maestro della banda e degli altri, e ci penso io a farti rendere giustizia. Quattro cappiotti dati a tempo fanno più bene di tutta la politica di Aristotile...

Il Brandati che si sentiva ancora nelle vene il fuoco di quei bollori giovanili che l'avevano spinto a litigare colle guardie di questura e a sfidare i lavandai del Ticino, fece scorrere le mani sulle maniche, come se volesse incominciar subito.

‑ Non è il caso di dar troppa importanza alle ciarle degli imbecillidisse Giacomo con voce velata, soffermandosi e liberando lentamente il braccio da quello dell'amico; ‑ però, se non sarà all'osteria, sarà bene rivederci, Brandati.

‑ Quando vuoi...

Oggi è tardi... grazie... addio... ‑ soggiunse con una crescente inquietudine, allontanandosi in fretta, come se cercasse di uscire da una situazione imbarazzante. Istigato, quasi a suo dispetto, da una violenza interiore, che gli faceva alzare il pugno in aria, ripeté due o tre volte: ‑ Selvaggi! razza di malandrini! ‑ Fatti venti o trenta passi, si fermò e si voltò di nuovo a cercare il Brandati, pentendosi di averlo lasciato scappare troppo presto; ma l'amico era già scomparso nell'oscurità della strada. Ad un tratto il filosofo disse: ‑ Che stupido! e che mi deve importare di quel che pensi de' fatti miei il mugnaio, il magnano, l'oste, l'avvocato, quando so quel che pensa la mia coscienza? ‑ E come se fosse da questa riflessione persuaso abbastanza, riprese a camminare, sforzandosi di dare a' suoi discorsi interni un procedimento di filosofia naturale, quasi di commento ermeneutico al testo antico della umana imbecillità: ‑ Ecco come si fa la storia! ‑ diceva. ‑ Io l'amante della contessa, Giacinto il drudo di Celestina, i denari il compenso delle rassegnazioni. E tutto questo a due passi dalle cose! Figuriamoci quel che dev'essere la storia di Ninive e di Roma. Povera Semiramide! povero Narsete! Ora mi spiego anche i discorsi di questo mio futuro suocero della Rivalta e l'immagine elegante delle galline, ch'io so spennacchiare con tanta politica. E c'è anche chi pretende di sapere che la contessa non dice mai di no a un amico della mia forza; ah porci baroni! Dunque se la gente mi fa grandi scappellate, non è certo per rispetto alla filosofia: ma la gente pensa che un uomo il quale paga i suoi debiti con tanta disinvoltura e che giuoca così abilmente sulla rassegnazione, è più rispettabile d'una zecca.

Giacomo a questi insulti, ch'egli procacciava a sé stesso, quasi per un fanatico piacere di confutarli, ora opponeva un sorriso acerbo di canzonatura, ora un corruccio di fiera collera, che lo faceva inavvertitamente correre per la strada deserta già immersa nell'ombra umida del crepuscolo. Non volendo portare in casa la sua inquietudine e dar motivo a sé e alle donne di provocar domande inutili e fastidiose, invece di svoltar subito verso le Fornaci, appena fu al luogo detto Sasso del Pin, continuò per il viottolo selciato, che monta dolcemente al «Roccolo» di don Andrea, entrò nel bosco artificiale di cerri, di carpini e di ginepro, che fanno del sito quasi un verde castello fortificato; e quando si trovò nel mezzo del tortuoso labirinto presso la capannuccia di legno, che serve di ricovero al cacciatore, sedette sul rozzo panchetto e lasciò che il suo cuore un po' grosso riposasse dal palpitare scomposto che avevano suscitato le parole del Brandati.

Un mesto raccoglimento regnava nel boschetto già logoro e spoglio di molte frasche, che ingiallivano marcie sul terreno, mentre tra i rami chiari entrava l'ultima vampa dell'incendio d'oro, che si spegneva dietro la curva dei colli. Il cielo era sereno, con pochi fiocchi di nuvole porporine immobili nell'azzurro, fresco e ancor ridente in quella bella sera di novembre. Intorno a lui era un cinguettare rumoroso d'una plebaglia di passeri, che, partito il nemico, consideravano il «Roccolo» come la loro casa, e civettavano con plebea insolenza, dove gli illustri loro compagni avevano lasciata la vita nelle ragne e perfin sulle canne del vischio. Ebbene! che dovere hanno i vivi di morire per i morti? ‑ dicevano i passerotti. ‑ La vita è forza che incalza la forza, è il giorno che succede alla notte. La lotta non cessa mai su questo campo, ora aperta, ora insidiosa; dove non arriva la spada, arrivano la calunnia e la maldicenza, che son le ragne dissimulate della morte. Che può fare la creatura contro questa fatalità della legge? ‑ Egli poteva rispondere che l'uomo si sottrae all'invidia dei vili come l'aquila sfugge alle trappole, volando molto in alto. Ciarlino pure gli stolti; la maldicenza è un brutto animale vorace, che finisce sempre col mangiare sé stesso.

Non volendo farsi troppo aspettare a cena, prese un sentieruzzo da capra, che piomba quasi diritto sulle Fornaci, e in quattro salti fu a casa. La Lisa, che stava inginocchiata davanti al camino, intenta a preparare la solita minestra, senza voltare il viso dal fuoco gli disse:

- C'è stato Fabrizio con una lettera della contessa per te.

- Dov'è questa lettera?

, sull'armadio.

Giacomo ruppe la busta, che buttò nel fuoco, e al lume maggiore della fiamma, che si sollevò, lesse queste quattro righe:

«L'avverto che oggi ho lasciata Celestina presso alcune nostre parenti, che mi avevano chiesta una ragazza brava nei lavori. Ho pensato che le potesse far bene di restare in campagna, mentre noi ci prepariamo a tornare in Cremona. Venga domani verso le due; ho bisogno di prendere qualche decisione per quest'inverno».

 

 


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